“Finalmente L’Alba” – la recensione in anteprima del nuovo film di Saverio Costanzo

“Finalmente L’Alba” – la recensione in anteprima del nuovo film di Saverio Costanzo
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In “Finalmente l’Alba” Saverio Costanzo punta tutto sulla purezza delle emozioni e delle tacite speranze, portate in scena da un’aspirante attrice che, con il suo linguaggio del corpo, ci fa dimenticare confini e limiti di lingua e cultura.

Al cinema a partire da oggi 14 febbraio in 300 copie, Finalmente l’Alba ci propone la prospettiva positiva di un mondo che, nonostante le sue brutture, funziona: se rimani fedele a te stessa con tutte le tue forze (come accade nel caso della protagonista Mimosa), diventi Arte. Il mondo dello spettacolo noterà così il tuo talento e otterrai il riconoscimento che meriti senza scorciatoie.

Nel mondo costruito da Saverio Costanzo, puoi permetterti di essere pura e vera perché sarai protetta.

“Finalmente L’Alba”

Finalmente l’Alba è ambientato nella Roma degli anni ’50 ed è la storia di una giovane ragazza di 21 anni, Mimosa (Rebecca Antonaci), che, dopo la visione di un film al cinema insieme alla sua famiglia, viene fermata da un talent scout interessato alla sorella maggiore Iris (Sofia Panizzi), a cui propone di presentarsi ai casting di un kolossal hollywoodiano ambientato nell’antico Egitto, presso gli studi di Cinecittà.

La discrepanza di doveri tra le due ragazze è evidente fin da subito: da una parte la bellezza di Iris – elemento che all’epoca costituiva una delle doti che una donna doveva avere per “emergere” nel mondo del cinema -; dall’altra la bontà di Mimosa, definita ottima moglie e futura madre di famiglia perché “ma chi è che ti farebbe arrabbiare mai a te”. Una giovane, quindi, potenzialmente fedele ai costumi e ai doveri, pudica e pura. Non avendo altri metri di paragone, Mimosa accetta con educazione questo mondo e gioisce sinceramente per il destino del sangue del suo sangue.

Il giorno seguente la giovane e la madre accompagnano così Iris al provino, in una caotica e anarchica Cinecittà in cui la stessa protagonista riesce a penetrare e a partecipare al casting, con deludente ma coraggioso esito.
Qui la sua curiosità e la sua purezza innate faranno da timone, attraverso un peculiare itinerario evidentemente già scritto.

Come un’innocente Cappuccetto Rosso che non segue altro che gli stimoli che le si presentano innanzi, si troverà ad essere scelta come comparsa e come ancella personale dalla star del film Josephine Esperanto (Lily James). La sua performance spontanea colpirà infatti l’attrice, che la inviterà a trascorrere una notte ricca di eventi insieme ai suoi colleghi ed amici, Sean Lockwood (Joe Keery) e Rufus Priori (Willem Dafoe).

Grazie a questa esperienza, Mimosa scoprirà le luci e le ombre che si celano dietro queste celebrità e quelle proprie di un ambiente intoccabile e dorato.
Ma, soprattutto, verrà spinta a confrontarsi con il suo vero io.

“Cinecittà siamo noi”

Elemento fondamentale del film è sicuramente la cura e l’importante lavoro di filologia eseguito dal regista. Nel ricercare quel “rumore di fondo” della vecchia Cinecittà, che si dimostra funzionale alla trama, fornendole il giusto collocamento nel tempo e nello spazio. Ogni volto, ogni voce e ogni gesto compongono così un quadro che “restituisce una fotografia di quell’epoca”.

La simbologia della Potenza (impersonato della leonessa) è uno degli elementi peculiari del film. Una potenza latente e veritiera, che trova qui la giusta collocazione e la giusta “padrona”.

Durante il corso del film, osserviamo la crescita della leonessa, che riesce a scegliere con logica il suo percorso, liberandosi dalle sbarre in cui è rinchiusa e da cui terrorizza, con i suoi ruggiti, chi di quella gabbia è esterno osservatore. L’autostima e la sicurezza di una ragazza che si scopre capace di tutto trovano una degna rappresentazione con essa.

Il simbolo dello specchio è, invece, il secondo elemento che, determinante ed introspettivo, ci accompagna fin dai primi minuti del film, concentrando le sue energie su Mimosa.
E che, come sempre accade, ci chiama a gran voce, fino a quando non risultiamo finalmente pronti (o non pronti) a guardarlo e a guardarci.

“Lavorare sull’epoca aiuta a dirci cosa siamo oggi”

La tematica sociale ed il Cinema (inteso come il mezzo attraverso cui parlare di essa) rappresentano il punto di partenza e la necessità che Saverio incontra per trattare uno dei primi casi di cronaca nera italiana.
Quello che vede protagonista la giovane aspirante attrice Wilma Montesi, scoperta senza vita sul litorale romano nel ’53.

Un delitto che ebbe un’enorme risonanza mediatica, poiché vi trovò coinvolte diverse personalità del mondo dello spettacolo e – indirettamente – anche della politica (Piero Piccioni, compagno di Alida Valli e figlio dell’allora Ministro degli Esteri Attilio Piccioni, venne accusato di omicidio e poi assolto solo due anni dopo, quando la carriera del padre ne aveva già tristemente risentito). Un evento dalla portata talmente elevata che per l’opinione pubblica la gravità dell’accaduto passò in secondo piano, rispetto all’ossessione che derivò dal fatto stesso e dai dettagli di esso.

In Finalmente l’Alba, Saverio decide di scrivere una storia diversa, gemella in ambientazione e speranze.
Utilizzando lo strumento del Cinema, ricco di infinite possibilità, e creando un’allegorica giovane aspirante attrice, a cui il regista augura di veder sorgere l’alba di un mondo nuovo.

a cura di
Michela Besacchi

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