C’è un momento, nei rapporti, in cui qualcosa si incrina, ed è proprio lì, in quell’istante, che si rivelano le parti più vere e più scomode di noi. Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice di grande intelligenza e sensibilità, debutta alla regia con un film che guarda dentro quella crepa. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2025 nella sezione Grand Public, “Breve storia d’amore” è il racconto di come il desiderio, la colpa e la fragilità possano convivere nello stesso respiro
Pilar Fogliati, Adriano Giannini, Valeria Golino e Andrea Carpenzano sono i protagonisti di Breve Storia d’Amore, una pellicola che, dietro l’apparenza di un dramma sentimentale, nasconde un’indagine sottile sul bisogno di essere visti e sul confine labile tra libertà e appartenenza.
La fotografia elegante e inquieta di Gogò Bianchi e le musiche misurate di Fabio Massimo Capogrosso accompagnano una regia precisa, che alterna ironia e tensione. Dopo l’anteprima romana il film arriverà nelle sale italiane giovedì 27 novembre, distribuito da 01 Distribution.
La trama
Lea (Pilar Fogliati) ha trent’anni e una relazione stabile con Andrea (Andrea Carpenzano). La routine le pesa, ma lei cerca un senso, una direzione, qualcosa che vada oltre il quotidiano. Una sera, in un bar, incontra Rocco (Adriano Giannini), uomo più grande e già legato a Cecilia (Valeria Golino). Tra i due scatta un’intesa immediata, silenziosa ma potente, fatta di sguardi, parole non dette e riconoscimenti reciproci.
Quello che sembra un episodio isolato si trasforma presto in una relazione clandestina. Lea non si accontenta più della dimensione segreta del desiderio, ma prova a insinuarsi nella vita di Rocco, sfidando confini, fragilità e verità non dette. Parallelamente, Cecilia e Andrea vengono inevitabilmente risucchiati nella spirale di conseguenze emotive che scaturisce dall’infedeltà.
Rampoldi non costruisce la tensione sullo scandalo, ma sulla percezione del disordine emotivo: la parte invisibile della vita che ci ferisce senza che ce ne accorgiamo subito.
Qualcosa che non va
All’inizio, il film sembra una storia d’amore ordinaria: incontri casuali, conversazioni leggere, gesti timidi e sorrisi che rassicurano. Ma ben presto si avverte che c’è qualcosa che non va e che questa non è la tipica storia romantica. Lo percepiamo dai dettagli visivi e sonori, dai silenzi inquietanti che parlano più di mille parole.
Ogni dettaglio dell’atmosfera comunica che il disordine emotivo è già in agguato: l’amore che sembra nascere tranquillo porta con sé impulsi, desideri e conflitti che presto metteranno tutti i personaggi davanti alle proprie contraddizioni. È questa sottile dissonanza iniziale che fa capire allo spettatore che la storia non è quella che si aspetta. Dietro la superficie rassicurante si nasconde un turbine di emozioni e la leggerezza iniziale si incrina già nei primi minuti, preannunciando il disordine che seguirà.
Il tradimento come lente sull’umano
In Breve storia d’amore, tradire non è un gesto di mera trasgressione. È un’occasione per vedere chi siamo davvero, per riconoscere le crepe dentro di noi. Ci sono tradimenti fisici, emotivi, interiori, silenziosi: quelli che commettiamo restando dove non dovremmo, accettando di non guardare più chi abbiamo accanto.
Rampoldi sembra chiedere perché si tradisca davvero. Per noia, desiderio, riconoscimento, o per sentirsi vivi? Il film non risponde, ma suggerisce come il tradimento sia, al contrario, una forma estrema di sincerità.
Il momento in cui si smette di fingere.
Musica e fotografia: dal disordine alla rivelazione
La fotografia di Gogò Bianchi e le musiche di Fabio Massimo Capogrosso raccontano quello che i personaggi non dicono. All’inizio, la storia sembra ordinaria, quasi serena, ma lo spettatore percepisce la tensione nelle ombre, negli spazi leggermente angusti, nei colori appena sbilanciati. Le musiche sottolineano ogni impercettibile smagliatura, creando un senso di dissonanza che cresce con i personaggi.
Man mano che la storia procede, la luce si restringe, i toni diventano più intensi e le ombre più taglienti. Lo spazio emotivo dei protagonisti si comprime, e ogni gesto, ogni sguardo, diventa più evidente, più crudele.
Il ritmo dell’escalation
Rampoldi costruisce un’escalation emotiva più che narrativa. La storia parte come una commedia sentimentale leggera, poi si addensa fino a diventare un dramma interiore, dove ogni leggerezza ha un prezzo. Il tempo sembra comprimersi: piccoli gesti, sguardi, silenzi, diventano carichi di tensione. L’ironia iniziale lascia lentamente il posto alla consapevolezza che ogni desiderio comporta conseguenze e ogni scelta pesa.
Nonostante il cuore drammatico, Breve storia d’amore ha l’anima di una commedia umana. Il regista dosa ironia e malinconia con precisione: non per alleggerire, ma per rendere comprensibile il dolore. Nei dialoghi, nelle esitazioni, nei tic quotidiani dei personaggi, c’è leggerezza. Una leggerezza che non fa dimenticare il conflitto, ma lo rende riconoscibile, umano, quasi condivisibile.
La morale impossibile
Breve storia d’amore non offre risposte facili. Non c’è condanna, non c’è redenzione. C’è solo la verità fragile di chi ama e sbaglia, di chi si smarrisce e cerca di ritrovarsi.
Forse l’amore è sempre “breve”: dura l’istante in cui smettiamo di fingere e ci riconosciamo davvero.
Quando arriverà nelle sale italiane il 27 novembre, sarà interessante osservare come il pubblico accoglierà una storia che parla di tradimento solo in superficie, ma che in realtà racconta la verità più profonda. Quella che emerge quando ci guardiamo senza maschere.
a cura di
Michela Besacchi
Articolo scritto con l’ausilio parziale di intelligenza artificiale
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