Leggere per poi dimenticare: la longevità della cultura

Leggere per poi dimenticare: la longevità della cultura
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Ci sono dei momenti in cui il lettore sembra impantanarsi in una pozza nera fatta di pagine intrise di acqua e inchiostro, colla e cotone. Si può sentire incastrato in una condizione che non gli appartiene, che non riconosce perché si sa, è difficile ammettere di non riuscire più a leggere.

C’è chi ammette di aver fallito solo perché ha lasciato il romanzo a metà; chi non riesce a riporre le storie mancate e le raccoglie sul comodino o accanto la poltrona. C’è anche chi sceglie di provare a uscire dalla pozza con una storia che non avrebbe mai letto, con un libro scomodo da portare dietro, con qualcosa che è impossibile da centellinare.

Ecco, in questa piccola fessura fatta di se… , si insinua la domanda di chi tendenzialmente non legge per il solo piacere di leggere:

Perché leggere se tanto poi non ricordi nulla? A che serve?

Riflessione

Mentre guardavo la libreria che occupa la parete davanti al divano, mi sono resa conto di come i figli si siano presi tutto lo spazio e a me non sia rimasto nulla. Osservando i mobili, ho visto solo la confusione di tante cose arrangiate in spazi poco consoni, libri stipati in ogni piccola fessura, che escono fuori sbattendo contro lo sportello. Libri che abbracciano il soffitto, a difesa della libreria, che si prendono polvere. Ho visto – col cuore, perché non ho il coraggio di toccare nulla – trovare in quelle copertine l’ultima casa di alcuni insetti, forse una falena, una mosca, magari anche una zanzara.

Ho scoperto ieri che assomiglio a un hobbit. Sono disordinata e vivo con la testa fra le nuvole in un mondo diverso dagli altri e questa pare sia una loro caratteristica; nonostante la pellicola di disordine che avvolge il mio DNA, quell’immagine mi ha ferita, non mi ritrovavo, non poteva (doveva?) appartenermi. Mi sono ricordata, come il tuono di una pioggia estiva, che quella sensazione di oppressione e smarrimento l’avevano anche tutti quelli che entravano in casa e che, senza riflettere, hanno sempre chiesto:

Ma li hai letti tutti?

Si, non tutti. Ne manca ancora qualcuno, tanti altri sono nelle biblioteche e negli ospedali. Si, me li ricordo quasi tutti, alcuni meglio, alcuni peggio. Poi arriva chi apre un libro a caso e mi chiede persino cosa c’è scritto a pagina X.

Ho molta memoria per i dettagli delle storie, ma non così. E un attimo dopo:

Ma come fai? Io non ricordo nulla delle cose che leggo!

Leggere, illustrazione di Maggie Chiang
Platone, Socrate e Sheldon Cooper

Per molti è un mistero, ma per chi si pone domande e magari si è ritrovato al mio stesso punto, la risposta sembra semplice. Non faccio, non ho le capacità per ricordare tutto di tutti i libri che leggo, ma trattengo in file compressi alcune cose. Una frase, una virgola di un capitolo o la bellezza del carattere o la grammatura della carta. Quasi mai la trama per intero, con tutti i dettagli del caso. A che serve riempire di pecette, pieghe e tratti di penna se poi, una volta chiuso il libro, ce ne dimentichiamo?

Sfogliando per diverse volte un testo di filosofia ho ritrovato quel mito della caverna di Platone che tanto non mi entrava in testa e che invece mio fratello, anni e anni fa, mi spiegò in una manciata di minuti. Da qui sono passata alla ricerca di qualche nozione di Platone e Socrate, per cercare una strada nella memoria. Mi sono imbattuta nella memoria esternalizzata e in quella sottile ma utile differenza con la reminiscenza.

Ho capito che i segni sulle pagine mi permettono di ricordare, ovvero di fare un’anamnesi durante la reminiscenza, ovvero una specie di verifica di cose che risvegliano la memoria. Il lampo che invece ho, che mi guida nell’aprire un libro con la polvere in una determinata pagina è frutto del ricordo. Sono cose astratte che fatico a seguire, ma penso a come anche la memoria eidetica, in questi processi, mi sia di grande aiuto. Immagazzino odori e sentimenti e luci del momento esatto in cui scelgo un passaggio. A confermare che quello che mi accade non è solo una questione privata, c’è la direttrice del The New York Times Book Review, Pamela Paul, in un articolo su The Atlantic.

While I read that book, I knew not everything there was to know about Ben Franklin, but much of it, and I knew the general timeline of the American revolution. Right now, two days later, I probably could not give you the timeline of the American revolution.

Leggere, Xiaoman Xia
Leggere, che strana passione

Come si fa, quindi, a fermarsi solo al contenuto delle pagine? Perché è così importante ricordare la trama o i nomi dei personaggi se possono, in certi casi, bastare le sensazioni provate, ciò che ci resta?

Perché, forse, non a tutti resta qualcosa. Eppure il 5 maggio, l’incipit di I promessi sposi, le terzine dantesche o il primo numero fisso della casa in cui sono cresciuta, quelli li ricordo a memoria.

Nessuno, nel tempo trascorso a fare domande, mi ha mai chiesto se conoscessi una formula magica per riuscire a contrastare il tempo limite della memoria. Di fatto non esiste e magari non interessa nemmeno, neanche il fosforo può far perdurare a lungo le storie che leggiamo. Vi siete mai chiesti se quelle pagine le divorate? Perché leggete una pagina e avete già dimenticato? Le possibili risposte non sono da ricercare solo ed esclusivamente nei DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) o nel ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività).

Ricerche

Se non c’è motivo di pensare di avere un disturbo, potrebbe trattarsi più direttamente di una lettura fatta in un momento in cui non c’era interesse, in cui le fonti di distrazioni erano tante, magari. O magari, ancora, il libro non era quello giusto.

O ancora, come suggerisce Jared Horvath, ricercatore dell’Università di Melbourne, abbiamo iniziato a consumare le informazioni diversamente, motivo per cui è necessario ricollegare quel libro o quella storia ad un fatto, qualcosa da poter consultare immediatamente. Non è necessario richiamarle alla memoria, ci basta solamente sapere dove si trovano così da accedervi in un tempo limitato.

Le pecette ricercate in palette con le copertine, i lunghi segmenti tracciati con il righello e le foto condivise su Pinterest, per esempio, non sono più legate all’atmosfera retrò di un lettore passionale che si accomoda in poltrona. Diventano invece strumenti per cercare la citazione senza il bisogno di doverla imprimere nella mente così come le poesie studiate, quel vassalli valvassori valvassini e il Tigri e l’Eufrate.

Marco Palena, Librerie in Fiore – Overall New Talent Winner
Aspettativa da leggere

Se ho l’aspettativa e sicuramente la certezza di aver accesso a qualsiasi informazione io abbia bisogno, non è necessario prestargli attenzione. Questo ha iniziato ad entrare nelle nostre vite, in modo concreto, quando probabilmente Facebook ci ricordava i compleanni. O quando le memorie dei telefoni sono diventate borse di Mary Poppins e non ci chiedevamo quale ricordo trattenere perché potevamo aprire semplicemente la galleria.

Wikipedia, per quanto a volte sia discutibile la veridicità delle informazioni, è la prima cosa che consultiamo per una data che non ricordiamo, per un nome di un luogo o per il regista di un film. Potremmo cercare nei libri o consultare un’Enciclopedia, invece apriamo internet che di fatto si è tramutata nella memoria esternalizzata.

Questa vostra scoperta creerà oblio nell’anima degli studenti, perché non useranno la loro memoria; si affideranno ai caratteri scritti esteriori e non ricorderanno se stessi- Dialogo tra Socrate e Fedro, Platone

Platone, nei dialoghi fra Socrate e Fedro, racconta proprio questo, di come, secondo Socrate, la scrittura uccida la memoria perché gli studenti si sarebbero affidati e fidati solo delle lettere scritte, dimenticando loro stessi. Ma per condividere questo suo pensiero, Platone ha usufruito della scrittura, senza la quale non avremmo potuto leggere questi suoi pensieri, nonostante la consultazione avvenga attraverso Wikipedia o verso un qualsiasi altro rapido canale.

Sempre Horvart, insieme ad altri ricercatori, ha approfondito la longevità della cultura arrivando a un possibile punto di svolta: più divoriamo in breve tempo, meno ci resta dentro. L’analisi è stata svolta in quel mondo che è il binge watching, quel modo di divorare le serie tv o i programmi in generale.

Non c’è percezione della possibilità che tutto questo possa finire, manchiamo di limite, ci poggiamo su memorie che potrebbero scomparire in un attimo.

Leggere a ritmo

Una possibile soluzione per dimenticare meno nella forgetting curve (la curva dell’oblio) è forse quella di leggere o guardare una serie tv con un tempo più lento. Questo non significa allungare i tempi di lettura della parola; concederci tempo per assaporare quelle pagine, riuscire a chiudere la storia anche se questa ci chiama, permetterci di godere della lettura delle ultime due pagine un’ora prima di andare a dormire. Più stiamo su pagine e immagini lasciando sedimentare, maggiore sarà ciò che resterà impresso più a lungo. Questo non significa che ricorderemo tutto, ma solo che nelle prime 24 ore, forse, perderemo qualcosa in meno o saremo in grado poi di richiamare alla memoria maggiori informazioni.

L’esempio perfetto sono le puntate delle serie tv che prima dell’avvento di Netflix uscivano una volta a settimana. Ogni settimana dovevamo ricordare ciò che avevamo visto, bisognava far affidamento certamente non sulla possibilità di mandare indietro, di cercare l’episodio specifico che aveva anticipato una determinata cosa.

Allora, se avete voglia di provare queste teorie, questi tempi lenti; se avete voglia di cimentarvi in una lettura che vi invita a ricordare, provate Il Bird Hotel, di Joyce Maynard.

a cura di
Ylenia Del Giudice

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