“Dune – Parte Due”: la versione sconsacrata di Denis Villeneuve

“Dune – Parte Due”: la versione sconsacrata di Denis Villeneuve
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In uscita in anteprima oggi martedì 27 febbraio e in tutti i cinema da mercoledì 28, uno dei sequel più attesi dell’anno. Tratto dal celebrato romanzo di Frank Herbert e diretto da Denis Villeneuve, con protagonisti Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Austin Butler e Florence Pugh, arriva al cinema “Dune – Parte Due”! 

Arrakis, anno 10191. 
Casa Atreides è stata definitivamente sconfitta. Gli Harkonnen, vittoriosi, si ergono sulle ceneri del Duca Leto, perpetuando con violenza brutale continue stragi alla popolazione Fremen, che ancora osa ribellarsi. 

“Non ci sono sopravvissuti.”
È questo ciò che si legge fra le pagine dei diari della Principessa Irulan, figlia dell’Imperatore Shaddam IV

Ma, fra le aride sabbie di Dune, qualcosa giace acquattato, in attesa. È Muad’dib, il topo canguro di Arrakis, “saggio alla maniera del deserto”. Che si crea la propria acqua e si nasconde al sole, viaggiando nel fresco della notte. 

“Colui che apre la strada, indicando la Via”: il Mahdi, che questa popolazione – in lotta da decenni – ha atteso per tutta la vita, alimentato, nei sogni e nelle speranze, dai sussurri superstiziosi che le Bene Gesserit hanno diffuso in questi territori. 

Il tempo è ormai giunto. 
La voce di Usul si leva alta, fra i Fremen. Il suo grido giura vendetta, tra le lande desolate del deserto. 

Riuscirà Paul Muad’Dib Usul a ribellarsi ad un Destino apparentemente già scritto, o si piegherà alla forza delle sue visioni, accettando la sua vera natura e diventando ciò per cui è stato preparato ad essere? 

La regia di Denis Villeneuve

Con Dune – Parte Due, Denis Villeneuve si conferma ancora una volta maestro del genere, offrendo allo spettatore uno sguardo su un universo lontano, caratterizzato da antiche profezie e lotte violente per il potere. 

Un mondo in cui ogni mossa è strategicamente calcolata, frutto di un disegno politico oscuro, celato per secoli. Le trame si intrecciano, i piani orditi si sovrappongono, confondendosi tra loro e andando in frantumi, continuamente sostituti da nuovi. 

Le Grandi Case scompaiono, nuovi eroi e nuovi martiri sorgono, pronti a sacrificarsi per interesse, libertà e vendetta.

Le numerose scene action, imponenti e cariche di tensione, si susseguono veloci, avviluppando lo spettatore per trascinarlo vorticosamente nel viaggio di ascesa al potere di Paul.
La regia di Villeneuve, maestosa e tecnicamente ineccepibile, gioca con le linee geometriche del deserto, con i suoi colori e le sue cupe atmosfere che, uniti ad un’accentuata spettacolarizzazione, rendono ogni impresa, ogni scontro, ogni lotta pericolosamente mortale.
E drasticamente inevitabile. 

Come la prima cavalcata sul verme delle sabbie: una duna squarciata a metà, dalla potenza di Shai-Hulud.

La cavalcata di Shai-Hulud in “Dune – Parte Due”

Al contrario del capitolo precedente, quindi, la presenza della componente action risulta decisamente massiccia e, nei primi 60 minuti del film, oserei dire quasi ridondante. Con l’entrata in scena di Feyd-Rautha (interpretato magistralmente da Austin Butler), la spettacolarità della resa visiva lascia però spazio ad una narrazione più appassionata, caratterizzata da numerosi primi piani e da un pathos che va sempre più in crescendo. 

E che culmina con la resa dei conti finale, dove i due nemici si affrontano corpo a corpo, nel silenzio della sala. 

Le lame si incrociano, saettando nell’aria. 
I corpi volteggiano, in una danza di orrore e di morte. 

Nei loro occhi, il Destino di un intero Universo. 

La demistificazione di “Dune”

Con questo secondo capitolo, tuttavia, Denis Villeneuve non si limita ad offrire allo spettatore una fedele riproduzione dell’opera madre, ma ci fornisce – al contrario – una sua personale visione sulle imprese compiute da Paul Atreides, enfatizzando la sottile critica al fanatismo religioso contenuta tra le pagine del romanzo di Herbert. 

Per lungo tempo i Fremen hanno atteso l’arrivo del Mahdi – il Messia capace di condurli in Paradiso -, ed ovunque ne scorgono i segni, disseminati abilmente nel corso degli anni dalle Bene Gesserit. 
Le quali hanno incrementato una fede capace di donar loro speranza e la forza di andare avanti, battaglia dopo battaglia, senza mai cadere. 

Ma anche una credenza capace di renderli schiavi in catene, oscurando i loro occhi e la loro capacità di discernimento. 

Una religione potente, in grado di assoggettarli ad un padrone temibile ed altrettanto pericoloso, per il quale sarebbero disposti a tutto. 

“Abbiamo dato loro speranza.” 
“Non è speranza.”

Jessica e Paul, “Dune”, 2024 

Perché è nel cieco culto delle masse che risiede il pericolo maggiore. 

Quello del fanatismo religioso, usato dai potenti per controllare i più deboli, catalizzando la loro forza straripante verso un unico obiettivo, da loro deciso e per loro prioritario. La Jihad, una gloriosa impresa, un sacrificio ultimo. Un modo per dimostrare col sangue la propria devozione al Padrone. 
Quello dell’adorazione di falsi profeti, da cui tutti i popoli dovrebbero guardasi con altrettanta cautela. 

“Nel primo film abbiamo visto un Paul Atreides ancora molto legato alla sua esistenza da ragazzo, mentre in questo nuovo film quel ragazzo sarà costretto a crescere e diventare adulto: entrerà in contatto con i Fremen e poi andrà oltre, assumendo un ruolo di leadership per il quale non è necessariamente pronto e che forse neppure vuole, ma che è comunque nel suo destino. La storia è un avvertimento contro il fanatismo religioso e l’adorazione cieca dei leader dal carisma forte, cose che accadono fin troppo comunemente nel nostro mondo di oggi.
È soprattutto una storia di avvertimento: penso che questa pellicola segua quella linea con molta, molta attenzione e da vicino. E con il terzo (“Dune Messiah”) credo che la questione sarà esplorata ancora di più. Siamo motivati a realizzare una trilogia.”

Timothée Chalamet

Paul stesso avverte il pericolo da lui rappresentato e, per questo motivo, tentenna, rinnegando la propria natura e cercando di trovare un’altra strada. Un altro modo.
Per risparmiare dal destino che li attende i milioni di Fremen pronti a sacrificarsi per lui. 

“Lisan al Gaib”, gridano a gran voce, battendo mani e piedi. Un inno che riecheggia nel deserto, privo di alcuna paura. Nel loro sguardo una luce folle, frutto del terreno che le Bene Gesserit hanno preparato, condannando questo popolo ad una schiavitù senza sbarre né catene, ma non per questo meno spaventosa e definitiva. Quella di chi non vede altra possibilità di salvezza, se non quella rappresentata da un capo indiscusso, la cui venuta è da tempo promessa. 

Un nuovo Padrone, che si sostituisce ad un altro. 

“Quando Frank Herbert ha scritto Dune è rimasto deluso da come la gente percepiva Paul. Nella sua mente, Dune doveva essere un ammonimento, un avvertimento contro le figure carismatiche, i leader politici e i cosiddetti messia. Sentiva che i lettori percepivano Paul come un eroe, quando invece voleva fare il contrario. Quindi, per correggere questa interpretazione sbagliata da parte del pubblico, scrisse “Dune Messiah”, una sorta di epilogo che rende molto chiaro che questa storia non è una vittoria, ma una tragedia. Lo dico con grande umiltà, ma spero che il mio adattamento sia più vicino alle intenzioni originali di Frank Herbert di quanto mai fatto prima.”

Denis Villeneuve

Il ruolo chiave di Chani 

“Principalmente, ho usato il personaggio di Chani per sottolineare questa idea. L’ho usata per portare una prospettiva diversa alla storia.”

Denis Villeneuve

Dimostrazione di ciò è sicuramente il ruolo assunto da Chani all’interno della pellicola. 

La quale, in netto contrasto con la sua versione cartacea, si fa portavoce del messaggio che il regista vuole trasmettere, rifiutando il ruolo assunto da Paul all’interno della storia e arrivando quindi a scontrarsi duramente con esso. 

“Più tardi capirà.”, rivela il Duca alla Reverenda Madre, sicuro di quanto visto. Ma le visioni del Muad’dib non sono sempre chiare ed infallibili, e la protagonista messa in scena da Zendaya è un personaggio attivo, che non accetta compromessi e false divinità. Il suo arco narrativo verrà dunque stravolto e, liberatasi dalle catene di comprensione ed accondiscendenza che imprigionavano il suo personaggio, la giovane prenderà numerose scelte in prima persona, andando ad assumere una posizione trasversale rispetto a quella di Paul. 

“Una cosa che ho davvero apprezzato di ciò che Denis ha fatto con Chani è che ha dato a questo personaggio le proprie convinzioni personali ed una caratterizzazione del tutto nuova.
Nel libro, lei accetta immediatamente il fatto che Paul sia il Messia e non mette mai in dubbio questa convinzione, ma nel film non sarà così.”

Zendaya 

Delusa, amareggiata e profondamente tradita, Sihaya osserva biecamente i suoi compagni abbandonare Arrakis, per seguire il giovane condottiero in una Guerra che non appartiene loro.

E… (per evitare SPOILER, saltare la parte finale del paragrafo, sotto la locandina)

… lontana dal popolo Fremen e dall’amato, il film si conclude così con la cavalcata di Chani nel deserto, immersa nel silenzio e nella solitudine della sua terra. 

Da sola, nel suo Dune. 
L’unico luogo a cui davvero appartiene. 

Un cast stellare 

Oltre a Zendaya nei panni della giovane Fremen, in Dune – Parte Due sono presenti tante altre stelle del mondo del Cinema che, attraverso l’eccelso lavoro svolto sul set, hanno contributo a rendere memorabile questo secondo capitolo della saga. 

Ritroviamo, infatti, tanti volti noti dal film precedente, come Josh Brolin e Javier Bardem, che interpretano rispettivamente il fidato Gurney Halleck e Stilgar, capo del sietch Tabr. 
Ma anche Stellan Skarsgård, ancora una volta nei panni del sanguinario e temuto Barone Vladimir Harkonnen, e Dave Bautista, il cui grido di collera squarcia con violenza l’oscurità della notte. 

Assieme a tanti nuovi protagonisti, che vanno ad arricchire la narrazione, portando alla nascita di nuove e complesse sottotrame politiche. 

Mi riferisco a quelli interpretati da Christopher Walken e Florence Pugh, il cui personaggio vanta una presenza decisamente maggiore rispetto al libro e risulta usato sapientemente. Ospite di Jimmy Kimmel, la stessa attrice ha raccontato di aver passato molto tempo sul set con il celebre Premio Oscar e di come il suo argomento prediletto fosse – inaspettatamente – il suo tipo di ciambelle preferite, che non mancava mai di menzionare tra una ripresa e l’altra. 

Una notevole sorpresa (ma poi, in fin dei conti, nemmeno così tanto) è rappresentata dal personaggio di Feyd-Rautha, interpretato da un incredibile Austin Butler. Che ci regala una performance intensa e delirante, proprio come ci si aspetterebbe dal nipote del Barone.
Il lavoro compiuto su di esso risulta talmente esatto e preciso da sembrar uscito direttamente dalle pagine del libro di Herbert, e gran parte delle sue scene rimangono a lungo scolpite nella mente dello spettatore.

Come il magnifico combattimento nell’arena, la cattiveria e la spregiudicatezza riversata in ogni sua azione, nonché la resa dei conti finale col suo nemico. 

Nei panni dei due protagonisti ritroviamo, infine, Rebecca Ferguson e Timothée Chalamet. 
Madre e figlio. 
La Bene Gesserit e il Kwisatz Haderach. 

Per quanto riguarda Lady Jessica, Rebecca Ferguson centra il bersaglio, fornendo al pubblico una prova attoriale perfettamente in linea con il personaggio, senza tralasciarne alcun aspetto o sfumatura. 

Un peccato invece per la sequenza sull’Acqua della Vita che, in relazione all’assunzione da parte della Bene Gesserit, viene un po’ trascurata, pur essendo di importanza fondamentale per ciò che avverrà dopo.
E per il ruolo di Alia, la cui coscienza verrà definitivamente alterata da questo evento. 

Riguardo a Timotheè Chalamet, che dire?
Amato ed odiato, le sue interpretazioni sembrano costantemente dividere il grande pubblico. 

Ma, dopo i primi sessanta minuti di film – caratterizzati da un’interpretazione un po’ più titubante e decisamente trattenuta (com’è, del resto, lo stesso Paul) -, anche i più ostinati detrattori dell’attore dovranno ricredersi.
Alla trasformazione improvvisa del Duca nello Kwisatz Haderach, infatti, i toni si alzano e Chalamet ci regala una prova attoriale degna di nota, per intensità e potenza. 

Se non, forse, una delle migliori della sua carriera. 

Il suo discorso al consiglio dei Fremen echeggia forte nella sala gremita di gente. Ogni parola, ricolma di pathos e di tensione, crea una voragine, trafiggendo e attraendo l’intera folla. 
In mezzo alla quale Muad’dib si mescola, camminando fiero, temuto ed acclamato da tutti. 

Ecco, il Lisan al Gaib sorge, inarrestabile in tutta la sua grandezza. 

Una trasposizione riuscita 

Nonostante abbia nettamente preferito il primo film (decisamente più lento, ma anche maggiormente fedele al romanzo), Dune – Parte Due si dimostra un sequel degno del suo predecessore, caratterizzato da frequenti scene d’azione e tanta, tanta adrenalina.
Un altro risultato eccelso per Denis Villeneuve, che trionfa nell’impresa fallita da Lynch, confermandosi ancora una volta maestro dello sci-fi! 

Questo secondo capitolo riscontrerà, pertanto, un indice di gradimento sicuramente maggiore da parte del grande pubblico, che verrà catturato dalla monumentale resa visiva delle lotte e dei combattimenti, nonché dall’epicità racchiusa nelle stesse scene chiave del film. 

E per i fan del libro, una sola considerazione: i cambiamenti ci sono e risaltano in modo evidente, ma poco male. Poiché, anche se significativi, non stravolgono vicenda, mantenendone al contrario il messaggio immutato.

Non vi resta, dunque, che precipitarvi al cinema e, a partire da oggi 27 febbraio, sprofondare ancora una volta tra le calde sabbie di Dune, accompagnando Paul fino al termine del suo viaggio. 

Ecco il trailer di “Dune – Parte Due”!

a cura di 
Maria Chiara Conforti 

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