“Closure/Continuation”, i Porcupine Tree tornano ad abbattere i confini dei generi musicali

“Closure/Continuation”, i Porcupine Tree tornano ad abbattere i confini dei generi musicali
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A distanza di 13 anni dall’ultima pubblicazione, i Porcupine Tree sono tornati con il nuovo album “Closure/Continuation”. Un ritorno inatteso, ma altamente desiderato

Sono passati 13 anni dall’ultimo album in studio dei Porcupine Tree, The Incident. L’ultimo live della band al completo è stato nel 2010, anno ricordato per la turbolenta fine della guerra in Iraq, i mondiali di calcio in Africa, la crisi del debito in Europa, tra i vari eventi. Oggi siamo segnati da una nuova guerra, nuovi despoti e una enorme crisi ambientale. Insomma, l’immaginario distopico e inquieto dei Porcupine Tree non è mai stato così attuale e torna esattamente nel momento giusto.

In questi tredici anni, Steven Wilson e i suoi colleghi non si sono certo fermati. Hanno continuato a evolversi e sperimentare, arrivando a completare un nuovo album tra un lockdown e l’altro, a sorpresa. Closure/Continuation è stato registrato con calma, in gran segreto, mentre tutti pensavano che la band prog rock britannica non sarebbe più tornata. Pensiero non casuale, ma dovuto alle dichiarazioni piuttosto esplicite degli stessi membri.

Il leader Steven Wilson ha portato avanti diversi progetti paralleli e sfornato numerosi album da solista in questa decade di silenzio della band, che torna ora a risorgere dalle sue stesse ceneri. I genuinely don’t know whether this is closure or the start of another continuing strand of the band’s career” è la dichiarazione di Wilson a The Guardian.

E così, ritroviamo nuovamente insieme Richard Barbieri alle tastiere e synth e Gavin Harrison alla batteria (manca all’appello il bassista Colin Edwin, strumento che è stato registrato dallo stesso Wilson). Che ci hanno regalato un ritorno inaspettato tanto quanto desiderato.

La cover dell'album Closure/Continuation - Porcupine Tree
La cover del nuovo album “Closure/Continuation”
Molto più che esercizi di stile

L’album si apre con il primo dei singoli estratti, Harridan, un vero e proprio manifesto. Otto minuti di esercizi di stile perfettamente impacchettati in stile Porcupine Tree, tra cambi di ritmo violenti, psichedelia e fragorose aperture. Un brano che riassume perfettamente i tratti identificativi della band: linee di synth, progressioni ritmiche, chitarre incontaminate, colpi di basso ed esplosioni metalliche si mescolano tra loro. Il tutto accompagnato dalla voce onirica di Wilson, un mix che riassume perfettamente l’universo tipico del trio.

Nel secondo brano estratto dall’album Of The New Day, dal gusto floydiano, così come nella lunga e più quiete Dignity, ritroviamo una certa familiarità stilistica con alcuni pezzi del precedente album (Great Expectations, Time Flies). La malinconica voce di Wilson ci invita a “respirare l’autunno” e noi non possiamo fare a meno che seguirla.

L’atmosfera si fa distopica in Rats Return, brano in cui batteria e chitarra si fanno ancor più virtuose e furiose, strizzando l’occhio alla (bellissima) comfort zone prog metal tanto cara ai Porcupine Tree. Il falsetto inquietante di una voce femminile accompagna la denuncia a despoti del passato, lasciando spazio a una facile contestualizzazione anche nel presente.

Il videoclip di Rats Return

Sulla stessa falsariga, paranoica ed inquieta, arriva Herd Culling. La parte elettronica incontra qui lo spirito dark di riff aggressivi, dando vita a uno dei momenti più alti e moderni del disco. Confermando così l’intento di un’apertura, una continuazione verso il futuro, in cui contaminazioni di vari generi possono solo integrare e arricchire il suono distintivo della band.

Una pausa dalle chitarre distorte (breve, comparata agli altri brani dell’album) ed ecco Walk the Plank. Un pezzo che, con la sua texture elettronica e i suoi synth eterei, sembra attingere maggiormente al percorso solista di Steven Wilson e prendere a braccetto il lavoro di Thom Yorke. 

È poi la volta di Chimera’s Wreck: 9.39 minuti di crescendo in cui chitarra acustica e linee vocali sovrapposte si rincorrono, creando un nostalgico capolavoro prog.

Concludono la Special Edition di Closure/Continuation tre bonus track, forse le più vicine alle atmosfere puramente prog di tutto l’album. La sinistra, strumentale Population Tree, che nonostante la durata del brano non certo alla portata di tutti, riesce a mantenere l’attenzione del pubblico alta. Never Have invece ci riporta ad atmosfere sognanti ed ultraterrene, con esplosioni e aperture tipiche della band. L’album termina con la struggente Love in the Past Sense, dove ritmi progressive incalzanti si susseguono in un climax che sembra però non arrivare mai al suo culmine. Un finale aperto che lascia spazio a interpretazioni e alla speranza che questa non sia una fine, ma solo un nuovo inizio.

Prog is not dead

Closure/Continuation forse non rappresenta nulla di estremamente diverso rispetto ai lavori precedenti della band. L’albero dei porcospini sembra rimanere ancorato con le radici alla sua terra, fertile e rigogliosa, ma i suoi rami non possono fare a meno di espandersi alla ricerca di nuova linfa vitale.

Il frutto è comunque un album raro e prezioso, così fedele al complesso immaginario Porcupine Tree eppure anche aperto a contaminazioni di ogni genere. Certo non di facile fruizione per un pubblico nuovo e più giovane, sicuramente apprezzato dagli appassionati e nostalgici del genere.

Il titolo si riscopre così metafora a tutti gli effetti, dove chiusura e continuazione rappresentano il punto di arrivo della band. Passato e presente. Quello che è incerto è il futuro: sarà forse questo album un nuovo inizio per i Porcupine Tree?

Noi speriamo proprio che sia così, mentre aspettiamo con ansia l’unica data italiana del Tour 2022 in programma al Mediolanum Forum di Milano il 24 ottobre.

a cura
Chiara Serri

Fonte immagine di copertina: www.stevenwilsonhq.com

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