Il tour d’addio di Benjamin Clementine fa tappa a Bologna, all’Estragon Club, il 22 marzo 2025. Il musicista britannico, che ha annunciato la sua intenzione di lasciare la musica per dedicarsi al cinema, ha offerto una performance intensa, teatrale e in continua trasformazione, confermando ancora una volta la sua natura imprevedibile e magnetica.
Un inizio dissonante
L’atmosfera che accoglie il pubblico è quasi sacrale. Sul palco, un pianoforte bianco troneggia al centro, mentre dietro di lui si ergono altari candidi, dietro cui i musicisti restano quasi nascosti. Piume bianche sugli altari, nere sul piano: un contrasto simbolico. L’inizio del concerto è serioso, le basi dal vivo risultano fin troppo prepotenti rispetto alle versioni in studio, creando una certa dissonanza. Clementine appare distante, forse sta ancora entrando nel mood della serata.
La svolta: piume via, asta giù
Dopo un primo segmento imperscrutabile, ecco il primo scossone: attacca “Delighted” e la serata cambia marcia. Peccato che la sua asta del microfono decida di non collaborare. Lui, con la teatralità di sempre, la manda a quel paese, sposta le piume che lo coprivano, getta via la sedia con un perentorio “I am fucking gonna stand” e si lancia in “God Save The Jungle”. A quel punto, la metamorfosi è compiuta: la sua lotta con gli elementi fisici del palco diventa parte integrante dello spettacolo. L’altra asta del microfono fa la stessa fine poco dopo.
Un viaggio tra poesia e improvvisazione
Clementine inizia a entrare nel vivo dello show: quando tocca il piano tutto cambia. Il live diventa un dialogo interiore a voce alta e, soprattutto, un contatto sempre più stretto con il pubblico. Attacca “Adios”, poi si lancia in un esperimento linguistico: prova a parlare in italiano, elencando nomi tratti dalla Divina Commedia di Dante. Il pubblico si diverte, lui pure. A un certo punto, cattura un insetto, si interrompe per chiedere come si dice “bug” in italiano, la libera e poi le dedica la canzone successiva. Strano? Sì, ma perfettamente in linea con l’energia surreale della serata.

Bis tra ironia e sentimento
Il primo congedo arriva troppo presto. Clementine torna per il bis e parte con “Condolence”, chiedendo la partecipazione del pubblico. Gli spettatori tentano di seguirlo nel canto, ma lui si accorge delle insicurezze e decide di giocare con le parole, trasformando il ritornello in un ironico “I’m sending my condolence to PAURA, I’m sending my condolence to INSICUREZZA”. La tira un po’ troppo per le lunghe, minaccia di ripeterlo 50 volte, si ferma a 40. Tutti ridono, il ghiaccio è completamente sciolto.
Si avvia verso la chiusura con una “I Won’t Complain” che lascia il pubblico in un silenzio rapito, ma non vuole spezzarci il cuore. Allora tenta un omaggio a Bologna e chiude con un accenno a “Caruso” di Lucio Dalla. Un tenero e goffo “Te voglio bene assai” che ci riporta sulla terra.
Un addio indimenticabile
Intenso, stravagante, breve (1h45 di set) ma pieno di emozioni: Benjamin Clementine ha salutato Bologna con una delle sue esibizioni più teatrali e personali. Se davvero il suo è un addio alla musica, lo fa a modo suo: senza compromessi, tra lirismo e ironia, con un rapporto viscerale con il palco e con chi lo ascolta. Un concerto che ci ha lasciato incantati, tra momenti solenni e guizzi di umanità. Addio, o forse solo arrivederci, Benjamin.
a cura di
Chiara Serri
foto di
Illary Terenzi
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