“La vita dei dettagli”: un viaggio tra arte e poesia

“La vita dei dettagli”: un viaggio tra arte e poesia
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Antonella Anedda, poetessa e saggista, nasce a Roma nel 1955. La vita dei dettagli, il suo decimo libro, arriva nel 2009 e racchiude al suo interno un lungo viaggio tra i particolari delle opere d’arte, accompagnati da testi in prosa.

Il libro si apre con una riflessione sull’importanza del dettaglio, ma cosa si intende con questo termine? Cosa ci affascina di esso?

“Il corpo è davanti a un quadro. A un tratto un dettaglio ci affascina tanto da farci avvicinare. L’ intero quadro, diventa resto. Il dettaglio è l’isola del quadro”

La riflessione

Antonella Anedda, ci pone davanti a una riflessione sulla fruizione dell’arte, ci affida dei particolari che nel corso degli anni hanno attirato la sua attenzione, ma si pone un limite: ne sceglie soltanto 32, e li affida a chi li osserva, per donargli una nuova vita.
Ci presenta un museo immaginario, raccogliendo una serie di ekphrasis per dar vita ad una galleria figlia dell’emotività, affida la descrizione delle opere di Rembrandt alle parole di Baudelaire, di Caravaggio a Yves Bonnefoy, di Hopper a Elizabeth Bishop. Ci accompagna poi nel racconto delle vite di alcuni dei più importanti artisti contemporanei, da Nicolas De Staël, a Mark Rothko, passando per Bill Viola e Jenny Holzer, mostrandoci alcune vicende che hanno influenzato fortemente la loro arte.

Il viaggio

Il capitolo più significato è indubbiamente quello dedicato ad Arles, l’antica città divenuta celebre per le opere di Vincent Van Gogh. Ci viene descritta attraverso gli occhi dell’autrice da un punto di vista poetico, analizzando gli aspetti storici, artistici, e culturali. Antonella Anedda ripercorre le strade del passato, attraversando le vie delle antiche rovine romane, e giungendo fino ai luoghi frequentati dal pittore, raccontando con le sue parole, il senso di un viaggio alla ricerca del proprio io. Proprio come Van Gogh, Antonella Anedda si sente smarrita tra i sentieri di Arles, in queste pagine vediamo come la poetessa riesce a calarsi nei panni dell’artista, raccontando le sue vicende e confrontandole con le proprie.

In un parallelismo con il celebre dipinto La camera di Vincent ad Arles scrive:

“La stanza di Van Gogh ha chiamato a lungo dai sogni. Lui preme il ventre contro la spalliera di una sedia, dice: “Volevo dare un’ impressione di quiete”. Sogno la parete sghemba del quadro, quella colorata di lilla su cui sono appesi i suoi quadri. […]
La mia stanza d’ albergo ha un tavolo di legno con  un cassetto al centro, sul muro c’è una riproduzione del quadro. Apro le persiane, il vento ha scacciato le nuvole, il sole batte sul legno della cornice e del tavolo, sul legno della mia vita. Cosa traduce cosa? Qual è più reale?”

La camera di Vincent ad Arles

La città che vive nelle pagine di Antonella, è figlia della pittura di Van Gogh, della fotografia di Anselm Adams, del museo Réattu, delle opere di Roger Ackling, è un luogo i cui colori e le cui luci catturano l’attenzione della poetessa e fanno vivere in lei emozioni passate, come se avesse modo di viaggiare attraverso il tempo.

Il filo rosso

Il libro si conclude con l’esodo intitolato Collezionare perdite, richiamando la chiusura del primo capitolo con un dettaglio che aveva imposto un fermo alla ricerca, poiché aveva fatto sentire il peso di tutte le scelte precedenti.

“ho dovuto smettere, stabilire una tregua, scrivere pagine”.

Non è un caso che l’ultimo particolare selezionato fossero i piedi de Il Cristo morto del Mantegna, opera che l’artista tenne con sé fino alla sua morte, poiché quando dipinse questo quadro aveva appena perso i suoi due figli Federico e Girolamo.

Dettaglio Il Cristo morto, Andrea Mantegna

“Questo libro”, scrive Antonella, “è una storia di fantasmi”.
Questo libro è un’esigenza.

A cura di
Marta Canu

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Marta Canu

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