“3.33” – Intervista con i produttori e col cast!

“3.33” – Intervista con i produttori e col cast!
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“3.33” è una nuova serie tv thriller dalle sfumature horror prodotta da Namas Acerboni e Roberto Chierici, disponibile da lunedì 31 ottobre sulla piattaforma streaming gratuita Serially. Noi di The Soundcheck abbiamo incontrato i produttori e il cast, che ci hanno raccontato tante curiosità ed aneddoti su questo progetto indipendente, di cui vi parliamo in questa intervista! 

Buonasera, siamo qui con Namas Acerboni e Roberto Chierici, rispettivamente regista e direttore della fotografia, nonché produttori di “3.33”, una serie tv italiana indipendente disponibile dal 31 ottobre su Serially.

Vi ringrazio per il vostro tempo, e vi faccio i complimenti per la serie – l’ho vista tutta d’un fiato! Sei episodi davvero interessanti, che riescono a mantenere viva l’attenzione dello spettatore senza annoiarlo mai. 

Vi chiedevo, innanzitutto, com’è nata l’idea di “3.33”? 

Namas Acerboni: “3.33” è nata un po’ per caso, dalle sedute di ipnosi che avevo fatto per una terapia. Questa esperienza mi ha lasciato qualcosa, tanto da associarla, di colpo, all’immagine di uno psichiatra che cura un ragazzo ossessionato da qualcosa. Ad essa ho poi collegato il 3.33, che solo dopo ho scoperto essere un numero esoterico (perché giuro che non lo sapevo!). Ci sono state queste coincidenze, e da lì, successivamente, ho costruito tutto il soggetto che è stato sviluppato assieme a Matteo Fontana.

La partenza, però, è stata quella: in seguito alla mia esperienza personale con l’ipnosi, una terapia che mi incuriosiva – non sono una persona che ha timore di queste cose! Sono rimasto affascinato da essa, perché in essa ho trovato delle mie risposte. E da lì è partito il tutto

Roberto è stato la prima persona a cui ho parlato di questo progetto, e il primo in assoluto che gli ha dato fiducia, appoggiandomi. Abbiamo così dato il via alla produzione, insieme. È da un po’ di anni, infatti, che collaboriamo in ambito di produzione televisiva, e, quando a cena gli ho esposto il progetto, la sua risposta, di getto, è stata…  

Roberto Chierici: …ho detto «Facciamolo subito!».
Da lì è incominciato il nostro percorso insieme. La lettura della prima stesura mi aveva colpito già dal principio, ed ero molto entusiasta. Ho pensato: «Basta, bisogna girarlo» e da lì abbiamo iniziato a metterci all’opera e a costruire il mondo che vedete nella serie. 

Poi, ovviamente, abbiamo avuto in mezzo la pandemia, che sicuramente non ha aiutato, ma superato quel periodo è ripartito tutto alla grande! 

A questo proposito, parlando del periodo del Covid, avete riscontrato gravi problematiche durante la produzione della serie? Ci sono stati anche alcuni aspetti positivi? 

Namas Acerboni: come aspetto positivo, collegarci e lavorare in videochiamata ci ha permesso di dimenticare quello che stava accadendo. Io e Roberto facevamo mille chiamate, eravamo totalmente coinvolti dal progetto. Siamo saliti su questo treno, un treno che poi non si è più fermato.

Roberto Chierici: sono d’accordo. Anch’io ho passato il periodo della pandemia collegato al pc 24 ore su 24 con Namas, tra stesure, letture ed idee! Ma anche con i ragazzi ed il coach per le prove attoriali. Insomma, è stato un periodo dove ci siamo dimenticati del vero problema: il Covid. Siamo riusciti ad essere vicini ugualmente, nonostante non fosse facile creare un progetto artistico, dove hai bisogno di sensazioni vis-à-vis. Poi, calmatasi la situazione, ci siamo fiondati fuori a fare le riprese.

Abbiamo girato 55 giorni, nei vari mesi. Finita l’estate, quando sono ripartiti i blocchi, con il coprifuoco che scattava alla sera, ci siamo ritrovati a girare scene che richiedevano 8/9 ore di riprese in sole 3 ore! È stato complicato, ma divertente. Non ci siamo assolutamente scoraggiati.

Namas Acerboni: Eravamo molto focalizzati sul lavoro. Anche in questa parte della produzione, decisamente complessa, perché molte di queste scene notturne erano d’azione e richiedevano uno sforzo maggiore. Abbiamo dovuto mettere una pressione diversa anche agli attori, perché quando hai poco tempo la scena deve venire perfetta subito. Forse l’adrenalina scaturita da quella particolare situazione è risultata particolarmente efficace perché ha conferito una maggiore credibilità ad alcune scene che abbiamo girato. È stato sicuramente motivante

Per quanto riguarda l’elemento horror, avete preso spunto dal folklore o da elementi della tradizione, compiendo studi o ricerche?

Namas Acerboni: in realtà no. Il soggetto è inventato di sana pianta. Io ad esempio, come accennavo prima, ho scoperto solo dopo, tramite Alessandro Scirea (Alex), che il 3.33 è un numero evangelico. Poi, a dire il vero, ci sono analogie perfette. Ma, per quanto mi riguarda, avevo scelto questo numero per l’associazione automatica, chiudendo i tre cerchi e ribaltandoli, al 666.

L’unica associazione esoterica che ci può essere – ovviamente romanzata – è su Trialba, la cittadina. Inizialmente, infatti, volevo girare la serie a Triora, un luogo della Liguria chiamato anche “Città delle Streghe”. Lo sceneggiatore, Matteo Fontana, ha invece inventato Trialba. 

Per la realizzazione del libro del 3.33 ci siamo tuttavia ispirati al “Necronomicon“, il libro dei morti, che a livello visivo lo ricorda molto. Mi serviva, infatti, un elemento che mettesse ansia, e ho quindi ripreso l’immagine di questo libro – ovviamente con le dovute differenze! 

C’è anche un’altra citazione, a dire il vero: quella del bibliotecario che, quando Alex si reca nel Bibliotreno, ha la stessa acconciatura del Dracula di Bram Stoker. Un omaggio ad un film davvero atomico! 

Ci sono stati altre opere da cui avete preso spunto? 

Namas Acerboni: no, anche se, probabilmente, dal punto di vista scenografico (ad esempio per ambienti pieni di oggetti come il Bibliotreno) posso essere stato condizionato indirettamente da saghe come Harry Potter o Indiana Jones, di cui sono un grandissimo fan! Tuttavia questa influenza non era assolutamente intenzionale, e l’ho associata solo in un secondo momento, mentre giravo la serie. 

Roberto Chierici: per quanto riguarda la fotografia siamo partiti da un’idea, da suggestioni avute guardando serie già esistenti. Tuttavia, dopo il primo ciak abbiamo deciso di portare avanti un nostro percorso. Una nostra idea totalmente personale di fotografia, mischiando tantissimo i colori, utilizzando immagini molto scure.

Giravamo le scene diurne di notte e le scene notturne di giorno, il che era sempre un po’ un problema per le luci, per una questione di tempistiche e organizzazione. Sotto l’aspetto tecnico, però, questo mi ha aiutato a lavorare un po’ diversamente dal solito. 

“3.33” è una serie tv indipendente. Come si realizza un progetto di questo tipo? 

Namas Acerboni: abbiamo fatto sicuramente un lavoro enorme per quanto riguarda le pubbliche relazioni e i partner che sono stati messi assieme.

Penso che questo sia stato il lavoro più faticoso in veste di produttori: trovare soldi e partnership. Non ci sono, come avrai potuto notare, task credit o film commissions. Non abbiamo avuto aiuti di quel tipo. 

Questo anche perché abbiamo deciso di girare immediatamente, visto l’interesse di vari distributori (scegliendo poi Serially, che per noi rappresentava quello più idoneo).

Roberto Chierici: ad oggi creare una produzione indipendente non è una cosa facile. Sicuramente il punto di partenza è l’entusiasmo. Ci sono poi alcuni ruoli fondamentali per far sì che il prodotto finito abbia un senso compiuto.

Come dice Namas, non è stato facile, e abbiamo sicuramente avuto alti e bassi, che abbiamo sempre affrontato con entusiasmo, sostenendoci a vicenda quando ce n’era bisogno. Abbiamo avuto dietro una squadra di professionisti incredibile, che ci ha sempre aiutato. È stato un periodo abbastanza difficile, ma, se tornassi indietro, rifarei tutto da capo. 

Namas Acerboni: la perseveranza ha sicuramente contribuito a portare a termine una serie di accordi che c’eravamo prefissati. Poi ovviamente, osservando il risultato finale – per noi decisamente buono, per una produzione indipendente di questo tipo – si supera tutto! 

L’unico appunto che ci stanno facendo in molti è quello di aver sviluppato tutta la parte finale (inerente alla rivelazione sul libro) un po’ troppo velocemente. Quello è sicuramente un pezzo della storia che avremmo voluto approfondire, ma, purtroppo, non vi siamo riusciti, a causa delle tempistiche ristrette e della mancanza di mezzi.

Ovviamente c’è poi a chi pesa di più e a chi pesa di meno. 

Siete soddisfatti del risultato? 

Namas Acerboni: per quanto mi riguarda, sì! Abbiamo fatto la serie tv che volevamo fare. Con la nostra testa, senza condizionamenti, come quelli imposti dalle grosse major ad alcuni registi e produttori. Questo aspetto è stato sicuramente uno dei migliori di questa esperienza: non possiamo pentirci di quello che abbiamo fatto, perché l’abbiamo scelto completamente.

Devo dire di essere stato fortunato, in primis per il sostegno di Roberto, e per quello di tutte le persone che hanno appoggiato il progetto, riponendo la loro fiducia in un regista che non aveva mai fatto un film. Per quanto io e Roberto avessimo avuto, in passato, piccole esperienze cinematografiche con la realizzazione di cortometraggi o miniserie legate ai brand, dove probabilmente si percepiva quello che avremmo potuto realizzare, non avevamo, tuttavia, mai lavorato a nulla del genere.

Sono stato fortunato: mi hanno dato tutti estrema fiducia, anche chi nutriva qualche dubbio e chi vi ha messo tutto se stesso, lavorando duramente. Spero che anche loro, come me, siano soddisfatti del risultato, e che “3.33” possa piacere al pubblico. 

Roberto Chierici: personalmente, essendo, oltre che produttore assieme a Namas, anche direttore della fotografia, ho avuto la possibilità di lavorare un po’ come volevo. Quindi, sì, mi sento soddisfatto del risultato finale.

Ci sono cose che magari avrei fatto meglio? Certamente! C’erano alcuni limiti evidenti, ma guardando il risultato finale mi ritrovo innamorato. Questa è una cosa che non cambierà in me. Dovessi rifarlo, lo rifarei subito. Uguale. Nello stesso identico modo.

Qual è la vostra opinione sui prodotti cinematografici e seriali italiani, e quale potrebbe essere il futuro del nostro Paese in questo ambito? 

Namas Acerboni: secondo me bisogna ritornare ad essere orgogliosi di essere italiani. Ci massacriamo sempre come popolo, nonostante abbiamo in noi una grandissima creatività, superiore a quella di moltissimi altri al mondo. Penso che, dal punto di vista fotografico e registico, il cinema italiano sia enormemente migliorato e si sia notevolmente evoluto, negli ultimi anni.

Forse servirebbe un po’ più di azzardo, andando oltre ai classici generi trattati (come il dramma e la commedia), dedicandosi maggiormente ad altri. Abbiamo comunque fatto notevoli passi avanti. Penso a Freaks out, l’ultimo film di Mainetti, che non ha nulla da invidiare ad altre produzioni internazionali, considerando anche il fatto che noi abbiamo spesso budget più bassi.

Ci sono, ovviamente, prodotti non all’altezza, ma con le nuove generazioni stanno migliorando.
Ci sono registi che hanno rotto gli schemi, come Martinelli o Garrone, con una certa audacia. Persone che, ad un certo punto, hanno deciso di fare un azzardo. 

Noi, in questo senso, siamo partiti facendo questo azzardo: decidendo di realizzare un thriller, ma, allo stesso tempo, caratterizzandolo. Inserendolo in una realtà italiana

Penso comunque che con le nuove generazioni la nostra produzione cinematografica e seriale evolverà notevolmente.

Roberto Chierici: il cinema italiano è ritornato ad una narrativa molto importante, cercando di cambiare il linguaggio. Tuttavia, per quanto riguarda questo settore, il nostro Paese è visto, ancora oggi, come un vaso tutto da riempire, nonostante abbia alle spalle una storia importante a livello cinematografico.

Purtroppo per una questione culturale ed economica, questa storia si è interrotta ed il cinema ne ha risentito. Tuttavia ora le cose stanno cambiando: molti progetti stanno tornando ad avere budget con un certo significato. Siamo un Paese più piccolo in confronto ad altri, ed economicamente diventa tutto più difficile.

Non servono solo i soldi per realizzare grandi progetti, ovviamente. Ci vuole anche una visione. E, al giorno d’oggi, la gioventù non è più stabilita dall’età anagrafica, ma da quest’ultima.
Una visione, nel mondo del cinema, è fondamentale. 

Facciamo ora qualche domanda al cast, per sapere com’è stata questa loro avventura sul set. Ho qui con me Alessandro Scirea (Alex), Claudio Savina (il Dottor Petrov), Marta Rizzioli (Teresa, la madre di Alex), Letizia Liccati (Brianna). Parto subito col chiedervi cosa vi ha attratto inizialmente di questo progetto?

Alessandro Scirea: io avevo letto il soggetto, e nella lettura ho rivisto tutti quei mondi che mi avevano affascinato, cinematograficamente parlando, fin da quando ero bambino. È stato come immergersi, con l’immaginazione, nelle mie fantasie passate. Per questo motivo ho deciso di accettare subito!

Marta Rizzioli: a me ha affascinato quello che avrei dovuto affrontare! Era una bella sfida: passare da un personaggio in apparenza normale – una madre apprensiva e preoccupata per il figlio – a tutto quello che succederà dopo. Questo sicuramente mi ha attirato molto.

Claudio Savina: io invece risponderò così a questa domanda: per quello che riguarda la serie, ritengo che essa sia un po’ il sunto di tanti lavori. Il comune denominatore è però rappresentato da Namas, il creatore della serie, che conosceva praticamente tutti. Lui ha creato questa storia nella sua testa, facendosi aiutare poi da un writer. La cosa folle è che quest’ultimo ha scritto cose presenti in un quadro che si trova a casa di Namas. Dentro quel quadro ci sono gli elementi di “3.33”.
E chi è che ha disegnato quel quadro? Il nonno di Namas!

Ecco, questo in qualche modo può rispondere alla tua domanda. Dentro questa serie ciò che si crea, senza essere realizzato da chissà quale grande produzione, è quel tipo di magia vissuta tutti i giorni: io che trovo la penna 333, Loris che si sveglia nella notte alle 3.33… Namas le ha attratte a sé, e le ha messe dentro questa serie.

Noi, per quanto ci riguarda, ci siamo fidati di lui e di Roberto, due professionisti eccezionali, sapendo che avrebbero creato un prodotto dal risultato eccezionale. E questo è quello che si vede infatti!

Letizia Liccati: a me ha attirato il lavoro in sé. Partecipare ad un progetto thriller/horror, da super fan di questi generi, mi ispirava parecchio. All’inizio ero curiosa anche solo di provare a fare il casting, poi da quando sono stata presa è stato tutto enorme! Non era sicuramente un progetto a cui si può – o a cui si vuole – dir di no. 

Com’è stata l’esperienza sul set, soprattutto nel periodo del Covid? Ci sono stati anche aspetti positivi legati al periodo storico che abbiamo vissuto? 

Alessandro Scirea: sicuramente come aspetto positivo c’è stato il fatto che noi, un po’ privilegiati, abbiamo condotto una vita differente rispetto a quella del lockdown. Questo perché, in un momento storico dove la divisione dalle persone era obbligatoria, noi siamo riusciti a costruirci delle vite parallele che si sono sviluppate con il progetto di “3.33”.

Per quanto riguarda le difficoltà, sicuramente quelle relative ai coprifuochi, che ci portavano a lavorare velocemente per non essere fermati.

Avevate dei permessi per girare la notte?

Marta Rizzioli: no, non potevamo girare. Alle 22:00 dovevamo essere a casa, quindi cercavamo di girare in più giorni, ma fino alle 21:30, perché poi dovevamo rientrare. 

Letizia Liccati: alcune notturne sono state fatte in un periodo in cui fortunatamente non c’era il coprifuoco. Lì potevamo star fuori anche fino alle cinque della mattina.

Alessandro Scirea: ma la cosa divertente è che, quando è arrivato il periodo del coprifuoco, c’erano ancora alcune riprese notturne da girare, ma, essendo autunno, faceva buio prima e riuscivamo ad avere lo stesso l’atmosfera giusta.

Marta Rizzioli: penso che “3.33” sia stata una piccola salvezza, perché noi comunque uscivamo di casa per lavorare, per girare e per stare insieme, mentre il resto del mondo si parlava dal computer.

Claudio Savina: ed un’altra cosa che ha aiutato molto “3.33”, è che questa situazione comportava una paura, una preoccupazione. Una suspense che ci siamo portati dentro, e che abbiamo infuso nella serie.

Com’è stato lavorare insieme? 

Alessandro Scirea: per quanto mi riguarda, la cosa veramente forte è stata ritrovarmi a lavorare con un insieme di persone aventi obiettivi comuni e l’amore per un’arte come il cinema. Costruire assieme a loro una famiglia, immersi, tutti insieme, nella creazione di qualcosa di bello.
Un’opera, un prodotto, che è stato figlio del nostro lavoro insieme sul set. 

Marta Rizzioli: sì, abbiamo costituito, tutti insieme, una sorta di famiglia. Per quanto riguarda il lavoro sul set, ognuno aveva le proprie convocazioni, in base ai propri personaggi. Ale, Letizia e Loris, ad esempio, giravano spesso scene assieme. Io sicuramente più con Ale.  

Alessandro Scirea: io ho passato molto tempo con il Dottor Petrov, ed è stata un’esperienza mistica! Poi, personalmente, avendo curato anche tutta la parte estetica di styling dei personaggi durante la produzione, ho trascorso molto tempo sul set, anche quando non giravo. 

Claudio Savina: ci tengo a ricordare che, durante il nostro lavoro sul set, abbiamo avuto la fortuna di avere come coach un grande professionista, Daniele Cauduro, che è riuscito ad aiutarci mentre giravamo.

Mentre noi lavoravamo su convocazione, come ha accennato Marta, Daniele è stato presente giorno dopo giorno: il suo lavoro è stato essenziale e determinante per la riuscita di “3.33”.
Basti pensare che l’unica giornata di riprese dove non è stato presente abbiamo fatto fatica a girare scene chiave elementari, che, proprio a causa di questa loro estrema semplicità, sono risultate le più complesse da realizzare.

Anche Daniele, così come Namas, è stato un anello di congiunzione fondamentale, che ci ha permesso di giungere a quel risultato, portandoci tutti allo stesso tempo, alla stessa dimensione, alla stessa situazione.

Perché è vero che ci sono personaggi più o meno importanti per quello che riguarda la serie, ma a mio avviso sono tutti posti sullo stesso piano. Hanno tutti lo stesso valore. Un risultato che deriva da questo tipo di lavoro svolto, attraverso il quale si è riusciti a creare questa dimensione. Se, infatti, venisse a mancare anche solo uno dei personaggi – uno qualsiasi! – la serie non funzionerebbe.

Marta Rizzioli: tra l’altro noi abbiamo iniziato a conoscere i nostri personaggi proprio con Daniele Cauduro, collegandoci online su Zoom. In quel periodo, infatti, non si poteva proprio uscire. Lì abbiamo iniziato il lavoro su essi, imparandoli a conoscere, e incontrandoci anche noi, per la prima volta!”

Alessandro Scirea: pensa che emozione scambiarsi le battute su Zoom, con la connessione che saltava perché tutta Italia era connessa! 

Claudio Savina: cosa che, in realtà, ha rappresentato una fortuna per noi, perché, nonostante il budget ristretto e le limitazioni di tempo, la pandemia ci ha dato la possibilità di fare prove in più, che poi sono risultate fondamentali, proprio grazie a questo lavoro aggiuntivo fatto online sui nostri personaggi. 

Per quanto riguarda questi ultimi, come avete lavorato su di loro? Vi sentite ancora legati ad essi? 

Letizia Liccati: assolutamente sì! Amo tantissimo Brianna. Il mio tipo di approccio è stato un po’ diverso, perché non provenivo dalla recitazione e dovevo approcciarmi nel modo giusto al mio personaggio. Fondamentale e prezioso è stato sicuramente l’aiuto di Daniele, che ci ha fatto lavorare molto su noi stessi e sul modo di trasporre sullo schermo le emozioni che dovevamo trasmettere. Io ho messo un po’ di me stessa nel personaggio di Brianna. Per certi aspetti siamo sicuramente simili

Claudio Savina: per quanto riguarda me e il mio personaggio, io e Namas ci conoscevamo già, e da questa conoscenza è nato il Dottor Petrov.

Mi è capitato, in passato, di realizzare corti e film dove il mio personaggio era stato costruito su di me, ma in questo caso ho fatto più fatica, perché Petrov ha un carattere introverso e un po’ indisponente. Mi sono sforzato di stare il più serio possibile, ma a parte questo aspetto, il personaggio era già nato prima e lo avevo nelle mie corde. Ho dovuto attenermi a quello che mi chiedeva Namas, ovviamente. 

Marta Rizzioli: per quanto mi riguarda, ho cercato dentro di me (con l’aiuto di Daniele) qualcosa che potevo dare a Teresa, senza aver vissuto determinate esperienze, come l’essere mamma ad esempio. Ho cercato di lavorare su questo aspetto associandolo a qualcos’altro e basandomi sull’esperienza di altre persone attorno a me. Io amerò sempre Teresa, nonostante si riveli un personaggio più complesso e sfaccettato di quello che appaia inizialmente. 

Alessandro Scirea: per quanto riguarda Alex, ho lavorato in primis su una naturalezza espressiva. Poi, con il tempo, sono entrato maggiormente nell’aspetto viscerale del personaggio, andando a ripescare elementi attraverso i quali costruirlo internamente a me stesso. Penso, infatti, che le persone abbiano tante sfaccettature, in base al periodo di vita che attraversano. Sono quindi andato a ricercare quella sfaccettatura di me che anche Alex, durante lo svolgersi della storia, stava vivendo. Quella sorta di vuoto e di incertezza, legato ad un periodo di ricerca del proprio futuro. 

Per quanto riguarda la parte “esoterica” (ad esempio nella sequenza dell’ipnosi) è stato svolto un lavoro sensoriale sul mio corpo, per andare a ricercare quegli elementi innaturali che andavano realizzati all’interno della scena.

Aggiungo che sono molto affezionato ad Alex, perché mi ha ridato vita in un periodo in cui la parola “vita” era abbastanza distante da ciò che stavamo attraversando. 

Parliamo di occulto! La serie è piena di simboli ed elementi che sconfinano nel paranormale. Voi credete nel paranormale? Com’è stato girare una serie horror? 

Alessandro Scirea: io sono un grande fan dell’occulto, dell’esoterico e della numerologia, e quindi per me è stato molto interessante approcciarmi a questo mondo. Ti dirò di più: il 3.33 ha iniziato a perseguitarci tutti! 

Girare un horror è stato fantastico, e sicuramente gli ambienti – reali e costruiti – che abbiamo utilizzato durante le riprese hanno suscitato in me le sensazioni giuste per andare ad affrontare un percorso del genere. Ciononostante, è stata un’esperienza abbastanza dura: durante le riprese vai a ricercare delle emozioni che è difficile scrollarsi via e che spesso, la sera, ti rimangono addosso. 

Marta Rizzioli: io sono estremamente affascinata da questo mondo, nonostante non mi faccia assolutamente paura. Non guardo horror, ma realizzarli è differente. Inoltre mi sono divertita tantissimo durante le riprese

Claudio Savina: io adoro l’horror! Molte serie, anche europee, che ho visto presentano questi contenuti. E mi divertono. 

Trovo che fare un horror sia differente, rispetto a generi come la commedia – difficilissima da realizzare – o il dramma. Vedere Ale con gli occhi chiusi tutto il giorno è meraviglioso. Ti si riempie l’anima e pensi: “Che bello, finalmente un giovane che soffre!”.
Sì, girare un horror è stato decisamente divertente

“3.33” presenta un finale abbastanza aperto: dobbiamo aspettarci un ritorno di Alex, Brianna, Teresa e del Dottor Petrov? 

Tutti: Tre parole: work in progress… 

Il trailer di “3.33”, su Serially dal 31 ottobre!

a cura di
Maria Chiara Conforti

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