“Recordare” la poesia dell’inverno

“Recordare” la poesia dell’inverno
Condividi su

Recordare è un’esortazione al ricordo, tra imperativo e infinito. Una raccolta di poesie che parla della morte dei padri e delle madri

L’inverno è la stagione perfetta per morire: gli alberi hanno definitivamente abbandonato la loro veste di foglie, gli animali si nascondono muti in attesa di una primavera che ormai arriva a stento, il panorama è tinto di nebbia e il bianco ottico del cielo ricorda una tela bianca. Sarebbe bello che questo articolo fosse un kit di sopravvivenza all’inverno, all’uggia e al dolore sonnolento che si porta appresso. Invece no! 

Parliamo di morte, o peggio, della morte dei padri e delle madri. 

La poesia del lutto

Per Natale, una mia cara amica, mi ha regalato un libro particolare che parla di perdita, di orfani ed in qualche modo anche di amicizia. Recordare è una raccolta di poesie edita da Incontri Editrice e pubblicata nel 2011. Lega tre autori: Roberto Alperoli, Alberto Bertoni ed Emilio Rentocchini, i quali spiegano perfettamente il senso della loro raccolta nell’incipit. 

Sul risguardo di copertina si legge:

“Da dove nasce il nostro Recordare? Dalla perdita. Poi, nasce dalla morte dei Padri e delle Madri. Dalla dolcezza, dallo smarrimento, dallo stracciamento. E dalla crudezza. Dallo sguardo del sopravvissuto, dall’essere figli per tutta la vita. Da una comune malinconia che comunque ci attraversa. Da un’amicizia poetica, la nostra, che in quanto poetica si è costruita sui millimetri e nei millimetri della vita”

Dei padri e delle madri

Il libro si compone di tre parti: La luce interiore dell’inverno di Roberto Alperoli, Quaderno della Madre di Alberto Bertoni ed infine Elegia domestica (poemetto) di Emilio Rentocchini. Ogni autore affronta, nelle sue pagine dedicate, l’intimità del lutto. È sorprendente leggere come i tre poeti, pur affrontando una tematica in grado di accomunare sentimenti e vissuti così distanti, abbiano parlato della morte dei genitori in poesia, attraverso stili e temi molto differenti tra loro. 

In alcuni casi i versi sono letali: la poesia vaga nelle figure e gira attorno ad un esistenzialismo schietto; carica il colpo e spara.

Ti vengo a trovare / in un taciuto / di mondo / quasi fetale. / Lo sguardo viene / fuori verso il dentro, / scarno e trasognato. / Hai le spalle nel cielo, / le nuvole incompiute, / il viso mai ricominciato. 

Altre volte la morte della madre, si tinge di ricordi vividissimi. Le parole diventano un sogno lucido, alcune volte brutalmente ironico ed altre amarissimo. Troviamo parole dalla compiaciuta giocosità di movenze in bilico sul tragico. 

Fuggo nella libertà / di un the al limone fuori stagione / e nell’eccelso / del velo di zucchero sparso / all’angolo della bocca / contratta nello spasmo / che ingoia tutto il molo d’asfalto / la chimera, la piaga, lo slancio / dove salpa la zattera che porta / la demenza di mia madre e di mio padre / nel mare senza luce. 

C’è invece chi si tinge di romantico ricordo. L’amarezza della morte è solleticata dal tempo, a volte quasi fantastico e surreale. Un italiano leggerissimo, che conserva le radici dei luoghi e le tinge di lunghissimi frammentati periodi trasparenti. 

Oggi qui / si sta bene / proprio come / diceva mia madre / ogni volta. / Sarà bene un bel / posticino ripeteva / sollevata. Allora / facevo di sì / con la testa / mi trattenevo / a fatica. / (…) / c’è poco da fare / in questi frangenti / solo la morte / rischiara. / E se / finire fosse / poi smarrirsi / in un quieto / abbandono nel / pomeriggio desueto / della nostra / memoria ascoltando / i rumori di allora giù / nel cortile / dove ogni cosa / monotona / rimane e ritorna 

Morte che abita la vita

“Pare che non sia possibile parlare della morte dei genitori senza regredire alla propria infanzia. O, per lo meno, che non lo sia in poesia.” riflette Marco Santagata nella prefazione “La parola poetica possiede il dono misterioso della consolazione” 

Infatti Recordare è una digressione continua, un’analisi logica della polvere della quotidianità, appesantita dalla mancanza dei genitori che anche in età adulta, continuano ad essere grammatica dell’esistenza di un individuo. 

La morte dei padri e delle madri è tesi di un esistere che si sgretola: è come perdere il corpo od una parte di esso. 

Eh, beh, carissima, sì / immagina come rimango / blindato qui / fra l’utero e il marmo / ridotto a puro pianto / io finalmente nessuno, muto / fra l’utero e il marmo  

Ma è anche fresco ricordo, di un tempo fatto di attimi. La morte è il peso definitivo del rapporto. Memoria circolare dei proverbi. E la poesia diventa ricordo, rimedio scevro dal dolore. A volte menzogna arginatrice. 

E se si / svegliava di notte / anche da giovane sposa / le bastava contare / dal letto all’infinito / i pois rossi / della vestaglia appesa / alla luce filtrante / dei lampioni / della piazza (…) Mia / madre già si allenava / a dormire / per sempre nel / niente. Prendeva / sonno come / si fugge.

Questa morte abita la vita e le parole con cui la vita si racconta. La poesia ha questo dono: collezionare parole scevre dal tempo. E il ricordo anche più amaro si disegna di poesia e rende possibile affrontare il lutto attraverso meccanismi di sincero abbandono linguistico. 

Mi sembravi un volto / a parte / distribuivi un tempo / abbracciato ai nervi / eri saldo / e solido macinatore / di istintivi / e parole avanti / nel corpo del tema. 

La terra, l’Emilia, la luna.

Cito Vasco Brondi solo perché se devo descrivere questi tre poeti, le sue parole mi ritornano alla mente. L’Emilia è un’area geografica profondamente poetica e gli autori di Recordare, tra i tantissimi, ne sono un esempio. 
Questo libro abita un luogo preciso: la zona di Modena

Tra le righe dei loro versi troviamo il caldo afoso della pianura padana, la nebbia fitta degli inverni, la primavera dei noceti, il dialetto e le strutture ospedaliere della zona. Con mia sorpresa non ho ritrovato parole metaforiche e vestite di figure, ma una specificità degli attimi, dei racconti. Chi vive in queste zone ne riconosce la struttura, come una geografia di parole che superano l’intimità della perdita e corrono ad abitare le strade:


Sembrava mio padre / quel vecchio in bicicletta. / si guardava nell’aria / con un sospetto / quasi amico / nella nebbia sollevata / e protettiva / si respirava, /lento e violento, / il silenzio della primavera

E sembra quasi di vederlo, sotto i portici rossi, un anziano uomo vagheggiare un po’ smarrito. Quasi come una fotografia di Ghirri, che cattura l’intrisa essenza della via Emilia. 
Altre volte predomina la geografia di una periferia fatta di stoppie e odori di campo, di traversate innevate e cieli tersi:


Eppure anche oggi è marzo / e la neve si trasforma in pioggia / perché mai nessuna donna mi ha lasciato / al freddo per più di un secondo / e nessun padre si è mai dimenticato / di me in un campetto di calcio / o su un prato in un giorno di caldo / e nessun nonno mi ha fatto / mai staccare la mano / quando in un tardo / pomeriggio di ottobre / il mondo sembrava cancellato / e l’aria sapeva di bruciato / stoppie o caldarroste. 

Oppure la geografia è quella delle tradizioni: penso alle sagre di paese, alle stradine strette di campagna incorniciate da lunghi fossi, al dialetto che diventa testo alternativo del linguaggio, alle parole intraducibili ed all’odore della terra in agosto.


Se il motore / non fa le bizze / in pochi minuti infilo / il mio viale. Lei / è morta apposta l’otto / settembre il giorno / della sagra. Era nata / a ferragosto

fotografia di Luigi Ghirri (fonte: Pinterest)
Senza fine

Per concludere, Recordare è sicuramente una raccolta piena e delicata. Il merito è dei tre autori che l’hanno coltivata come luogo comune. Questo libro risulta, alla fine, il segno collettivo di un dolore intimo. Ho trovato estremamente interessante il fatto per cui il dolore, come l’affetto più alto, si moltiplichi nelle eco di una intimità che alla fine tutti prima o poi siamo portati a provare. Come ricetta o simulacro di un rapporto ossimorico. 
Privato e pubblico si contaminano in una struttura poetica atta alla riflessione che è delle madri e dei padri. È della vita che passa e passando trascina l’esistenza, le domande, i ricordi, la stagionalità e i luoghi dell’emotività. Le parole a una madre o ad un padre defunti colmano il vuoto, rimarginano il trauma e in esse vibra forte il volo della poesia. 

È un finire, senza fine.

a cura di 
Silvia Franchini

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – I Verdena si esibiranno a Roma il 31 marzo
LEGGI ANCHE – Pecci è il nuovo volto della fusione musicale made in Italy e ce lo dimostra con “Incubo”, il suo nuovo singolo
Condividi su

Silvia Franchini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *