Joan Miró ed una vita in costante sperimentazione: dagli inizi agli anni ’30

Joan Miró ed una vita in costante sperimentazione: dagli inizi agli anni ’30
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Joan Miró è un artista che ha attraversato il Novecento interiorizzando idee e stilemi di alcune delle più rivoluzionarie tappe della contemporaneità, alla costante ricerca di innovazione e sperimentazione che lo ha proiettato ben oltre i confini del surrealismo

Sono completamente disgustato dalla pittura, mi interessa solo lo spirito puro e uso gli strumenti canonici del pittore solo per essere sicuro che i miei colpi vadano a segno”.

Joan Miró

La formazione dell’artista

Joan Miró nasce il 20 aprile del 1893 a Barcellona e si avvicina al disegno e alla pittura sin da bambino. Nonostante il talento dimostrato, il suo futuro sembra essere lontano dagli ambienti dell’arte. Indirizzato dal padre, studia economia e lavora come contabile in una drogheria. In seguito ad una lunga malattia e ad una crisi di nervi, decide però di abbracciare definitivamente la sua più grande passione. Nel 1912 si scrive all’accademia privata di Francisco Galí, e proprio qui inizia ad elaborare i principi base della sua pittura.In seguito frequenta la Libera Accademia di Disegno del Cercle Artístic de Sant Lluc di Barcellona ed entra in contatto con le numerose temperie artistiche che animavano l’ambiente catalano. Conosce Van Gogh e viene influenzato dai colori violenti ed estremamente saturi presenti nelle opere dei Fauves.

Joan Miró le sue prime opere

Le opere del periodo giovanile sono legate all’ambiente rurale di Mont-roig, località del sud della Catalogna dove la famiglia Miró possedeva un’antica fattoria, considerata dall’artista un luogo di ritiro e d’ispirazione privilegiato nel quale soggiornerà periodicamente per tutta la vita. Il profondo attaccamento per la terra natia, per la sua gente e le sue tradizione sarà un tema sempre forte nell’artista spagnolo.

É proprio nel dipinto “Fattoria”, datato 1922, che l’artista riassumerà le principali ricerche giovanili. L’opera rappresenta uno dei tanti paesaggi dipinti nello stile vitreo e minuzioso tipico delle sue prime opere. La brillante fusione tra realismo primitivo e cubismo da vita ad un modo di rappresentare la realtà del tutto nuovo. Il realismo dettagliato è accompagnato dalla forte tendenza a semplificare tutti gli elementi in semplici forme geometriche astratte. Il dipinto è un compendio di dettagli separati, ciascuno attentamente osservato e descritto con precisione. Gli animali, gli attrezzi da lavoro, le piante, ognuno di loro ha il proprio spazio. Mirò affermò di non essersi allontanato dalla realtà di un solo passo e di concedersi una sola libertà, rimosse il muro dal pollaio in modo da poter vedere anche cosa stava succedendo dentro.

“Farm” è stato il risultato di tutta la mia vita nel villaggio. Volevo inserire nella tela tutto ciò che mi era caro in questi luoghi: da un grande albero a una piccola lumaca ”

Joan Miró

Joan miró, Fattoria
Fattoria, 1922 (Fonte:Pinterest)
Joan Miró finalmente a Parigi

Nel 1920 si trasferisce finalmente a Parigi. Qui conosce Picasso, Tzara e André Breton ed entra in contatto con l’avanguardia parigina. Il tema della terra rimane sempre preponderante, anche se il linguaggio cambia radicalmente. La scoperta del surrealismo provoca nell’artista nuove sollecitazioni che lo spingono alla rappresentazione di un paesaggio non più realistico, ma ricco di segni fantastici che fluttueranno negli anni a venire su astratti fondi monocromi. In numerose opere di questo periodo l’artista rende però gli animali da cortile e gli altri elementi della vita rurale estremamente stilizzati, collocandoli in uno spazio irreale, quasi a ricordare un ambientazione onirica. 

Testa di contadino catalano
Testa di contadino catalano,1925 (Fonte: Pinterest)
Un finto automatismo

A differenza dei surrealisti, che cercano di scavalcare la ragione per mettere a nudo il reale funzionamento del pensiero,  in Joan Mirò tutto è calcolato. Anche se a primo impatto possono sembrare opere nate dall’impulso, tutto ciò che vediamo nei suoi dipinti è inserito in modo volitivo. Parte  tutto da un input generato dalla realtà che arrivato alla mente del pittore mette in moto l’inconscio dando vita a ciò che è sedimentato nelle profondità della sua persona.

Il carnevale di Arlecchino

Di questo periodo ricco di cambiamenti e sperimentazioni, appartiene uno dei dipinti più famosi dell’artista catalano, Il carnevale di Arlecchino.

“L’ho dipinto nello studio di Rue Blomet. I miei amici d’allora erano i surrealisti. Ho cercato di plasmarvi le allucinazioni provocate dalla fame che soffrivo. Non dipingevo ciò che vedevo nei sogni, come sostenevano in quell’epoca Breton e i suoi, ma era la fame che mi provocava una specie di trance simile a quella che sperimentavano gli orientali”. 

Joan Miró

Joan Miró, Il carnevale di Arlecchino
Il carnevale di Arlecchino,1924/1925 (Fonte: Pinterest)

L’opera risale al 1924/1925 e secondo gli storici Mirò decise di interpretare un Arlecchino dopo aver visto alcune opere di Picasso. 
Al centro della tela, una figura fantastica indossa una maschera colorata per metà di rosso e per metà di blu. Il famoso personaggio della commedia dell’arte italiana che cerca senza successo l’amore e spesso gli artisti lo dipinsero identificandosi con le sue sfortune.
Il dipinto è animato da molte figure ibride festanti che si divertono al ritmo della musica che sembra diffondersi nel loro spazio fantastico.  
Alcuni oggetti poi sono “antropomorfizzati”. La scala sulla sinistra indica la fuga dal mondo e compare spesso nei quadri del grande maestro spagnolo. L’unico elemento realistico sembra essere la finestra, dalla quale si vede un triangolino che molto probabilmente simboleggia la torre Eiffel

L’assassinio della pittura

Già in questa fase della sua carriera, Joan Miró manifesta l’intenzione di “assassinare la pittura”, provocatorio intento nei confronti delle tecniche pittoriche tradizionali, che riesce a perseguire tramite una pluralità di intuizioni.
Negli anni trenta questo assassinio della pittura si estrinseca tramite il ricorso all’oggettualità, alla poetica della materia fisica del collage. Si cimenta con le litografie, l’acquaforte, la scultura, con la pittura su carta catramata e vetro e con il grattage tipico del surrealismo. Nascono i “dipinti-oggetto” a metà strada tra un quadro e una scultura, realizzati con objet trouvè. Inoltre accostando elementi trovati, realizza anche delle “costruzioni” che testimoniano la sua prima incursione nel campo della scultura. Oggetto, datato 1936  è una struttura che prende forma grazie alla combinazione di un chiodo, una corda, un osso, una perla e dei pezzi di legno dipinti e che allude a un focolare domestico. 

Cattivi presagi

Riconciliatosi con la pittura, le opere della seconda metà degli anni trenta sembrano presagire qualcosa di terribile. Mirò utilizza una tavolozza dalle tonalità violente e accese, creando paesaggi infernali in cui esseri mostruosi sono impegnati in danze sfrenate. Questi timori che l’artista esprime attraverso i colori e le forme nelle sue opere, fanno riferimento alla guerra civile spagnola scoppiata nel 1936, che rappresenta un vero e proprio sparti acque per il percorso artistico di Joan Mirò.

Natura morta con scarpa vecchia, Joan Miró
Natura morta con scarpa vecchia,1937 (Fonte: Pinterest)

Natura morta con scarpa vecchia” del 1937, definita dalla critica la Guernica di Joan Mirò, per la potenza visiva e l’atmosfera apocalittica che emana, possiamo interpretarla come un’allegoria sugli orrori della guerra che segneranno l’artista anche nelle esperienze successive.

To be continued

a cura di
Cesario Cesaro

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Cesario Cesaro

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