“Lettera al mio giudice”, di Georges Simenon

“Lettera al mio giudice”, di Georges Simenon
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Lettera al mio giudice, pubblicato inizialmente ad episodi nel 1947, ci fa conoscere un Georges Simenon completamente diverso dal giallista incontenibile che ha allietato intere generazioni con lo storico personaggio del commissario Maigret.

Georges Simenon (fonte: Pinterest)

L’opera, infatti, non può considerarsi un giallo e, nonostante il titolo, neanche un romanzo epistolare dato che in realtà l’unica lettera del protagonista assorbe tutto il libro che termina in essa; al lettore non è dato sapere se sia mai pervenuta risposta.

Se vi chiedete come possa un uomo, un medico, benestante e conosciuto, un padre di famiglia, un figlio integerrimo e un cittadino modello, cadere in una profonda china di violenza e autodistruzione, questo è il romanzo che vi illustrerà tutte le risposte.

Fin dall’incipit del libro non ci sono dubbi, non ci sono gialli da risolvere: un uomo è stato condannato per omicidio. Si trova giustamente imprigionato e si assume tutte le sue colpe. Ma, ora che il processo che l’ha portato in una stretta cella è concluso, ha solo un ultimo, incredibile desiderio: vuole essere compreso.

Implora che la sua verità venga fuori, più di quanto possa essere ricostruita, addirittura, nelle solenni aule giudiziarie. E vuole che chi comprenda davvero sia proprio il giudice che l’ha condannato.

Signor giudice, vorrei tanto che un uomo, un uomo solo, mi capisse. E desidererei che quell’uomo fosse lei.”

La trama

Così inizia una lunga lettera del protagonista al giudice che si è occupato della sua istruttoria, Ernest Comeliau, dove partendo proprio dalla terribile esperienza in aula come imputato, il protagonista descriverà tutta la sua patetica vita fino al declino più funesto.

Fonte: Pinterest

Charles Alevoine racconterà tutta la sua storia parlando sempre in prima persona. Rimasto orfano di padre fin da piccolo, viene cresciuto da una madre possessiva e invadente che prenderà per lui tutte le scelte importanti.

Così egli stesso dichiarerà di non aver mai avuto le redini del suo destino e di aver vissuto sempre in balia degli eventi, così come pensati e programmati da decenni dalla società. Segue sempre le regole di buona condotta, sempre ligio ai suoi doveri. Studente modello, poi medico, come buona educazione vuole, sposa una brava donna che gli darà due figlie prima di morire di parto.

Per anni e anni, insomma, avevo vissuto senza accorgermene. Avevo fatto tutto quello che mi avevano detto di fare con scrupolo, meglio che potevo: ma senza cercare di conoscerne il motivo, senza cercare di capire.

Un uomo deve avere una professione, e la mamma aveva fatto di me un medico; deve avere dei figli, e io ne avevo; deve avere una casa e una moglie, e io le avevo.”

La svolta nella vita del protagonista, come invero capita in tutte le esistenze, accade per caso, con un treno perso. Proprio ad indicare come, da qui in poi, il dottore perderà tutta la sua vita.

E’ incredibile quanto può sembrare lungo un treno quando lo si perde; i vagoni non finiscono mai di sfilare lungo la banchina”

Così, nell’attesa del prossimo treno, di una seconda possibilità, il fato si frapporrà impetuosamente e Charles farà sulla banchina la conoscenza di Martine.

Donna esile, arrampicata su tacchi altissimi, Martine nasconde tutte le sue incertezze dietro sigarette tenute tra due dita sottili, un fare da donna emancipata e innumerevoli bicchieri di gin.

Sfrontata con gli uomini e dedita esclusivamente ai piaceri, questa donna farà letteralmente impazzire il placido dottore. L’iniziale conoscenza presto diventerà un’ossessione, al punto da abbandonare l’intera famiglia per trasferirsi, come due sposini, in un’altra città.

Ossessione

Ben presto quello che sembrava amore diventerà possesso nella più distorta percezione della passione. Il protagonista, inizierà a soffrire il carattere esuberante della sua amante fino a impazzire per i più normali comportamenti umani.

Era sfuggita al mio controllo; vedeva altre persone e con loro parlava, sorrideva!”

Fonte: Pinterest

Allora la soluzione è lampante. Questo essere così fresco, passionale, vivace, non è la donna che solo lui conosce davvero, è l’altra, la vecchia Martine. E deve essere distrutta.

La vecchia Martine deve morire per lasciare finalmente libera la docile ragazza ubbidiente: la vera Martine.

Per Martine.

Per la vera Martine.

Per essere certo di averla liberata per sempre. Perchè viva il nostro amore, che ormai può vivere solo in me.”

Il romanzo, così, è una vera e propria descrizione, giorno dopo giorno, di come un uomo possa scivolare pian piano (pianissimo), in un abisso distorto di violenza, provandone al contempo vergogna e giustezza. Offrendo le proprie azioni sull’altare di un’impresa amorevole. Ogni schiaffo depura, pulisce e innalza agli occhi dell’uomo e a quelli di Dio. La punizione è la via per la salvezza. La morte è l’unica via percorribile per giungere al vero amore.

Il giudizio

Il romanzo divide sicuramente i lettori. L’argomento è urticante e il modo in cui viene trattato è tossico. Il protagonista, infatti, per buona metà del libro suscita la nostra comprensione e simpatia. È un uomo buono e corretto: è un giusto.

Questo non va bene al lettore modello. La violenza è per gli antagonisti, per i cattivi!

Perché imporre questa delusione?

Quello che sicuramente mi ha spinto a comprare questo libro è l’espediente narrativo della lettera a un giudice che ha già irreversibilmente giudicato.

Ancor di più mi ha incuriosito leggere che l’autore della lettera non implorava alcuna pietà, anzi! La sua impresa doveva essere, semmai, meglio descritta.

Le prime trenta pagine del libro, seppur forse non essenziali alla trama, coinvolgono per la descrizione processuale. Soprattutto per come viene trattato e percepito un uomo a processo: non più umano.

Charles non è più un medico, un padre di famiglia o un marito. Non è più una persona.

La stampa lo descriverà come un grosso rospo. Il pubblico lo guarderà come una pulce. Il giudice, potere supremo della sua vita, non lo guarderà affatto.

Non ha guardato dalla mia parte. Eppure io avevo una voglia matta di salutarla, di avere un contatto umano con lei. E’ così ridicolo?”

Un libro intenso per tutti gli argomenti che tocca: la società, l’amore, l’ossessione, il femminicidio, il processo e il declino umano.

Tutto viene esposto dalle chiare parole di Simenon in un linguaggio pulito e secco, senza fronzoli, proprio per lasciare ai soli eventi il potere di sprigionarsi come meglio credono nella mente dei lettori.

Siamo arrivati fin dove abbiamo potuto. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Addio, signor giudice.”

a cura di
Rossana Dori

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