Autunno, una stagione in poesia

Autunno, una stagione in poesia
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L’autunno tra colori, suggestioni e versi immortali, tempo di quiete e di abbandono, di ritmi lenti e di pagine da sfogliare

Le foglie dell’acero, in giardino, stanno via via perdendo la loro tinta verde intensa, che resiste in virtù del caldo tardivo di questa rovente ottobrata romana.

Già si intravvedono venature rossicce, che presto accenderanno di riflessi rame e arancio la chioma di quest’albero. L’acero è un po’ il nume tutelare della mia casa e, a breve, si trasformerà in una sorta di torcia ardente.

Al tramonto, fiammeggerà in giardino esalando sospiri profumati di terra umida e di vita sopita.

Ė il tempo della rugiada mattutina, che ricopre i fili d’erba di un manto di perle; del crepuscolo pigro, che incede lento con strascichi di rosa e violetto. 

Ė stagione di pentole che borbottano, sbuffando vapori di zuppe; di zucche tinte dalle carezze del sole, di tazze fumanti, di mele e cannella.

I pensieri sono confortanti come cestini di castagne, i ricordi agrodolci come chicchi succosi di melograni.

Ė tempo di quiete, di libri e poesia.

L’autunno che avvolge le parole e le dipana come matasse soffici e calde.

Fonte: Pinterest
L’Autunno di Emily Dickinson ed Emily Bronte

“Sono più miti le mattine

e più scure diventano le noci

e le bacche hanno un viso più rotondo.

La rosa non è più nella città.

L’acero indossa una sciarpa più gaia.

La campagna una gonna scarlatta,

Ed anch’io, per non essere antiquata,

mi metterò un gioiello.”

Scrive Emily Dickinson.

E noi la immaginiamo, con la mano delicatamente poggiata sul vetro freddo di una finestra, intenta ad ammirare il paesaggio circostante. Ce la figuriamo rapita da quei colori e da quella bellezza, desiderosa di cingersi il collo di gemme che possano riflettere, almeno in parte, lo splendore ardente della natura un istante prima di soccombere al rigore dell’inverno.

Cadete foglie, cadete fiori e svanite, notte distenditi, accorciati giorno, ogni foglia mi parla di pace soave staccandosi con un sussurro dall’albero autunnale” 

Scrive un’altra Emily altrettanto ispirata, la Brontë, che nell’appassire dolciastro dei fiori, nella danza aggraziata delle foglie, che abbandonano i loro rami cullate dal vento per addormentarsi a terra in un tappeto dorato, vede il dono prezioso di un tempo intessuto di lentezza e di quiete.

Un tempo il cui silenzio è balsamo salvifico dopo il cicaleccio torrido dell’estate.

Fonte: Pinterest
L’Autunno di John Keats

Eppure l’autunno non siede, immobile, in un ininterrotto mutismo. É un mosaico di movimenti dolci e di musica tenue e discreta, come ci svela John Keats:

“Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore,

e toccano con rosea tinta le pianure di stoppia:

allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati

dal vento lieve, o giù lasciati cadere,

piangono tra i salici del fiume,

e agnelli già adulti belano forte del baluardo dei colli,

le cavallette cantano, e con dolci acuti

il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino:

si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.”

Una malinconia dolcissima, come muschio soffice, ammanta ritmi, colori e suoni.

L’Autunno di Herman Hesse e di Ada Negri

La morte della natura non è, tuttavia, strazio inconsolabile, ma riposo auspicato, abbandono sereno, viaggio di ritorno tra le braccia feconde di un humus da cui nascerà nuova vita.

“Ogni fiore vuol diventare frutto,

ogni mattino sera,

di eterno sulla terra non vi è

che il mutamento, che il transitorio.

Anche l’estate più bella vuole

sentire l’autunno e la sfioritura.

Foglia, fermati paziente,

quando il vento ti vuole rapire.

Fai la tua parte e non difenderti,

lascia che avvenga in silenzio.

Lascia che il vento che ti spezza

ti sospinga verso casa.”

Lo racconta così, il suo autunno, Herman Hesse. E quel vento che spezza, eppure sospinge verso casa, non assomiglia forse alla vita stessa, che più ci sferza, più ci scolpisce e plasma, avvicinandoci a ciò che siamo destinati ad essere?

L’autunno è un tempio dorato in cui Ada Negri innalza una preghiera, invocando il dono della capacità di abbandonarsi agli eventi con la stessa fiducia che la Natura ha nei confronti delle stagioni.

“Fammi uguale, Signore, a quelle foglie

moribonde che vedo oggi nel sole

tremar dell’olmo sul più alto ramo.

Tremano sì, ma non di pena: è tanto

limpido il sole e dolce il distaccarsi

dal ramo, per congiungersi sulla terra.

S’accendono alla luce ultima, cuori

pronti all’offerta; e l’angoscia, per esse,

ha la clemenza d’una mite aurora.

Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo

di mia vita, così, senza lamento,

penetrata di Te come del sole.”

Fonte: Pinterest
Tra caducità ed eternità

É il tempo in cui, tra i rami dei boschi, l’occhio del sole brilla furtivo spiando creaturine affaccendate e previdenti, che fanno scorte per l’inverno. 

Il tempo in cui, lungo i viali alberati, il rumore di passi e pensieri è attutito da tappeti di fiammelle cadute da braccia legnose e nude, protese verso il cielo nell’aria profumata di zenzero.

É il tempo, l’autunno, che più di ogni altro ci ricorda la nostra caducità. E forse, proprio per questo, è la stagione migliore per riscoprire quanto l’antidoto migliore a tale caducità possano essere la letteratura e la poesia.

Niente quanto la bellezza di parole incise sull’acqua inarrestabile del tempo può consegnare all’eternità quel “sentire” universale che ci rende così imperfettamente e meravigliosamente umani.

Foglie di uno stesso ramo, inevitabilmente destinate a cadere, ma capaci, nel farlo, di capriole e danze di una grazia tale da imprimere al vento la forza di alterare le fattezze del mondo.

Una tisana, una copertina, l’ultimo sole del pomeriggio che filtra da una tendina socchiusa.

Un libro sulle ginocchia e la pace nel cuore.

Una ricetta perfetta per ogni stagione, ma quel pulviscolo dorato di cui la poesia riveste le nostre emozioni, pare brillare ancor più intensamente in quel tempo dell’anno in cui la natura si ammanta di rosso, arancio e giallo.

a cura di
Romina Russo

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Romina Russo

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