“Edward mani di forbice”: indimenticabile icona burtoniana

“Edward mani di forbice”: indimenticabile icona burtoniana
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Quarto film diretto da Tim Burton nel 1990, l’uscita italiana è datata 25 aprile 1991. Considerato fra i film sicuramente più famosi e meglio riusciti del regista, mescola con efficacia le caratteristiche del romanzo gotico inglese, come il Frankenstein di Mary Shelley, agli stilemi dei film anni ’50/’60, fino ad arrivare alla fiaba classica francese La bella e la bestia.

Edward è divenuto ben presto uno fra i protagonisti della Storia del Cinema di maggior impatto emotivo ed immediatamente riconoscibile. Rappresenta il personaggio simbolo dell’escluso e del freak, fra i meglio riusciti delle creature burtoniane. Alcune scene, fra cui sicuramente la danza finale sotto la neve, che nella simbologia richiama l’incipit del film, e che con questo crea un perfetto percorso narrativo, sono entrate nell’immaginario collettivo. Edward rimane l’esempio più armonioso della visione contraddittoria di Burton. Affascinante, ma inquietante, unico, ma pieno di riferimenti ad altri film e storie, in gran parte autobiografico. Situato in un mondo dove fantasia e realtà sono tenute in perfetto equilibrio.

Le origini del film

Dopo lo straordinario successo di Batman del 1989, Burton era diventato uno dei giovani registi più ricercati di Hollywood. La Warner, con cui aveva lavorato nei suoi tre film precedenti, avrebbe voluto dirigesse subito il seguito del film ispirato al classico eroe della DC. Burton decise invece di fare Edward mani di forbice, un film a cui pensava da tempo, e a cui era personalmente molto legato.

La Warner non sembrò entusiasta dell’idea. Quindi si mise alla ricerca di un’altra casa di produzione che gli lasciasse la libertà di fare il film che voleva fare. Fu la 20th Century Fox a dirgli di sì. A quel tempo la casa, ora chiamata dal 2020 semplicemente 20th Century Studios, era diretta da Joe Roth, a capo della major dal 1989 al 1993. Fra gli altri film di successo, fu lui a produrre Mamma, ho perso l’aereo (Chris Columbus 1990), A letto con il nemico (Joseph Ruben 1991) e Mrs. Doubtfire (Chris Columbus 1987).

Per muoversi poi con maggior libertà creativa, nel 1989 il regista fondò la Tim Burton Productions insieme a Denise Di Novi, ex giornalista e produttrice di Schegge di follia, che ricoprì il ruolo di presidente. Insieme produssero, oltre ad Edward mani di forbice, anche Batman – Il ritorno e Nightmare Before Christmas. Nel 1992 Di Novi abbandonò la società, ma si trovò ancora a co-produrre con Burton per Ed Wood e Crociera fuori programma (film diretto da Adam Resnick nel 1994). Edward mani di forbice fu quindi il primo film di cui Burton è stato anche produttore.

Il personaggio

Il personaggio di Edward è un’emanazione del regista stesso, di quei disegni in cui un giovane Burton esprimeva il suo tormento interiore della sua incapacità di comunicare con gli altri e con la sua famiglia.

Questa immagine è venuta fuori inconsciamente, legata ad un personaggio che vorrebbe poter toccare e non può, che è creativo e anche distruttivo. Lo schizzo disegnato rappresenta un drammatico autoritratto. Cadavericamente magro, una massa di capelli indomabili, avvolto in un bozzolo di pelle nera, con cesoie lunghe e affilate al posto delle dita. Tim Burton ha da sempre cercato per le sue storie una relazione emotiva con i personaggi. Le immagini da lui create sono sempre legate principalmente a delle sensazioni. La creazione di Edward è quindi stata per lui anche un modo per esorcizzare i propri demoni interiori, e per liberare il proprio cuore dai traumi vissuti da ragazzo.

Crescere in un contesto residenziale

Tim Burton, nato a Burbank il 25 agosto 1958, si è infatti sempre sentito fuori luogo, straniero in patria. Burbank, avamposto di Hollywood, rappresenta la tipica zona residenziale americana per classi medie. La cosa interessante in quel tipo di quartieri è, come racconta il regista, che vivi tanto vicino agli altri che conosci tutti ma quello che non sai è che ci sono un mucchio di cose nascoste.
C’è del sesso, c’è della perversione, in quei posti, una specie di corrente sotterranea, che da bambino non capiva chiaramente, ma che riusciva comunque a percepire.

Crescere in un simile contesto vuol dire crescere senza il senso della storia, della cultura, senza una qualunque passione per qualunque cosa. Nessuno mostrava mai emozioni, non era facile creare vere relazioni, e non c’era nessun legame forte con le cose.

Sua madre avrebbe potuto essere facilmente irascibile, e suo padre determinato a gestire la famiglia secondo linee puritane, ma queste erano tutte giuste e di tipo mite, i familiari vanno d’accordo splendidamente ma non comunicano, come se tutti fingessero di avere relazioni. L’immagine di questo quadro familiare la possiamo trovare nelle lezioni a tavola di Alan Arkin in Edward mani di forbice che diede corpo e voce a Bill Boggs, personaggio basato sul padre del regista.

In questo modo o ti adeguavi, tagliando via gran parte della tua personalità, o ti creavi un mondo interiore, col conseguente e inevitabile senso di isolamento. Burton, che non si è mai adeguato alla massa intorno a lui, è quindi cresciuto con l’idea di non essere accettato, base poi di tutta la sua filmografia.

La massa e il mostro

In questo contesto, la psicologia di massa di un sobborgo residenziale diventa simile a quella di un film dell’orrore. Infatti, Burton ha sempre pensato che in quel tipo di quartiere, l’unica occasione per vedere i vicini tutti assieme era al verificarsi di un qualche incidente.
Il pensiero diffuso non dichiarato in quelle occasioni diventa: godiamoci il disastro.

Quest’idea si riflette nelle diverse scene in cui avviene lo scontro fra la popolazione, ben evidente nel finale di Edward mani di forbice, come anche in Frankenweenie.

Il mostro diventa quindi il portatore dei sentimenti più autentici, l’unico veramente in grado di affrontare la vita in modo pieno, seppur venendo escluso, perché appunto considerato diverso.
Spesso nel mostro vi è più sincerità di tutti gli umani che lo circondano e, poiché escluso di partenza, anche maggior libertà di fare ciò che si vuole.

Una costante dei film di Burton è poi anche il contrasto tra immagine e percezione, l’essere visti in modo diverso da quello che si è veramente. In questo, Johnny Depp è stato per Burton l’unica scelta possibile, il solo attore perfetto per incarnare la psicologia di Edward, che è la stessa del regista.

La creazione del mondo

All’inizio c’era quindi l’immagine di Edward. Quella e la sensazione che l’accompagnava, l’idea di non essere accettati. In seguito sono venuti fuori le siepi e il ghiaccio, quasi fossero conseguenze naturali del fatto che lui cercava di rendersi utile in casa. Gran parte del successo del film si deve poi al contributo della sceneggiatrice Caroline Thompson, che è riuscita a trasporre su carta i sentimenti del regista.

La Thompson rese universali i sentimenti personali del regista, costruendo una fiaba gotica contemporanea unica e indimenticabile per ogni spettatore. A lei Burton aveva già commissionato la sceneggiatura all’epoca della pre-produzione di Beetlejuice. Nella scrittrice, Tim trovò uno spirito affine al proprio, ed in seguito avrebbe sceneggiato anche Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere.

Tim Burton aveva letto il suo libro, First Born (1983). Questo parlava di un bambino abortito che tornava in vita, vicino all’atmosfera che voleva creare per il film. Trovarono subito un’intesa perché, come dice il regista, lei era sulla stessa lunghezza d’onda. Una fortuna, perché quell’idea se l’era coltivata per tanti anni e aveva qualcosa di simbolico, per cui non voleva che venisse analizzata o sezionata.
Poteva essere anche assolutamente criptico e lei lo capiva lo stesso.

Pagò di tasca sua qualche migliaio di dollari per la sceneggiatura, in modo da non coinvolgere nessuna casa di produzione. Il film venne quindi proposto in giro già confezionato.
Non c’era nulla da negoziare. Vennero date due settimane di tempo per decidere, visto che non voleva che nessuno provasse a costringerlo a cambiare qualcosa.

Il fattore Johnny Depp

Dianne West è stata la prima attrice a leggere la sceneggiatura e poi a sostenerla. Visto che era un’attrice molto rispettata, il fatto che lei avesse dato l’ok spinse molti attori a interessarsi al film. Lei interpreta Peggy Boggs, la rappresentante di cosmetici AVON, che decide di portare via Edward dal castello in cui vive e ospitarlo a casa sua nella radiosa cittadina sottostante.

Comunque Burton non ha mai preso la sceneggiatura alla lettera. Come sostiene, quando si visualizza una cosa o si mette in scena un’idea, si finisce per fare sempre dei cambiamenti.
La sceneggiatura è quindi materia organica, in continuo cambiamento. Fondamentale risulta per lui lasciarsi sorprendere, non solo nel momento in cui gira, ma anche quando si riguardano le scene.

Un giorno Burton si rese conto di una cosa particolare che Johnny Depp sapeva fare. Questo cambiò molto la prospettiva sulla storia nel suo insieme. Mentre giravano una scena, lo guardò da vicino.
Il giorno dopo rivide il girato e solo allora si accorse che lui, senza quasi far nulla, riusciva a rendere vitreo il suo sguardo. Come se stesse per mettersi a piangere. “Come quei grandi occhi che si trovano nei quadri di Walter Keane” come ci racconta Burton in testimonianze dell’epoca.
Forse, da quest’idea ispirata alla straordinaria capacità attoriale di Depp, sarebbe poi derivato anni dopo il film Big Eyes, diretto da Burton nel 2014.

Nessun trucco cinematografico quindi, ed è un esempio di come una sceneggiatura, quando viene concretizzata sul set, si riempie di particolari che la completano.

Burton e Depp

Il rapporto fra attore e regista divenne una costante da questo film in poi. Anche per questa sinergia creata sul set fra le due sensibilità e per gli apporti unici che Depp diede alla riuscita emotiva della storia.
Johnny ha messo nel personaggio vari temi che erano più vicini alla sua vita e che sono piaciuti molto a Burton fin dalla prima volta che parlò con lui.

Lo stava a guardare, lo ascoltava e in qualche modo approfittava della sua vita. In particolare, Depp ha basato in parte la performance sui cani che aveva avuto, e su come offrissero amore incondizionato.
In questo modo, seguendo il progetto del regista, il film non fu una vera autobiografia.

Johnny Depp fin dall’inizio era la prima scelta di Burton, ma si pensò anche ad altri, fra cui Tom Cruise. In America Depp era considerato una persona difficile e scostante, idolo dei ragazzini. In realtà, come dice Burton, è una persona divertente, splendida e aperta. Una persona normale, vista come difficile, scontrosa. Johnny veniva giudicato dal suo aspetto esteriore, ma era completamente l’opposto rispetto a questa percezione. Per questo, come già osservato, il tema centrale di Edward: quello dell’immagine e della percezione, quello di essere visti all’opposto di ciò che si è, era perfettamente in linea con lui.

Depp prima di Burton

Come testimoniato nella prefazione al libro Burton racconta BurtonGiangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2011 -, Johnny Depp nell’inverno del 1989 lavorava in una serie televisiva a Vancouver, in Canada. La situazione non era delle migliori: era costretto per contratto a fare della roba sempre uguale e che per lui rasentava l’ideologia fascista. Le sue prospettive future sembravano oscillare tra Chips e Jenny e Chachi, uno spin-off di Happy Days. Di fronte a lui aveva un numero limitato di opzioni: arrivare fino in fondo, al meglio che poteva; farsi licenziare il prima possibile; andarsene e beccarsi una denuncia per la rottura del contratto che gli sarebbe costata non solo tutti i soldi che aveva, ma anche quelli delle generazioni future.

Alla fine decise che sarebbe andato avanti alla meno peggio. Quelle piccole abrasioni rischiarono in breve di complicarsi e sfociare in una condizione potenzialmente autodistruttiva.

“Stordito, perso, fatto trangugiare dagli spettatori d’America come giovane repubblicano. Nuovo divo televisivo, rubacuori, idolo dei giovani, bullo. Ingessato, piazzato in un poster, messo in posa col marchio di fabbrica, pitturato e plastificato! Pinzato a una scatola di cereali che viaggiava a tutta velocità verso un thermos e un decrepito cestino da pranzo. Il ragazzo novità, il ragazzo seriale. Spennato e fottuto dentro un incubo da cui era impossibile uscire.”

La svolta di Edward

Un giorno la sua nuova agente mandò a Depp la sceneggiatura di Edward mani di forbice.

Dopo averla letta si mise a piangere come un bambino. Scioccato all’idea che ci fosse qualcuno tanto in gamba da immaginare e scrivere una storia del genere, la rilesse. L’effetto fu tale che schiere di immagini cominciarono ad affollargli la testa. Anche lui aveva avuto dei cani, da bambino, anche lui si era sentito strano e ottuso, mentre cresceva. E poi quell’amore senza condizioni che solo gli esseri più evoluti, ovvero i cani e i bambini, sanno provare.

Rimase tanto colpito da quella storia che divenne per lui un’ossessione.

L’incontro con Burton

Poi venne fissato un appuntamento nel quale avrebbe conosciuto il regista.

Lui da subito lo colpì in modo incredibile. “Le sue mani, il modo di muoverle freneticamente nell’aria o di batterle ritmicamente sul tavolo, la parlata contorta, i grandi occhi che brillano curiosi, occhi che hanno visto molte cose ma non hanno perso la curiosità. Quel pazzo ipersensibile era Edward mani di forbice.”

Solo un regista, in passato, aveva deciso di correre il rischio con Johnny Depp, ed era John Waters. Egli aveva pensato di “sporcare” la sua immagine consolidata con Cry Baby, film musical del 1990.

Dopo il primo incontro con Burton rimase in attesa per settimane senza nessuna notizia.
Nel frattempo continuava a lavorare per conto suo su quel ruolo. Sempre seguendo la sua testimonianza, non era solo qualcosa che si era messo in testa di fare. Era qualcosa che doveva fare, perché quella storia gli si era piantata in mezzo al cervello e non ne voleva sapere di andarsene.

Quel ruolo non era soltanto una svolta nella sua carriera, ma anche un pezzo di libertà.
Libertà di creare, sperimentare, imparare ed esorcizzare quel che aveva dentro.
Alla fine, venne scelto per il film. Fu come essere salvato da morte certa, dal mondo televisivo della produzione di massa. Tutto, grazie a un giovane brillante ed eccentrico che aveva passato l’adolescenza a fare strani disegni, a sbattere la testa contro il muro a Burbank, a sentirsi pure lui strano ed emarginato.

Buona parte del successo che Depp ricevette più tardi lo deve, come racconta, a quell’unico, stravagante, eccitato appuntamento con Tim. Non fosse stato per lui, avrebbe abbandonato la carriera attoriale solo un attimo prima di perdere quel minimo di dignità che gli era rimasta.

Proprio perché Tim aveva creduto in lui, anche Hollywood gli aprì le porte.

Winona Ryder

Winona Ryder, interprete di numerosi film di successo negli anni ’90, tornata alla ribalta nel 2016 per il suo personaggio di Joyce Byers nella serie tv Netflix Stranger Things, ricoprì il primo ruolo da protagonista proprio in questo film di Burton.

Secondo il regista, lei possiede un certo lato oscuro, ed è una delle sue attrici preferite.
Per Edward mani di forbice pensò che fosse divertente metterle, per il ruolo di Kim Boggs, una parrucca bionda e farle fare la cheerleader. Forse il suo ruolo più difficile, proprio perché era così lontano dal suo passato. Quando andava a scuola, infatti, non sopportava le cheerleader.

Tim ha diretto l’attrice per altre tre volte. In Beetlejuice (nel ruolo di Lydia), Frankenweenie (in cui presta la voce al personaggio di Elsa van Helsing) e nel video musicale Here with me della band The Killers.

Winona ha dichiarato di sentirsi fortunata. Infatti nella sua carriera ci sono film che, anche se non ci fosse stata lei, sarebbero comunque stati fra i suoi preferiti. Fra essi appunto Edward mani di forbice o Beetlejuice. Fu Tim Burton a lanciarla nel cinema, a darle una carriera. Hollywood, racconta, probabilmente non l’avrebbe mai notata e, se lui non l’avesse presa in Beetlejuice, sarebbe tornata a scuola. Forse avrebbe anche smesso di fare l’attrice.

Winona Ryder e Johnny Depp

Come per Johnny Depp, Burton si è quindi rivelato più che salvifico. Una dimostrazione di quanto lui riesca a leggere nell’animo delle persone al di là di ogni apparenza e grazie alla sua forte sensibilità.
A breve, potremo rivedere Winona Ryder in Beetlejuice 2, la cui uscita negli Stati Uniti è prevista per il 6 settembre.

All’epoca Winona aveva una relazione sentimentale con Depp. Ciò non ebbe comunque effetti negativi sul film, poiché non si basa su una relazione puramente sentimentale, ma è un racconto di fantasia.
Anche il fatto che fossero in Florida a girare lo ha reso un ambiente straniante.

Andarono lì, come racconta Burton, perché voleva stare lontano da Hollywood.
Inoltre, il tipo di quartiere residenziale che aveva in mente per il film in California apparteneva agli anni ’50. Nel tempo questo è stato completamente modificato da numerose altre costruzioni.

La location

Il film venne quindi girato nei sobborghi di una comunità di Dade City in Pasco County.
Vennero scelte 50 case individuali. La città fu trasformata in un territorio senza spazio né tempo come i ricordi di Burbank, luogo nauseante di parcheggiatori ficcanaso e routine svogliata.

I residenti furono spostati in un motel locale Super 8 per tre mesi. Nel frattempo, le case vennero ridipinte, vennero ridotte le dimensioni delle finestre per rendere l’ambiente più paranoico, e si crearono le siepi nei loro giardini. Un cartello all’ingresso del luogo avvertiva i possibili acquirenti che la zona normalmente non aveva quell’aspetto.

Il castello fu costruito sul backlot della Fox, area adiacente agli Studios. Pieno dei congegni dell’Inventore, era illuminato da ombre minacciose come un film muto tedesco. Una metafora del funzionamento interiore di Edward e dell’approccio cinematografico di Burton.

Influenze ambientali e visive

L’ambiente deve molto all’espressionismo, e a film dello stesso periodo, in particolare Il fantasma dell’Opera (Rupert Julian – 1925). I violenti contrasti cromatici, come anche i tratti distorti e irregolari del castello, insieme alla stilizzazione dei personaggi e alla fotografia intrisa di sfumature chiaroscurali, rispecchiano bene l’emotività di Edward ed il suo essere all’opposto della apparente perfezione della cittadina e dei suoi abitanti.

L’aspetto gotico, inoltre, è riscontrabile come costante in molte creazioni di Burton. Da Gotham City al palazzo vittoriano de La sposa cadavere, nonché negli stessi protagonisti delle sue storie, fra cui sicuramente Lydia in Beetlejuice. Icona, come lo stesso Edward, dell’adolescente gotico, con le comuni caratteristiche che li legano. Il non sentirsi appartenenti al mondo circostante, la conseguente incomunicabilità, e l’amore visto come sentimento assoluto, impossibile da realizzare.

Gli interni luminosi delle case, si differenziano notevolmente dal castello. Sono infatti un’ammasso di lampade sfarzose, carta da parati floccata e altro kitsch. Burton l’avrebbe mostrato di nuovo in Mars Attacks!, Dark Shadows e Big Eyes. Quasi tutto ciò che è visibile all’interno comunque, era già presente in origine nelle reali abitazioni del luogo. In una foto della sera del ballo di fine anno su una credenza è poi visibile uno smoking giallo canarino. Questo è identico a quello che indossava lo stesso Burton al ballo di fine anno.

Lo scenografo Bo Welch fu l’artefice di questo particolare insieme. Le case dipinte ciascuna in un diverso colore pastello rispecchiano il punto di vista di Edward, un po’ romantico, sul mondo.
Per fare entrare meglio nella mentalità del luogo, Burton incoraggiò poi cast e troupe a leggere Suburbia di Bill Owens. Si tratta di uno studio fotografico della vita dei sobborghi nella California del 1970.

Maestranze artistiche

Lo scenografo Bo Welch, oltre ad aver creato l’universo ambientale di Edward mani di forbice, si occupò anche delle scenografie per Beetlejuice e Batman – Il ritorno. Per Batman, in particolare, ebbe il compito di costruire la nuova Gotham City. Mantenne ferma l’ispirazione infernale di Anton Furst, ma le diede una versione più americana, con più umorismo e ironia. Egli è poi noto anche per i suoi lavori insieme al regista Barry Sonnenfeld. In particolare per i film Men in Black (1997) e Wild Wild West (1999).

Rick Heinrichs è stato consulente agli effetti speciali visivi e collaboratore fisso di Burton da Vincent in poi. Uno dei suoi primi assistenti, ha prodotto anche il cortometraggio Frankenweenie nel 1984 e molti altri dei suoi lavori iniziali. Ha ricevuto l’Oscar alla “miglior scenografia” nel 2000 per il film Il mistero di Sleepy Hollow, oltre ad altre due Nomination nella stessa categoria nel 2005 e nel 2007.

Storica collaboratrice di Burton è anche la costumista Colleen Atwood, che ha lavorato in numerosi film di successo negli anni ’80 e ’90, vincendo diversi premi. Uno dei suoi primi film è stato proprio Edward mani di forbice, per cui fu candidata al Saturn Award e al Premio BAFTA. Nella sua carriera ha ricevuto ben quattro Academy Award ai “migliori costumi”, fra cui nel 2011 l’Oscar per Alice in Wonderland.
Fra gli altri premi burtoniani si possono poi ricordare un Premio BAFTA per Il mistero di Sleepy Hollow nel 2000 e un Saturn Award per Sweenie Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street nel 2008.

La musica

Indimenticabile resta sicuramente poi la colonna sonora firmata da Danny Elfman, spirito affine e compagno di viaggio fin dalle origini di Tim Burton.

Ha collaborato infatti alla realizzazione di quasi tutte le colonne sonore dei film del regista, ricevendo svariati premi e candidature, ad eccezione di Ed Wood (la cui direzione musicale venne affidata a Howard Shore) e Sweenie Todd.

Senza il suo fondamentale contributo, che risente molto anche di influenze musicali da Bernard Herrmann, inscindibile dalle opere di Alfred Hitchcock, i film di Burton sicuramente non sarebbero altrettanto memorabili.

Le mani di Edward

Un paragrafo a parte va dedicato alle mani di Edward, create da Stan Winston.
Truccatore ed effettista statunitense, specializzato nell’animatronica e nel trucco prostetico che ha dato vita a famosi personaggi, mostri e creature cinematografiche.

Candidato dieci volte al Premio Oscar per i “migliori effetti speciali” o il “miglior trucco”, lo ha vinto quattro volte, per Aliens – Scontro finale (1986), Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991) e Jurassic Park (1993). Per Tim Burton ha creato anche il costume del Pinguino in Batman – Il ritorno.

Per quanto riguarda in particolare Edward mani di forbice, cercava di capire lo spirito complessivo della storia. Burton gli dava i suoi disegni grezzi e lui lavorava su quelli. Studiava i suoi disegni, poi faceva ulteriori illustrazioni e ci lavorava su. Tim Burton voleva che le mani di forbice fossero grandi perché desiderava che Edward fosse bello e pericoloso.

Ne vennero costruite un paio e le fecero provare a Johnny, che cominciò a usarle per fare delle cose qualunque. Molto meglio che se stesse provando una scena del film, in quanto prova evidente che stava entrando nel personaggio. Stan Winston decise di aggiungere un fermaglio per scarafaggi, in modo che Depp potesse fumare sul set.

Influenze del film

Interessante notare come le mani torneranno in Big Fish, trasposte nell’Handi-matic.
Utensile da cucina multifunzionale, appare come creazione nell’ufficio di Mr Bloom (Ewan McGregor). Non si tratta poi dell’unico possibile rimando a Edward mani di forbice. La breve sequenza in cui Edward Bloom si occupa del suo giardino ad Ashton ricorda infatti l’ambiente in cui si muoveva Edward (verde tra le casette nel quartiere residenziale). In seguito, le sculture di Edward torneranno ad abitare anche il giardino della regina rossa in Alice in Wonderland.

Forte influenza per la creazione del mondo di Edward, si deve poi a Roald Dahl.
Le sue storie sono infatti attraversate da personaggi asociali che hanno difficoltà a comunicare, vivono per i fatti loro, un po’ all’interno della propria testa, con problemi familiari e traumi che vengono dal passato. Così sono anche Batman, Ed Wood e Wonka, che vive inoltre con la paura di contatti fisici, tattili, col resto del mondo. Tim Burton ha da sempre sentito infatti un forte legame con l’autore britannico, essendo stato il secondo scrittore dopo Dr. Seuss ad aver mai letto.

Un cast variegato

Oltre ai protagonisti già visti nei paragrafi precedenti, menzione va sicuramente data a Vincent Price.
Tra i protagonisti del cinema horror anni ’50 e ’60 insieme a Christopher Lee e Peter Cushing, è stato interprete di diversi film di genere, e di personaggi unici, con i quali lo stesso Tim Burton è cresciuto.
Il supporto da lui ricevuto, a partire da Vincent, ispirato alla figura dell’attore, che partecipò al cortometraggio come voce narrante, ha avuto un impatto emotivo importante.

Dopo Vincent, lui e Burton erano rimasti amici e avevano continuato a sentirsi, anche se un po’ più di rado quando il regista era in Inghilterra per girare Batman. In Edward mani di forbice interpreta il ruolo dell’Inventore, un ruolo secondario ma fondamentale. La sceneggiatura del film prevedeva per lui un ruolo da coprotagonista e un maggior numero di battute. Ciò non fu possibile a causa della malattia dell’attore e delle sue precarie condizioni di salute.

Dopo Edward, Burton cominciò a girare un documentario su di lui. Il titolo di lavorazione era Conversations with Vincent. Price sarebbe morto nel 1993, a soli due anni di distanza dalla moglie Coral Browne, attrice australiana.

Ruolo particolare lo ha poi ricoperto Anthony Michael Hall, interprete di Jim, il fidanzato di Kim Boggs. La sua morte sul finale si è rivelata per molti scioccante, in quanto ha cambiato i toni del film preponderanti fino a quel momento. Come racconta Burton, probabilmente la sua morte è lascito di una fantasia di vendetta che risaliva ai tempi del liceo o anche prima. Quando cioè Burton veniva categorizzato come strano, perché interiorizzava e si esprimeva poco, e per questo veniva emarginato. Dentro Burton era rimasta una sorta di sentimento di rivalsa, che ha in qualche modo dovuto lasciar sfogare.

Un personaggio immediatamente riconoscibile

Primo vero outsider partorito interamente dalla mente di Burton, unione fra i suoi ricordi d’infanzia, le storie viste e ascoltate negli anni di crescita e fonti esterne indipendenti, Edward è tutt’oggi un simbolo e un personaggio entrato nell’immaginario collettivo. Immediatamente riconoscibile, noto come figura anche a chi magari poco esperto della filmografia burtoniana. Al pari di Jack Skellington, è rappresentante di tutti i freak ed anti-eroi dei film del regista.

In lui, infatti, possono essere riconosciuti tratti caratteriali o linee emotive comuni agli altri personaggi creati da Burton, anche di quelli all’apparenza diversi. Ad esempio, nei silenzi e negli occhi di Edward, nel suo animo tormentato e nello sguardo che parla in assenza di dialogo, si possono ritrovare i tormenti di Sweeney Todd. Scaturiti da sentimenti diversi e causati da ragioni diverse, esprimono comunque questi tormenti allo stesso modo. Sono poche le parole veramente espresse dai personaggi, i dialoghi sono rari.
Ciò che spicca è appunto lo sguardo, e gli occhi dentro ai quali si può scorgere l’agitazione interna ed emotiva che scuote i protagonisti delle storie di Burton.

Riflessioni finali

Oggi chi è diverso o viene considerato tale dalla massa e dalla gente comune è maggiormente riconosciuto ed accettato. Gli atti di ribellione sono più palesi e magari meno interiorizzati, ma è comunque importante riflettere sulla figura creata da Tim Burton. Edward, emarginato dal cuore d’oro, simbolo eterno dell’adolescente e dell’amore totalizzante, è diventato col tempo personaggio che ha assunto una vita propria. Reincarnato nei film successivi di Burton e indimenticabile nei suoi specifici aspetti che lo rendono allo stesso tempo unico.

Come le fiabe, così anche il Cinema racchiude in sé una magia unica, che porta a mostrare la vita sotto luci diverse e in cui la simbologia e l’astrazione valgono spesso di più del significato letterale di ciò che viene mostrato. Paragonabile a Fellini, non a caso spesso ricordato ed apprezzato da Burton, egli ci porta all’interno dei lati meno palesi del vivere umano, e a riflettere sui simboli nascosti nella quotidianità.
Non tutto è immediatamente spiegabile in ciò che Burton ci mostra, ma ha comunque un senso, anche se spesso slegato da una normale linearità causa-effetto.

Come è possibile perdersi sotto la neve e ballare, così non dobbiamo abbandonare la capacità di sognare in un mondo migliore e abitato da sentimenti vitali più autentici, oltre i pregiudizi.

Edward mani di forbice – il fumetto

Il personaggio è così diventato a tal punto simbolo di una generazione, che nel 2014 venne fatto un seguito a fumetti del film. Scritto dalla sceneggiatrice canadese Kate Leth e disegnato da Drew Rausch, è ambientato anni dopo il racconto di Kim, ormai anziana nel film.

Sono passati tanti anni, ma Edward non è invecchiato. Un giorno scopre che il suo inventore aveva anche un altro progetto nello scantinato. Così gli dà vita seguendo le istruzioni che trova sopra un diario.
La nuova creatura ha però un temperamento malvagio, e scappa, cominciando a spaventare gli abitanti della città. Essi si rivolteranno una seconda volta contro Edward, credendo che sia lui la causa di tutto.

La storia si apre con Mess, nipote di Kim e in tutto e per tutto identica a lei.
Dopo essere tornata al castello di Edward, insieme lotteranno contro la nuova creatura.
Mess riscoprirà così quanto di vero ci fosse nelle fiabe che la nonna le raccontava quando era piccola.
In Italia il fumetto è stato tradotto da Gloria Grieco, e stampato nel 2017, sotto la casa editrice NPE. Rappresenta un buon corollario al film di Burton, ed offre alla storia un punto di vista nuovo ed inedito.

Note a margine

Come approfondimento sulla filmografia di Burton, consiglio i seguenti libri:

  • Burton racconta Burton”(Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano – ottava edizione gennaio 2023)
  • Tim Burton. From Gotham to Wonderland” (di Giulio Muratore – Nero Press Edizioni – 2020)
  • Tim Burton. The iconic filmmaker and his work” (Ian Nathan – Aurum Press – 2016)

Come accompagnamento musicale, si potrebbe ascoltare l’album raccolta Baccini and Best Friends. Pubblicato nel 1997 dal cantautore genovese Francesco Baccini, presenta infatti al suo interno anche un duetto con Angelo Branduardi. La canzone è chiamata Mani di forbice, ed è ispirata proprio al tema del film di Tim Burton.

Non è l’unico cantante che è rimasto colpito dal fascino di Edward. Ad esempio, il videoclip di Inverno dei fiori, singolo del cantautore umbro Michele Bravi pubblicato il 2 febbraio 2022, è in parte ispirato al personaggio. Il cantante, vincitore della settima edizione di X Factor, è un grande ammiratore di Tim Burton e ha dichiarato che avrebbe desiderato interpretare Edward,  ritenendolo un uomo che vuole accarezzare il volto degli altri per raccontare il suo amore, ma ha lame al posto delle mani che lo costringono alla solitudine.

Sono quindi molte le dimostrazioni di quanto Edward, e le tematiche racchiuse nella sua storia, trascendano i tempi, e tutt’oggi, a più di trent’anni dalla sua uscita, riescano a colpire anche le nuove generazioni.

a cura di
Matteo Sisti

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