La band irlandese capitanata da Elijah Hewson ha realizzato un sold out di tutto rispetto in quel di Bologna. Un’ora e un quarto di concerto tra giochi di luce, salti e applausi
Nella loro discesa in terra italica, gli Inhaler possono fregiarsi di aver realizzato due sold out su tre date. Bologna e Roma, infatti registrano il tutto esaurito, con l’evento di Milano, l’ultimo, comunque non lontano dal target delle altre due città.
Lo stupore, l’inadeguatezza, quindi dunque la rivelazione
Ma bando alle ciance: entriamo all’Estragon di Bologna e notiamo da subito un già nutrito numero di persone e calore stupefacente nei confronti della band d’apertura, gli Swim School. Applausi, urla di approvazione, un coinvolgimento e uno scambio d’energie tra platea e palco spaventosi: mai come in questo momento il qui presente scribacchino musicale si sente vecchio, vetusto, a tratti ancestrale.
Non avevo idea della loro esistenza, ma è una piacevolissima scoperta. Il power trio made in Scotland guidato dall’istrionica chitarrista e cantante Alice Johnson ha un sound molto d’impatto, destreggiandosi tra rock, (quasi) noise e qualche spruzzata di melodia che non fa mai male. In appena mezz’ora a disposizione, hanno conquistato un nuovo fan. Approvati senza riserva alcuna.

Si giunge ordunque all’evento principe della serata
Cambio palco che dura una ventina di minuti, una birra che dura meno di cinque, il numero di presenti all’Estragon continua ad aumentare, così come l’età media. Questo aspetto è la seconda sorpresa della serata: personalmente mi aspettavo una platea composta quasi totalmente da giovani virgulti in cerca di rock altamente digeribile, invece abbiamo notato una trasversalità anagrafica di tutto rispetto.
Si va dal ventenne dalla pelle levigata all’ultra quarantenne nostalgico di una chioma ormai fluente solo nei propri sogni, ragazzini del primo anno di liceo accompagnati dai genitori (o genitori accompagnati da ragazzini del primo anno di liceo?), universitari in cerca di attrazioni del sabato sera e personaggi che hanno vissuto in prima persona i tempi d’oro di New Order e U2.

Ore 21:20, tutto pronto. Le luci si spengono, si intravede qualche sagoma sul palco. Il pubblico diventa un unico urlo corale. Luce. “These Are The Days”, “My Honest Face” e “Dublin in Ecstasy” è la prima tripletta che fa impazzire la maggior parte dei presenti.
Nei minuti che si susseguono, non scorgiamo alcun volto interdetto o annoiato, solo uno un po’ stupito e che cerca di leggere la situazione. Ma ero io che per fare un video, azionando la fotocamere del cellulare, mi sono accorto solo dopo un po’ che stavo riprendendo il mio faccione. Ma andiamo avanti.
Un punto di vista privilegiato: quello dell’umarèll musicale
Gli Inhaler parlano poco e suonano tanto. L’interazione col pubblico è essenziale, centellinata, apparentemente più fredda rispetto agli Swim School, ma basta un cenno della mano di Elijah Hewson per far partire un boato o degli applausi. Volumi alti e un ottimo muro sonoro sin dall’inizio fanno il resto.
Indietreggiamo un po’ per guadagnare un secondo abbeveraggio del nettare degli dei nordici e ci piazziamo in zona merch. Col suono un po’ più pulito diventiamo per un quarto d’ora circa dei perfetti umarèll della musica e guardiamo soddisfatti i lavori in corso (che in questo caso sono il concerto in essere). È inevitabile accorgersi di una certa somiglianza con un padre fin troppo ingombrante da cui, artisticamente parlando, Hewson cerca di svincolarsi appena possibile.

Se taluni brani hanno un mood, dei riff e soluzioni sonore (l’echo/reverb della chitarra) che richiamano vagamente agli U2 (sei cresciuto a casa di Bono, è inevitabile l’influenza), in altre occasioni – soprattutto provenienti dal secondo album – gli Inhaler si destreggiano anche sul palco con un piglio diverso, più personale.
Il bello e il brutto al contempo è che Elijah ha un timbro vocale bellissimo e simile a quello del padre. Da lì, ho capito perché all’Estragon questa band ha richiamato anche tanti “nostalgici”. Non è un male, perché come già detto gli Inhaler stanno sforzandosi per compiere un percorso artistico del tutto personale, ma è una constatazione che mi sembrava giusto condividere.

Cosa resterà di questi anni ottanta questo concerto all’Estragon
Finite queste elucubrazioni da simpatico anzianotto, ci buttiamo nuovamente nella mischia. Le persone non hanno mai smesso di saltare, e applaudire, nemmeno in situazioni più quiete e intime. Alle 22:20 circa, la band ringrazia e va via. Scherzetto: dopo nemmeno cinque minuti torna sul palco per il consueto bis. “Just To Keep You Satisfied” e “IWABLT” è un saluto finale rapido e che soddisfa i più.
Un’ora e un quarto scarsa di concerto, ma con due album all’attivo non si può chiedere tanto di più. Inoltre, meglio un’ora e un quarto in cui si concentra più energia ed emozione possibile, che due, due ore e mezza in cui il rischio sbadiglio diventa pericolosamente alto.
a cura di
Andrea Mariano
foto di
Mirko Fava
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