Dischi che escono – Aprile 2021

Dischi che escono – Aprile 2021
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Dieci dischi da ascoltare quando scatta il coprifuoco

Per la prima volta dopo una decina abbondante di mesi ho preso un aereo e mi sono presentato in aeroporto con larghissimo anticipo, sia mai mi facessero terzi gradi, ci fosse folla e finissi per perdere il velivolo rincorrendolo come un autobus. Seguono commenti scritti a caldo, tra un tampone e una firma su un’autocertificazione, di tutti gli album freschi di aprile che mi ero preventivamente salvato su Spotify, con una variabilità che va da Taylor Swift ai Motorpsycho, passando per quasi tutto ciò che di interessante è uscito del pop italiano.

Taylor Swift – Fearless (Taylor’s Version)

Se tutte le diatribe con le case discografiche finissero così: Taylor Swift non ha più le mani sui master di suoi sei (!) album e quindi ha deciso di ri-registrarli tutti (!!!). Fearless, l’originale, è un disco di tredici anni fa, quando ancora della Swift si parlava come di un’artista country di quelle che trovi nei corridoi dei college e non di una delle 2-3 più grandi popstar dell’universo conosciuto. E l’ingenuotta semplicità delle canzoni originali si sente tutta, anche se la produzione è più pulita, più vicina alle nuove sonorità di Evermore e Folklore. Ci può stare? Sì. Era indispensabile? No.

L’highlight: Fearless
Per chi apprezza: Le esagerazioni

6/10

Paul McCartney – McCartney III Imagined

I rischi, con tutti questi nomi di primissimo ordine coinvolti, sono un paio. Primo: i coinvolti sono talmente variegati che sembra di ascoltare uno di quei Release Radar che il solerte Spotify produce settimanalmente sbagliando tutto: si passa dalla mollezza di Phoebe Bridgers a Ed O’Brien dei Radiohead che sclera e gratta come Marilyn Manson. Secondo: i coinvolti sono talmente bravi che le tracce originali vengono eclissate, pur essendo di McCartney. E fa parecchio strano.

L’highlight: Slidin’
Per chi apprezza: Confondersi

6/10

London Grammar – Californian Soil

Dagli esordi di If You Wait, ettolitri di depressione su tela in stile che ricordava tantissimo i Daughter, i London Grammar si sono decisamente infighettiti, con chitarre sempre più rarefatte, linee vocali sempre più allungate e disperse, elettroniche sempre più pervasive, atmosfere sempre più lounge. Finisce che la loro musica non è più degno sottofondo per pianti solitari in camerette di adolescenti, ma è un potenziale allegro accompagnamento per sessioni di prova nei camerini di Tezenis, o per aperitivi a base di Spritz Hugo e finger food pieni di quinoa. Gusto individuale decidere se lo si preferisce o meno. Da sottolineare anche, in questo disco, il plagio incredibile di Give it to Me di Michael Jackson, in Lord it’s a Feeling.

L’highlight: Lose Your Head
Per chi apprezza: Gli assembramenti in Darsena

6.5/10

Achille Lauro – LAURO

L’effetto Lauro non ha nessuna intenzione di scemare, trainato per com’è dai camaleontismi del personaggio. Lui ha dichiarato di volersi prendere una pausa dopo quest’album – cosa poco credibile dopo i miliardi di progetti degli ultimi anni – e forse sarebbe anche il caso: a parte un paio di pezzi c’è poco o nulla che, spogliato della componente scenografica delle esibizioni a Sanremo o dei video, possa essere ricordabile.

L’highlight: Solo noi
Per chi apprezza: Guardare la musica

5/10

Franco126 – Multisala

Franchino ha il merito di rispolverare Calcutta, rientrato nel suo solito letargo dopo gli album, in un pezzo spregiudicatamente calcuttiano, anche nel testo, come Blue Jeans. Per tutto il resto va in scena un’operazione di rievocazione storica del cantautorato romano che allontana l’artista da Carl Brave e lo avvicina alle balere, un qualcosa che potrebbe anche essere apprezzabile qualora a queste latitudini si sapesse mai saputo cantare. Per dire, Franco126 potrebbe farsi dare lezioni di espressività, piacevolezza e tecnica anche da Lauro: spostarsi sul piano e voce non è proprio la più smart delle scelte possibili.

L’highlights: Il contributo di Calcutta
Per chi apprezza: L’audacia

3/10

Max Gazzè – La matematica dei rami

A un certo punto di questo disco Max Gazzè dice, convinto anche, che invecchiare è come vivere una nuova adolescenza. Lui stesso smentisce però il tutto, non facendo trap ma continuando a portare avanti la sua tradizione di testi intellettuali in elegantissimo cantautorato, con qualche chitarra e falsetto in più del normale, e una collaborazione con Daniele Silvestri come sempre. Disco molto solido: il pezzo portato a Sanremo è probabilmente il peggiore.

L’highlight: Figlia
Per chi apprezza: La costanza

6.5/10

Bianco – Canzoni che durano solo un momento

Bianco celebra dieci anni di carriera sembrando un po’ più giovane e un po’ più Gazzelle del solito. Il quinto album del cantautore torinese è leggero e spensierato ma soltanto in apparenza, tra le sue continue celebrazioni delle imperfezioni e delle quotidianità. Tant’è che appare anche Colapesce, nel mezzo, portavoce principe della leggerezza apparente. L’album non dura davvero solo un momento ma dura comunque poco e c’è forse un pezzo di troppo (l’ultimo con i Selton). Peccato.

L’highlight: Gazze Ladre
Per chi apprezza: Le finzioni

6/10

Motorpsycho – Kingdom of Oblivion

Nello scorso lockdown, quello vero, mi sono impegnato in una serie di propositi: giocare tutti gli Starcraft, imparare l’albanese, recuperare la discografia dei Motorpsycho. Ho finito tutta l’epopea di Jim Raynor. Ho una minima fluidità nella lingua dello Stato oltre l’Adriatico (megjithëse jo shumë i mirë). Mi manca ancora qualche album dei Motorpsycho, sui settecento che hanno pubblicato nella loro carriera. I norvegesi comunque continuano imperterriti, mentre noi poveri mortali perdiamo il conto e la capacità di ricordare a memoria i titoli di tre loro pezzi usciti dopo Vortex Collider. Ma Kingdom of Oblivion è un more of the same del quale essere comunque grati, giusto un po’ più heavy, più corto e meno beatlesiano del precedente.

L’highlight: The transmutation of cosmoctopus lurker
Per chi apprezza: Le comfort zone

7/10

Dinosaur Jr. – Sweep It Into Space

Ci sono certezze importanti nella vita di un millennial. Due fra le prime che mi vengono in mente sono: i Dinosaur Jr., che con precisione svizzera pubblicano ogni due anni un album che doveva essere pubblicato nel 1993, quando in America la gente moriva di grunge e per il grunge; il Kinder Joy (già Kinder Merendero) che in primavera sostituisce il Kinder Sorpresa. In questo aprile del 2021 ci sono i dinosauri come sorpresa nei nuovi Kinder Joy, e c’è anche un po’ di gioia come sorpresa in questo nuovo album dei Dinosaur Jr., per il resto sempre mal prodotto, mal cantato, con assoli brutti e sempre uguali, ma incredibilmente e invariabilmente genuino. Sono tutte cose inutili, in fondo, ma perché privarsene?

L’highlight: Hide Another Round
Per chi apprezza: La simmetria

6/10

The Snuts – W.L.

W.L. è un acronimo che mi ricorda per lo più la Weekend League di FIFA e mi mette immensa tristezza, per quelle (poche, prima di scappare) volte in cui sono stato massacrato malissimo da persone il cui nickname finiva con 2004 o 2005. W.L. è anche l’album di esordio degli Snuts, scozzesi che si sono fatti un nome finora aprendo a Lewis Capaldi e che evidentemente hanno un bel po’ di roba da mettere in musica. Un revivalismo educato di brit-pop di vecchia scuola suonato su due chitarre, una a fare svolazzi solistici e l’altra a costruire pavimentazioni quasi post-rock. Piacevoli, interessanti.

L’highlight: Glasgow
Per chi apprezza: Il brit-pop non cafone

7.5/10

a cura di
Riccardo Coppola

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