The Holdovers (Lezioni di vita) – la nostra recensione

The Holdovers (Lezioni di vita) – la nostra recensione
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Ritorna l’acclamato regista Alexander Payne (A proposito di Schmidt, Sideways.In viaggio con Jack, Nebraska) con un’opera che rimanda ai fasti della New Hollywood. The Holdovers è un tratteggio dell’America vera con magnifici eroi perdenti che vi rimarranno nel cuore.

Non saprei neanche elencarvi i tanti film ambientati nei college americani. Sotto l’egida Disney quelli ormai quarantenni ricordano High School Musical e quelli della Generazione X citerebbero Grease. E stiamo parlando dell’America che sogna e canta. Ma c’è anche l’aspetto più problematico affrontato da film come Will Hunting (1997) oppure Noi siamo infinito (2012). Ma la maggior parte di questi film si concentrano sul mondo dei ragazzi. E quindi i primi amori, le difficoltà con i compagni di classe, l’appartenenza e la fratellanza. The Holdovers comincia con questi presupposti per distaccarsi quasi subito.

Al centro della storia non c’è solo il ragazzo, Angus Tully (l’esordiente Dominic Sessa) ma anche l’insegnante Paul Hunman (Paul Giamatti). Quest’ultimo, professore aggiunto di storia antica, non è ben visto dai suoi studenti, dai colleghi e dal preside ed è soprannominato “occhio sbilenco”. A causa di ciò sarà l’unico insegnante della Barton Academy, situata nel New England, a fare da supervisore a cinque studenti costretti a rimanere nell’edificio scolastico per le vacanze natalizie.

Quattro escogitano un piano per farsi venire a prendere, ma Angus sarà costretto a rimanere con l’insegnante, con cui c’è un rapporto di odio e antipatia reciproci, e con la capocuoca Mary (Da’Vine Joy Randolph) che non ha ancora elaborato pienamente il lutto per la perdita di suo figlio durante la guerra in Vietnam.

Umanità autentica

Come in un crescendo si instaura fra i tre una condivisione di stati d’animo che, presi individualmente, rivelano infelicità minacciate dal vuoto della depressione. L’autorità del professore rivela l’insoddisfazione latente di essere rimasto fermo nella stessa scuola (era stato insegnate dello stesso preside). Il ragazzo invece nasconde l’inquietudine di una famiglia disfunzionale con un padre problematico.

Malgrado queste premesse disastrose, un viaggio fra il professore e lo studente rivelerà un’intesa inaspettata. Alla luce dei propri fallimenti, i tre protagonisti rivelano un’umanità autentica. Fino a un finale decisamente emozionante.

Con The Holdovers Alexander Payne sembra pagare il proprio debito di devozione al cinema americano. Quella New Hollywood che ha coraggiosamente messo in luce le contraddizioni del sogno americano. E in primis lo fa con l’omaggio ad Arthur Penn e al suo “Piccolo grande uomo”. E poi l’ambientazione. Siamo agli inizi degli anni ’70, pochi anni prima dello scandalo Watergate, prima dimostrazione che quel Sogno Americano nascondeva tanti affari sporchi.

Tre amabili perdenti

Tre perdenti, lasciati al palo da un’America prosperosa dove “nessuno sarà lasciato indietro”. E sarà un piacere assistere al loro mutuo soccorso durante un’esperienza che gli cambierà la vita, permettendogli di salvare la loro dignità. Il tutto senza ricadere in languidi sentimentalismi, bensì con l’aggiunta di un Jim Bean per il professore e una Coca per il ragazzo, che in realtà aspirava a una birra Miller.

Paul Giamatti è interprete convincente. Ritrae quell’indisponenza e quella caparbietà che lo rendono comico. Dietro la sua autorità si nasconde un uomo disperato e dedito occasionalmente all’alcool, oltretutto affetto da trimetilaminuria, ovvero sindrome da odore di pesce. Convincente Dominic Sessa, nell’interpretare l’ingenuità e la perdita dell’innocenza di un ragazzo preso dal vortice dei problemi famigliari. E ancora l’umanità, il carattere e la dolcezza di Da’Vine Joy Randolph.

Sulla strada degli Oscar

Il film si porta a casa 7 nomination ai Bafta (compresa quella per il miglior film) dopo aver conquistato 2 Golden Globe: miglior attore in una commedia e miglior attrice non protagonista. 3 Critics Choice Awards (miglior attore per Giamatti, migliore attrice non protagonista per Randolph e miglior attore emergente per Dominic Sessa) mentre il National Board of Review ha inserito The Holdovers tra i migliori dieci film dell’anno assegnandogli ulteriori 3 riconoscimenti: miglior attore a Giamatti, miglior attrice non protagonista a Randolph e miglior sceneggiatura a David Hemingson.

Altro punto di forza di The Holdovers è la colonna sonora. Oltre alla collaborazione di Mark Orton che ha già contribuito alle musiche del film “Nebraska”, lo stesso Orton ha selezionato una serie di brani che arricchiscono le scene del film evocandone l’atmosfera nostalgica e riportandoci indietro nel tempo.

Non solo dolci ballate acustiche come “Crying, Laughing, Loving, Lying” del cantautore e poeta Labi Siffre o “The wind” di Yusef aka Cat Stevens, ma hit dell’epoca come “Venus” degli Shocking Blue. E ancora le cavalcate southern rock degli Allman Brothers con “In Memory of Elizabeth Reid”. Una selezione di brani d’eccezione che ha aiutato a rendere ancora più ricca ed emozionante la visione del film.

E quindi non vi resta che fare questo delizioso salto nel tempo. A cominciare dal logo Universal a inizio film, il rumore di un vecchio disco in vinile e la scelta di girare in 35 mm nel formato 1.66:1. In un’intervista del 2023 Alexander Payne ha dichiarato di aver proiettato una serie di film anni ’70 per la troupe in modo da trarne ispirazione. Il direttore della fotografia, lo scenografo, il costumista e anche Dominic Sessa perché non aveva mai visto quei film e voleva avesse un’idea del film in cui stava per recitare. Tra i film proposti troviamo “Il laureato” (1967), “Il padrone di casa” (1970), “Harold e Maude” (1971), “L’ultima corvè” (1973), “Una squillo per l’ispettore Klute” (1971), “Paper Moon – Luna di carta” (1973) e forse “Tutti gli uomini del presidente” (1976).

Quindi, alla fine qualcuno si chiederà perchè riesumare epoche passate, atmosfere? Semplice gusto del vintage da bravi e sofisticati intellettuali? Noi siamo d’accordo con l’affermazione che il professore Paul Hunman fa allo studente Angus durante una visita ad un museo di storia antica:

La storia non è un semplice studio del passato, ma una spiegazione del tempo presente.

a cura di
Beppe Ardito

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Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

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