Metallica, “72 Seasons” e le pacche sulle spalle

Metallica, “72 Seasons” e le pacche sulle spalle
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La band di San Francisco ci consegna il lavoro forse più bilanciato degli ultimi vent’anni, con tutti i pregi e, soprattutto, i difetti che oramai abbiamo imparato a riconoscere

I Metallica per una volta hanno fatto la scelta giusta sin dall’inizio:  hanno lavorato a testa bassa e hanno annunciato l’uscita di un nuovo album “72 Seasons” solo a mixaggio ultimato. Non continui annunci stile “Stiamo lavorando, presto news” e bla bla bla. L’ultima volta ci hanno messo qualcosa come otto anni per tirar fuori qualcosa (“Hardwired… To Self-Destruct” nel 2016, il precedente “Death Magnetic” nel 2008. No, non contiamo la collaborazione con Lou Reed “Lulu” del 2011).

Come è andata? Facciamo un piccolo recap

“72 Seasons” è frutto di un lavoro di fino dei quattro horsemen, continuando a limare quello che a tutti gli effetti è il “nuovo” stile che la band di San Francisco sta perseguendo a partire dal 2008, quando il tutt’altro che perfetto “Death Magnetic” aveva in sé una rielaborazione del sound complessivo (meno pentole da mercato, mix più tagliente e affine al loro stile), il ritorno degli assoli (in “St. Anger” assenti, nel successore Kirk Hammett delle volte persino esagera) e una generalmente rinnovata ispirazione (“All Nightmare Long” uno dei pezzi migliori delle ultime tre decadi).

“Hardwired… To Selfdestruct” nel 2016 stava migliorando il tutto, ma ha peccato di incredibile lungaggine, con l’inserimento in scaletta di pezzi del tutto trascurabili o semplicemente brutti. Una sfortuna, dato che contiene dei gran pezzi come la title track, “Atlas, Rise!”, “Moth into Flame” e “Split Out The Bone”.

metallica, la cover di "72 seasons". Recensione di Andrea Mariano su The Soundcheck.it
La copertina di “72 Seasons”, il nuovo album dei Metallica

Il nuovo arrivato in casa Metallica è essenzialmente la summa di tutto questo percorso: i quattro non-più-ragazzi continuano sulla strada del “premiamo sull’acceleratore solo una volta ogni tanto” e “cerchiamo di essere epici con pezzi oltre i 6 minuti”. Prendere o lasciare, oramai è così.

I ‘Tallica, come detto, hanno deciso di rallentare i ritmi generali. Questo anche per un fatto di naturale resistenza: se l’amico Mustaine ha con sé dei comprimari che riescono a reggere due ore con 250 bpm quasi fissi, loro hanno capito che non possono sempre. Piuttosto, hanno cercato un compromesso, realizzando una struttura canzone più granitica e che cerchi la velocità solo dove necesario.

Dai, ora parlami un po’ di ‘sto album

L’aspetto positivo è che nel suo complesso “72 Seasons” risulta più omogeneo dei suoi due diretti predecessori. La qualità media è più alta, il che non significa che non siano presenti momenti noiosi o inutilmente lunghi (“You Must Burn!” non è orribile, ha qualcosa persino di sabbathiano nella parte centrale, ma se non fosse stata inserita non ci saremmo strappati i pochi capelli rimasti), bensì che la voglia di saltare a tutti i costi un pezzo in favore di un altro è meno accentuata che in passato.

Nemmeno come cartone animato Lars riesce ad andare a tempo…

Il contraltare di questa situazione è che c’è un appiattimento paradossale nella parte centrale dell’album. Stilisticamente ci sono troppi pochi cambi, troppe poche variazioni. Anche in questo caso, come nel precedessore “Hardwired… To Self-Destruct”, un’operazione di sottrazione avrebbe giovato molto, eliminando due o tre brani, così come sarebbe stato non del tutto sbagliato spronare ogni tanto Kirk Hammett per ripensare certi assoli, dato che delle volte si ha la sensazione che seguano il trucco “azzecchiamo le prime note e il finale; in mezzo non fa niente se faccio casino”.

“D’accordo, ma com’è 72 Seasons?” “… ‘spetta ‘n attimo che digerisco”

Ciascun brano, se preso singolarmente, può sfiorare la decenza (Too Far Gone?) o essere estremamente godibile (“Lux Aeterna” o la title track), ma racchiusi in un unico ambiente quale è l’album “72 Seasons”, ingolfano l’ascoltatore verso metà. Un po’ come un pranzo dai parenti: inizi bene, ti gusti antipasti, qualche sorso di vino e le prime forchettate di pasta. Quando arriva l’arrosto misto inizi ad avere visioni mistiche e hai sollievo e godimento verso la fine, quando sopraggiungono caffè e bottiglie di amari a salvarti.

“Inamorata” è stata una bella sorpresa

Discorso a parte per “Inamorata”, che coi suoi 11 e più minuti è tra i brani più interessanti degli ultimi trent’anni. Qui i Metallica riescono a essere interessanti per tutto il tempo, riescono a costruire una struttura solida, che regge la diffidenza iniziale dell’ascoltatore e la porta verso la curiosità e l’interesse, infine, all’attenzione. Un non previsto ottimo epilogo.

Ok, ma questi soldi li spendo o no?

Contando anche e soprattutto i difetti che mostra senza troppi mascheramenti, “72 Seasons” è quel genere di album che il fan dei Metallica più disilluso può apprezzare: oramai sa cosa Hetfield e soci possono offrire e questo lavoro è il più a fuoco degli ultimi vent’anni proprio per le sue luci e le sue ombre. Un po’ come per gli Iron Maiden: c’è chi ha accettato il percorso “facciamo brani da almeno 7 minuti”, c’è chi si rifugia nel “Sono finiti nel 1986”.

Tutti gli altri, possono dare una pacca sulla spalla e dire “Dai, ci hai provato. Ora torniamo a casa”.

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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