Benvenuti nella “Dead Club City”: il nuovo album dei Nothing But Thieves
La band britannica torna con il nuovo ambizioso concept album “Dead Club City”: il concetto c’è, la tecnica anche, ma…
Dopo tre album di notevole successo tornano i Nothing But Thieves, la band dell’Essex che sta contribuendo a ridefinire il rock britannico, che ha deciso di provare ad alzare l’asticella e approcciare una nuova sfida: creare un concept album.
Nell’immaginario della band, “Dead Club City” è una città distopica, un grande club riservato ai soli soci, in cui storie e pensieri prendono spaziano tra circostanze personali, relazioni e temi sociali. Così come ogni città ha diverse aree e influenze, brano dopo brano viene a crearsi uno spazio con diverse sfaccettature, dalle interpretazioni disparate, il cui filo conduttore è l’inconfondibile voce del frontman Conor Mason e un sound dalle atmosfere sempre più elettroniche.
Welcome to the DCC
Il primo singolo estratto, “Welcome to the DCC”, ci da il benvenuto nella realtà distopica immaginata dai Nothing But Thieves e delinea fin dal principio il concept dell’album, dalle sonorità dance dal retrogusto anni Ottanta.
All the heaven, all the time
If you dream it, you can have it
If you believe it, it can happen
Welcome to the DCC, Dead Club City
Live your perfect life
Allo stesso modo, anche il secondo brano “Overcome” spicca per il sound dance, fortemente radiofonico, mentre i Muse incontrano i Queens Of The Stone Age nell’accattivante “City Haunts”, dalle sonorità sensuali e ruggenti.
Inconfondibili le influenze che hanno, volutamente o non, ispirato vari brani dell’album. La dolceamara “Tomorrow Is Closed” strizza l’occhio all’indie-rock degli Strokes, mentre “Do You Love Me Yet” sembra quasi una rilettura moderna ed efficace del sound dance anni Ottanta degli Electric Light Orchestra. Troviamo il dream pop dei M83 in “Foreign Language”, ma anche le espressioni più dolci dei Twenty One Pilots nella ballad “Green Eyes :: Siena”.
Chiude l’album “Pop The Balloon”, un pezzo dalle distorsioni acide e dal sound inquieto e affannato, in cui l’invito è quello di uccidere la città distopica, ma allo stesso tempo vi è la presa di coscienza di farne parte.
Kill the Dead Club City
Sul finale dell’album tutte le sfaccettature della band e della loro realtà vengono rivelate allo stesso tempo, mostrandone la visione d’insieme e un’indubbia crescita artistica, nel desiderio di superare i propri confini e divertirsi sperimentando.
L’album però fila nel concetto, forse meno nella produzione. Non tanto perché non sia buona, anzi, il risultato è un prodotto autentico e riconoscibile. Ma appare quasi troppo radio-friendly, con una svolta notevolmente pop, che per una band nata e cresciuta nel panorama rock alternativo può essere un’arma a doppio taglio.
Un album che farà probabilmente discutere e schierare i fan amanti delle chitarre contro e quelli con una gran voglia di ballare a favore.
a cura di
Chiara Serri
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