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Sono ormai lontani i tempi in cui l’intellettuale, o più semplicemente il laureato, godeva di stima sia dal punto di vista economico che da quello sociale: ad oggi, lo sappiamo bene, a sempre maggiori qualifiche non corrisponde in alcun modo, nel nostro Paese, un’equa retribuzione e valorizzazione. 

Di certo vi sono lauree più appetibili per la società, mentre altri settori, quello dell’industria culturale in particolare, spesso non consentono di campare dignitosamente, portando chi ha un’attitudine umanistica ad essere bistrattato e spesso a non trovare il proprio posto in un mondo fondato sugli stage, gratuiti o quasi.

Se da un lato questo può essere uno stimolo a reinventarsi, dall’altro crea sconforto e incertezza sul futuro in questo Paese (e di questo Paese) nei giovani, sempre più demoralizzati e inclini a crisi e depressione.

La storia di Loris

Il male che non c’è, il secondo romanzo di Giulia Caminito, già vincitrice del premio Campiello, fa di questa situazione reale e condivisa di insofferenza lo sfondo di una storia forte e delicata al tempo stesso.

Il protagonista è Loris, un ragazzo di trent’anni con un lavoro precario in casa editrice e una relazione al capolinea, in lotta con la sua mente e con un’ipocondria patologica. L’ansia di cui soffre in maniera paralizzante lo porta a concretizzare il dolore nel corpo, immaginando malattie devastanti che lo portano a passare ore sul web a cercare le cause. Uno stress estremo, amplificato dalla rabbia e dalla frustrazione poichè nessun medico dà credito alla sua sofferenza.

Vi è una figura in particolare che concretizza il dolore di Loris, Catastrofe. Un folletto, un alieno, un mostriciattolo dalle sembianze femminili che ogni volta che si ritrova in queste situazione compare e dà voce alle sue paure e ai suoi disagi, rivelandosi presenza confortante e inquietante al tempo stesso. Si tratta, naturalmente, di un sogno, una visione che però dà modo di concretizzare i discorsi che Loris non farebbe con nessuno per paura e vergogna.

La genesi del malessere

I problemi di Loris, come spesso accade, non hanno avuto origine da una causa univoca: a valle di un tumultuoso rapporto con il padre, la sua passione smodata per la lettura gli ha suggerito di concretizzare il sogno di lavorare in casa editrice, dove non ha trovato il riscontro che pensava ma più dolori che gioie. La sua psiche non ha dunque retto al diventare adulto, e di ciò ne ha fatto le spese anche la relazione iniziata da adolescente, nonostante si illuda che quella ragazza, Jo, possa ancora salvarlo.

Attraverso i ricordi

La storia di come Loris è arrivato a questo punto viene ricostruita, quasi fosse un mosaico, attraverso i ricordi di infanzia. Da questi emerge in particolare la figura del nonno Tempestapresenza fondamentale per la vita di Loris evocata lungo tutta la narrazione, fil rouge della stessa. Attraverso i ricordi, il lettore scopre e comprende man mano gli eventi che hanno rappresentato un trauma per quell’adulto spaventato e apparentemente ridicolo nelle manifestazioni, ne recepisce il dolore e empatizza con la sua vita intera.

Su questo climax è inevitabile chiedersi: ci sarà un lieto fine per Loris? Questa sofferenza arriverà al capolinea? Vi basti qui sapere che Giulia Caminito affronta un tema come quello del malessere mentale in modo poetico, mai banale; la sua penna –  come già in L’acqua del mare non è mai dolce – evoca più che descrivere, porta alla mente un immaginario onirico e sensazioni riconoscibili. Ma è altrettanto concreta nella definizione dell’angoscia, che risulta quasi palpabile, nonché in tutta quella serie di sensazioni fisiche che concorrono a definire il dolore concreto di Loris, ricreando una storia fortemente connessa ai nostri tempi e impossibile da dimenticare.

a cura di
Martina Gennari

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