L’assedio di Waco: la docuserie Netflix a 30 anni dalla tragedia

L’assedio di Waco: la docuserie Netflix a 30 anni dalla tragedia
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Sono passati poco più di 30 anni dal 28 febbraio 1993 quando, su una collinetta nei pressi di Waco, Texas, ebbe inizio quello che si rivelerà essere uno degli eventi più tragici e controversi avvenuti su suolo americano dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

L’assalto, l’assedio ed infine la tragedia che videro coinvolta la setta dei davidiani, rimangono ad oggi una delle pagine più oscure della storia recente statunitense. Il 22 marzo 2023 Netflix ha rilasciato “L’assedio di Waco”, una docuserie che narra i fatti di cui sopra.

La serie, prodotta da Tiller Russell, racconta l’intera vicenda attraverso le voci di chi a Waco ci viveva, di chi vi ha combattuto e di chi ne ha seguito gli sviluppi. Davidiani, agenti di polizia, agenti dell’FBI e giornalisti ripercorrono così quei giorni, fornendo versioni molto diverse dei fatti che sconvolsero un intero paese.

David Koresh

I davidiani, un movimento religioso nato nel 1955 a seguito di uno scisma interno alla Chiesa avventista del settimo giorno, si erano stabiliti in un edificio sulla sommità di una piccola collina, Mount Carmel, a pochi chilometri dalla cittadina di Waco. Qui vivevano (in circa un centinaio) in una sorta di comune, senza acqua corrente e dediti ad una vita di raccoglimento e di comunità. Il loro controverso leader era David Koresh, il vero protagonista dell’intera vicenda.

Come detto, la serie tv intervista alcuni davidiani superstiti, che descrivono al meglio chi era, cosa predicava e come si comportava Koresh. Per la setta, Koresh era “il nostro Cristo, che ci consegnava la verità di Dio“. Egli si spacciava come la reincarnazione di Gesù e aveva convinto i seguaci di essere il Messia. Inoltre, predicava un’apocalisse imminente, che comprendeva la morte dei davidiani avvolti in fuoco e fiamme, in quella che lui considerava la guerra finale contro le forze del male.

All’epoca dei fatti Koresh aveva 33 anni (quale altra età avrebbe mai potuto avere?), e si era unito ai davidiani nel 1981, all’età di 22 anni. Qui aveva ben presto scalato i ranghi della setta grazie alla sua personalità e al suo magnetismo.

Alla morte del fondatore del movimento, Benjamin Roden, Koresh avviò un’operazione di appropriamento della leadership della setta, culminata con lo scontro a fuoco con Louis Roden (figlio di Benjamin) per il controllo della comunità. Koresh venne arrestato con l’accusa di tentato omicidio, ma successivamente rilasciato.

Vi fu così un’ulteriore scissione all’interno dei davidiani, e la fazione fedele a Koresh risultò essere la più numerosa. Nella sua folle interpretazione della Bibbia, Koresh riteneva che, in quanto Messia, ad esso spettassero tutte le donne della comunità, con le quali si doveva riprodurre per consentire il prosieguo della stirpe.

Ed è su questo tema che le ombre oscure e i riflettori della polizia iniziano ad accentrarsi su Waco. Secondo i davidiani, infatti, con il termine “donna” vengono comprese tutte coloro che hanno già avuto il primo ciclo mestruale. Si capisce immediatamente cosa questo potesse comportare. Koresh aveva preso in moglie una ragazzina di 14 anni, e aveva rapporti sessuali con diverse adolescenti. Annullò inoltre tutti i matrimoni della comunità, esigendo che tutte le donne diventassero sue mogli.

I davidiani accettavano di buon grado tutto ciò, in quanto erano fermamente convinti che Koresh li avrebbe condotti alla Salvezza. Una ex seguace racconta che fare sesso con David la “avvicinava a Dio“.

Oltre alle accuse di pedofilia, l’altro grande problema della comune davidiana era legato alle armi. In un’intervista dell’epoca, Koresh sosteneva che “le armi sono un diritto degli amerciani” (dichiarazione quantomeno curiosa per colui che dovrebbe essere Cristo).

L’edificio di Mount Carmel era un vero e proprio arsenale. Il sostentamento economico della setta dipendeva infatti esclusivamente dal commercio di armi da fuoco. All’interno dell’edificio si modificavano armi (reato federale) da semiautomatiche in automatiche, si insegnava ai bambini ad imbracciarle, si fabbricavano granate, vi erano mitragliatrici e fucili calibro 50 (i più pericolosi e distruttivi).

Il blitz e l’assedio

Le accuse e le testimonianze di fuoriusciti dalla setta portarono ad un intervento dell’ATF, l’agenzia governativa che vigila anche sull’utilizzo illegale delle armi da fuoco, in data 28 febbraio 1993. L’obiettivo era arrestare David Koresh. Il dispiegamento di forze intorno a Mount Carmel fu notevole, e vi era anche la presenza di una troupe televisiva.

Gli agenti dell’ATF accerchiarono la struttura e intimarono a Koresh e ai davidiani di uscire. La tensione era alta e nacque un pesante scontro a fuoco sul quale, ancora oggi, si dibatte in merito a quale delle due fazioni sparò il primo colpo. Furono utilizzati mitra, granate e fucili automatici. Il risultato fu di dieci vittime complessive, quattro agenti e sei davidiani. I seguaci di Koresh si asserragliarono dentro l’edificio e l’ATF si ritirò, dando così il via allo stallo che durò per 51 giorni.

Da subito intervenne l’FBI, che prese il controllo delle operazioni e diede il via a fitti negoziati con Koresh, con il quale gli agenti avevano una linea telefonica diretta. L’obiettivo principale dei federali era portare in salvo donne e bambini. Nei primi due giorni Koresh si dimostrò collaborativo, rilasciando un totale di 20 persone tra donne e bambini. Questi ultimi vennero fatti uscire a due a due, come narrato nella Bibbia in relazione all’Arca di Noè. Con il passare dei giorni, l’attenzione dei mass media su Mount Carmel cresceva sempre di più.

Koresh non avrebbe potuto chiedere di meglio. Aveva l’attenzione dell’interno paese su di sé, e sfruttò l’immensa vetrina per trasmettere una serie di messaggi con cui diffondeva il suo credo. Voleva essere il protagonista assoluto della vicenda e arrivò a porre come condizione per la sua uscita la possibilità di parlare alla nazione. Inviò così un sermone della durata di 58 minuti, che venne trasmesso per radio, in cui sostanzialmente parlava di sé stesso e del suo credo.

Ovviamente si rimangiò poi la parola e non si consegnò, dicendo che Dio stesso gli aveva ordinato di attendere. La tensione cresceva di giorno in giorno, i davidiani continuavano imperturbabili a rimanere asserragliati nell’edificio, incuranti di tutti i tentativi dell’FBI di farli evacuare. I federali arrivarono anche alle tecniche di privazione del sonno, trasmettendo per 24 ore suoni e rumori che avrebbero dovuto portare allo sfinimento mentale i membri della setta, ma così non fu.

L’escalation non dava segni di flessione, e anche all’interno dell’FBI il clima di nervosismo saliva. Non vi era un allineamento tra operativi e negoziatori, che agirono più volte in maniere opposte, infrangendo reciprocamente promesse fatte a Koresh e facendo così innervosire ancora di più il leader religioso.

La fine

Il dispiegamento dei carri armati Abrams, i più grossi in dotazione all’esercito USA, segnò un ulteriore innalzamento della tensione. Più le ore e i giorni passavano, e più era chiaro, da entrambe le parti, che l’intera vicenda non si sarebbe risolta con i soli negoziati.

All’ennesimo raggiro di Koresh, che comunicò che prima di uscire avrebbe dovuto terminare di scrivere una versione dell’apocalisse che a suo dire Dio stesso gli stava dettando, l’FBI ritenne conclusi i negoziati. Erano già passati 50 giorni.

Al 51° giorno, i carri armati iniziarono a perforare l’edificio e a scagliare all’interno dei gas lacrimogeni, con l’obiettivo di far uscire i membri della setta. Nello stupore generale, nessuno dei davidiani uscì. Improvvisamente, in punti diversi dell’edificio iniziarono a vedersi delle fiamme che fuoriuscivano dalle finestre. La struttura stava prendendo fuoco.

Con ancora più sgomento, i presenti e tutti coloro che in quei momenti erano incollati alla TV per seguire la vicenda, non videro nessuno uscire dall’edificio. I davidiani rimanevano nella loro base anche se questa stava bruciando. Solo nove di loro uscirono. Le fiamme avvolsero l’intero edificio nel giro di poco tempo, riducendolo in cenere e detriti.

Morirono carbonizzate 76 persone, tra cui donne e bambini. Koresh e i suoi fedelissimi vennero ritrovati all’interno di un bunker sotterraneo, con colpi di pistola alla testa, segno di un suicidio collettivo.

Le conseguenze

Ancora oggi vi sono due versioni riguardanti lo scoppio dell’incendio all’interno dell’edificio. L’FBI ritiene che i davidiani appiccarono il fuoco, come ultimo ed estremo gesto di martirio, per compiere il destino che predicava Koresh, ovvero di una loro morte tra fuoco e fiamme. I superstiti sostengono che i fumogeni lanciati dai federali all’interno della struttura erano altamente infiammabili, e abbiano quindi preso fuoco impedendo agli occupanti di poter uscire.

I fatti di Waco non rimasero però circoscritti a loro stessi. In quei giorni, oltre all’attenzione mediatica sensazionalista e generalista, la vicenda avvicinò al sito anche molti esaltati di estrema destra, fanatici delle armi e avversi al governo federale.

Uno di loro, Timothy McVeigh, per vendicare quanto accaduto in Texas, il 19 aprile 1995 piazzò sotto gli edifici governativi di Oklahoma City (dove allora lavorava il coordinatore delle operazioni FBI di Mount Carmel), un camion contenente una bomba. Ne scaturì quello che, fino all’11 settembre 2001, è stato il più sanguinoso attentato su suolo americano: 168 vittime.

I fatti di Waco rappresentano il perfetto esempio di come, in vicende di questo tipo, non esistono vincitori e sconfitti. L’opinione pubblica americana non vide di buon occhio le azioni confusionarie e contrastanti dell’FBI. Al tempo stesso non poteva simpatizzare per un personaggio come David Koresh.

Si verificò quindi quel fenomeno di pubblico straniamento che in questi ultimi anni abbiamo ben imparato a conoscere. Nessun punto di riferimento, nessuna parte per cui parteggiare. Quelli che dovevano essere i “cattivi” erano troppo cattivi per poter suscitare anche un minimo di empatia. I “buoni” non riuscirono ad agire in maniera limpida e chiara, addossandosi ben più di qualche sospetto.

Ne scaturisce un clima di sfiducia, di diffidenza, di rabbia, che porta all’emersione di leader estremi, radicali e provocatori. È un caso che, a 30 anni dall’accaduto, Donald Trump abbia scelto Waco come sede del suo primo comizio elettorale in vista delle elezioni del 2024? A chi legge l’onere della risposta.

a cura di
Simone Stefanini

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