Fat acceptance: “The Whale” è la storia di un uomo gravemente obeso, non di un attivista

Fat acceptance: “The Whale” è la storia di un uomo gravemente obeso, non di un attivista
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The Whale di Darren Aronofsky – anche regista di Requiem for a Dream (2000), Il cigno nero (2010), Madre (2017) – è uscito nelle sale il 23 febbraio. Il film ha diviso l’opinione pubblica. A criticarlo soprattutto gli attivisti del movimento per la fat acceptance.

The Whale è l’adattamento cinematografico dell’omonima pièce teatrale del drammaturgo Samuel D. Hunter, anche sceneggiatore del film. Racconta la storia di un uomo obeso, Charlie, interpretato da Brandan Fraser, candidato all’Oscar come migliore attore.

Charlie pesa oltre 300 chili, insegna scrittura creativa online e vive da solo perché ha perso il suo compagno anni addietro, morto suicida. Mai rassegnato alla morte dell’amore della sua vita, è ingrassato a dismisura e mangia compulsivamente.

Quando tiene le sue lezioni, non accende la videocamera per evitare di mostrarsi agli studenti. Sibila ad ogni respiro, lo colgono fortissimi dolori al petto, ma non vuole curare il male che lo affligge. Charlie, prima di scoprirsi omosessuale, aveva una moglie e una bambina, che abbandona per realizzare il suo sogno d’amore. Ora, se c’è qualcosa di cui Charlie ha fame, è di ricucire il rapporto con Ellie, sua figlia ormai adolescente.

Stereotipizzazione, pornografia del dolore e fat suit

Per l’interpretazione di Charlie, Brandan Fraser indossa una fat suit. A seconda della scena, l’attore ha sopportato il peso di protesi pesanti, dai 22 ai 136 chili, e subìto dalle cinque alle sei ore di trucco. Brandon Fraser non è un uomo gravemente obeso, cosiddetto infinifat, ma una able-bodied person che interpreta una persona dal corpo spaventosamente grasso.

Rappresentazione e rappresentanza sono, per il movimento della fat acceptance, temi cruciali alla liberazione dei corpi grassi dalle marginalizzazioni e discriminazioni. In The Whale non viene data la parola ad un uomo grasso com’è grasso Charlie. Manca la rappresentanza, e anche la rappresentazione resa, secondo la critica, è stereotipata, pietosa, disumanizzante. Charlie è uomo e mostro, e il suo aspetto esagerato, corpulento, deforme, caratterizza quasi unicamente il personaggio. Anche quando scopriamo altro, di Charlie, oltre che la sua grassezza, nulla fa da contrappeso. Charlie è orfano del suo compagno, gravemente malato, solo e suicida.

Il movimento per la fat acceptance

Il movimento per la fat acceptance mette radici negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta, in difesa dei diritti civili delle persone grasse e contro la loro marginalizzazione e discriminazione. Si fa portavoce dei corpi grassi, qualsiasi corpo più grasso rispetto alla norma sociale (thinnormativity). Nella sua fase embrionale, si presenta con l’azione isolata di alcuni attivisti che protestano contro l’attitudine grassofobica delle società, delle istituzioni e dei sistemi di potere, e denunciano il pregiudizio estetico e medico verso le persone grasse.

Le istanze del movimento si intrecciano presto a quelle femministe quando vede la luce il gruppo femminista Fat Underground. Da qui prende forma il Fat Liberation Manifesto, nel 1973. Il manifesto “demand equal rights for fat people in all aspects of life” e “repudiate the mystified “science” which falsely claims that we are unfit”. Non solo, non manca di solidarizzare con altri gruppi di oppressi da “classism, racism, sexism, ageism, financial exploitation, imperialism and the like”.

Per le attiviste della fat acceptance, lo stigma contro i corpi grassi si insinua nelle pratiche sociali e nelle istituzioni, interessa soprattutto le donne, perpetra oppressione e impedisce la piena libertà delle persone grasse. Una rappresentazione che accondiscenda ai pregiudizi socialmente costruiti sull’obesità, che intenda la grassezza ad ogni livello come una malattia e che associ ad ogni corpo grasso una personalità pigra e depressa, si piega alle norme e alle normalità escludenti del sistema grassofobico, patriarcale e capitalistico che il movimento combatte.

Witness History: The fat acceptance movement, BBC.
Charlie, non un attivista per la body positivity

Appropriazione di un corpo grasso, narrazione patetica di una sofferenza monolitica e inconsolabile, caratterizzazione stereotipizzata e unidimensionale del personaggio obeso: questi i motivi di critica verso l’opera di Aronofsky.

The Whale si consuma tutto all’interno di un appartamento. È casa di Charlie: buia, sporca, claustrofobica. Il protagonista sembra intrappolato e costretto alla solitudine, ma vuole esserlo. È un uomo rassegnato alla sua disperazione, inconsolabile e determinato ad annegare nel suo corpo grasso. Ancora più straziante, Charlie è misericordioso, comprensivo, sensibile, ma mai verso sé stesso. Non ha paura della morte, le corre incontro abbuffata dopo abbuffata.

Charlie non è un attivista per la fat acceptance. Non ha attraversato anni di lotte né le ha sentite arrivare, non ha preso coscienza che quel dolore non appartiene a lui soltanto, ma è collettivo e può guarire.

The Whale non dice nulla di accettazione della grassezza e body positivity, ma molto dei motivi per cui questi movimenti esistono.

a cura di
Federica Valzani

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