Perché Joy as an Act of Resistance degli IDLES è l’album di cui la Gran Bretagna aveva bisogno

Perché Joy as an Act of Resistance degli IDLES è l’album di cui la Gran Bretagna aveva bisogno
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L’ultimo disco degli IDLES, la band di Bristol che odia le etichette, ha un titolo che potrebbe ingannare: Joy as an Act of Resistance. In realtà, questi inglesi arrabbiati e delicati, non hanno perso il nervo, nemmeno un po’. Anzi, sono ancora più diretti e brutali di prima, più cinici e sferzanti. Infatti diciotto mesi dopo il loro album di debutto, Brutalism, gli IDLES tornano con un undici canzoni di rabbia catartica e scintillante.

La gioia c’è, certo, ma anche le chitarre. E sono più nervose che mai, così come la voce di Joe Talbot è acida e paranoica, pronta a rubarci il cuore in modo definitivo e totale.

Il ringhiante cantante e autore dei testi ha un passato difficile, esattamente come potremmo facilmente immaginare: dipendenze, perdite, lutti. Tutti argomenti che vengono toccati nelle canzoni degli IDLES, uniti ad altre tematiche universali: virilità tossica, immigrazione, rabbia e vita proletaria in una città come Bristol, ai margini dell’impero.

Joy as an Act of Resistance è un album ruvido, ma che tratta temi importanti. E a pensarci bene, non potrebbe essere altrimenti. Gli IDLES hanno iniziato a fare musica in quello che sembra il crepuscolo dell’umanità, il Regno Unito della Brexit, e sono diventati in pochissimo tempo la voce di chi è furioso, fragile, di chi non sopporta il populismo e gli stereotipi.

Quelle degli IDLES sono canzoni di lotta a denti stretti che ci raccontano di una bellissima fetta di umanità, vulnerabile e luminosa: Danny Nedelko, ad esempio, difende i diritti degli immigrati. “Mio fratello di sangue è un immigrato” canta Talbot, “è fatto di carne, è fatto di amore, è fatto di te, è fatto di me“. Il chorus sembra cantato dagli avventori di un pub ed è uno dei pezzi più entusiasmanti del disco.
In Samaritans la band si prende gioco degli stereotipi della mascolinità tossica con un indimenticabile verso: “questo è il motivo per cui non vedi mai piangere tuo padre“, mentre Great è un centro pieno per chiunque detesti la Brexit e, in un finale ghignante, Talbot ci intima: “Puoi avere tutto / Non mi dispiace / Preparati / Per fare gli straordinari“.

Gli IDLES si confermano ancora una volta come una di quelle band che è meglio non far arrabbiare.
Di certo questa musica non passerà spesso in radio. Non è pop. Ma se quello che cercate è musica che vi capisca, che esprima le vostre preoccupazioni, allora questo disco vi piacerà.

La storia della band è interessante, soprattutto per tutti coloro che pensano che per fare musica sia necessario piegarsi o scendere a compromessi. Il loro disco di debutto, “Brutalism“, è stato rilasciato da solo senza alcuna label celebre, eppure, alla fine del 2017, l’album era suonato ovunque, con concerti andati esauriti con mesi di anticipo.

Gli IDLES, guidati da Talbot, hanno tutte le carte in regola per diventare la band che l’altra Inghilterra, quella della working class, popolare ma non populista, sta cercando. Perché sì, l’arte è ancora in grado di portare un cambiamento positivo. Come ruggisce Talbot in I am Scumquesto fiocco di neve è una valanga“.

a cura di
Daniela Fabbri

Immagine da:
Paul Hudson

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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