Il Cinema Ritrovato –  una retrospettiva sui film horror 

Il Cinema Ritrovato –  una retrospettiva sui film horror 
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Domenica 30 giugno si è concluso anche per quest’anno il Festival de Il Cinema Ritrovato. In questo articolo vi propongo un approfondimento a mente fredda sulle pellicole di genere horror protagoniste di questa edizione.

Con la giornata di domenica 30 giugno ha avuto fine la trentottesima edizione del festival de Il Cinema Ritrovato a Bologna. Anche quest’anno le proposte sono state numerose e hanno spaziato tra i vari generi, dal musical al noir, dalla commedia al dramma. 

Essendo appassionata di film horror, non mi sono trattenuta dal prenotarne quanti più possibile. Per questioni di tempo, però, ho dovuto rinunciare a classici che avevo già visto come Carrie e Hellraiser (quest’ultimo con mia grande sofferenza, essendo uno dei miei film preferiti). 

Mentre riordinavo le idee, mi sono accorta che, senza farlo apposta, avevo visto precisamente un film per decade dal 1930 al 1970. Ovviamente, le pellicole che troverete di seguito non sono sufficienti a delineare una vera e propria evoluzione della storia del cinema horror. Allo stesso tempo, però, è innegabile che ciascuna di esse rappresenti la fotografia del momento storico in cui è stata realizzata, permettendo comunque di assistere a cambiamenti in ordine cronologico. 

Ma ora, senza ulteriori indugi, entriamo nel vivo degli approfondimenti per un ultimo omaggio a Il Cinema Ritrovato!

“Freaks”, 1932 (62’)

Tratto dal racconto di Tod Robbins Spurs, Freaks di Tod Browning è un film senza tempo, un momento chiave nella rappresentazione di persone con disabilità. 

Browning aveva sempre mostrato una grande empatia nei confronti delle persone disabili, inserendole spesso nei suoi film. Ad interpretare questi personaggi c’era normalmente l’attore Lon Chaney, che purtroppo venne a mancare nel 1930. E così nel 1932 per il suo Freaks il regista decise di usare dei veri e propri “freaks”, dei fenomeni da baraccone. 

Come si può facilmente intuire, i tempi non erano maturi: a differenza dei suoi precedenti successi commerciali, la pellicola fu un fallimento finanziario. L’audience dell’epoca non riusciva a concepire la rappresentazione dei belli e forti come i cattivi della storia, soprattutto se dall’altro lato c’erano i deformi e i disabili. 

Fortunatamente, gli anni hanno dato ragione a Browning e, oggi, il film è considerato un cult. Di più, il fatto che non esistano copie della versione originale da 90’ continua a provocare grande delusione tra gli estimatori della pellicola.

“The Body Snatcher”, 1945 (78’)

Anche The Body Snatcher (La jena) di Robert Wise ha origini letterarie. Il film è stato infatti tratto dal racconto omonimo di Robert Louis Stevenson che, a sua volta, si rifaceva ad un fatto di cronaca dell’Edimburgo del 1828. Alla base della storia ci sono, infatti, le gesta dei terribili Burke e Hare, due personalità che in pochi mesi profanarono tombe e ammazzarono circa sedici persone per vendere i corpi ad uno stimato dottore dell’epoca. 

Quando RKO produsse il film nel 1945, venne scelto come uno dei protagonisti Boris Karloff, celebre per un altro ruolo presso un’altra casa di produzione: il mostro di Frankenstein. Inutile sottolineare come, probabilmente, Karloff in quegli anni cercasse di sfuggire al personaggio dell’Universal, che aveva interpretato in infiniti sequel. In The Body Snatcher è invece John Gray, un vetturino sinistro disposto a tutto per denaro, anche ad uccidere. A differenza del mostro di Frankenstein, Gray ha una grande parlantina e l’attore ha decisamente brillato nella parte. 

Accanto a lui troviamo un’altra grande star dalla storia simile: Bela Lugosi, meglio conosciuto come Dracula. Pur interpretando un ruolo minore (soprattutto se comparato al collega), anche Lugosi riesce a distinguersi e a liberarsi parzialmente del peso del suo personaggio precedente. 

“Gojira”, 1954 (97’)

Il 1954 fu un grande anno per il cinema giapponese e, tra i film usciti quell’anno, Gojira (Godzilla) di Ishiro Honda occupa sicuramente un posto d’onore. 

Nonostante negli anni il personaggio di Godzilla sia diventato un fenomeno della cultura pop, ispirando numerosi film più o meno riusciti, la pellicola originale deve essere assolutamente presa sul serio. Creato da persone reduci dalla Seconda Guerra Mondiale, Gojira è fortemente antimilitarista e antinucleare. La creatura che dà il nome alla pellicola, infatti, altro non è che l’incarnazione di un peculiare tipo di distruzione che, a nove anni dalla fine della guerra, ancora continuava a terrorizzare il popolo giapponese.

Alla base della creazione del film ci sono probabilmente due episodi. Il primo è la visita di Honda a Hiroshima nel 1946, un momento in cui il regista ebbe modo di constatare da vicino un orrore inenarrabile. Il secondo è il test di una bomba H nel marzo del 1954, un incidente che causò non pochi timori alla popolazione. 

Se il mostro incarna la distruzione della guerra e del nucleare, il personaggio che gli è speculare è il dottor Serizawa. Questo brillante scienziato riesce infatti a scoprire un ordigno in grado di distruggere l’ossigeno, provocando gli stessi effetti di una bomba H. Il risultato è un personaggio quasi shakespeariano, dilaniato tra la difesa di una scoperta scientifica e il pericolo della distruzione di massa. Nonostante siano passati settant’anni, questo dilemma pare essere ancora centrale nella società. 

“Peeping Tom”, 1960 (105’)

Il 1960 fu un anno particolarmente importante per il cinema dell’orrore, dal momento che uscirono due film aventi per protagonista un timido psicopatico represso con tendenze voyeuristiche. Il primo, Psycho, segnò un momento di svolta per la carriera di Hitchcock e per il cinema di genere. Il secondo, uscito in realtà qualche mese prima, venne recepito così male dai critici da essere considerato l’inizio della fine della carriera di Michael Powell.  

Nonostante la fredda accoglienza ricevuta nel 1960, Peeping Tom (L’occhio che uccide) viene oggi considerato un tassello fondamentale del cinema horror e, a suo modo, uno dei primi slasher. Il protagonista Mark (Carl Boehm) è ossessionato dall’idea di diventare un regista famoso e, come suo padre prima di lui, ha sempre con sé la sua videocamera. Nel corso del film lo vediamo intento a riprendere meticolosamente i suoi omicidi con l’obiettivo di realizzare un documentario sulla paura. 

Proprio per la natura stessa della storia, potremmo affermare che Peeping Tom sia alla base di molti film in stile found-footage. Allo stesso tempo, esso è anche un grande commento sugli aspetti più oscuri del fare cinema: i registi, come Mark, spesso vogliono mettere in scena dei desideri inconsci, non necessariamente positivi. Citando le parole di Martin Scorsese: “I always felt that Peeping Tom and Fellini’s 8 ½ are the two great films that deal with the philosophy and the danger of filmmaking”. 

“Les Lèvres Rouges”, 1971 (108’)

In conclusione di questi approfondimenti c’è un film del 1971 di Harry Kümel, con protagonista Delphine Seyrig: Les Lèvres Rouges (La vestale di Satana). 

Punto di forza assoluto di questa storia di vampiri dalle tinte erotiche è la Seyrig nei panni della contessa Elisabeth Bathory. Questa vampira borghese si basa sull’omonima figura storica, una contessa ungherese che, leggendariamente, faceva il bagno nel sangue di vergine per non invecchiare. A differenza della sua fonte di ispirazione, il personaggio cinematografico sembra essere più interessato ad intrappolare nella sua rete di seduzione giovani donne attraenti, rendendole sue amanti per l’eternità.

Un tema della pellicola è infatti il lesbismo che, in questo caso assume una doppia lettura. In chiave horror, l’attrazione per il mostro e per le donne diventano inseparabili. Due tabù sconfitti. Se, invece, si vuole guardare al lato erotico del film, va ricordato che esso è una fantasia tipica di questo cinema. 

Indubbiamente, l’opera presenta a tratti degli elementi che oggi non esiteremmo a definire trash, ma, d’altro canto, Les Lèvres Rouges nasce in primis come film commerciale. Detto questo, l’iconicità di Delphine Seyrig e la messa in scena fortemente artistica riescono ad elevare la pellicola. E, che sia o meno di vostro gradimento, la vampira Elisabeth Bathory non può che rimanere impressa nella memoria. 

a cura di
Claudia Camarda

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