Better Call Saul e la storia dei fratelli McGill

Better Call Saul e la storia dei fratelli McGill
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Better Call Saul è finito. Un finale coinciso, sintetico. Bello nella sua prevedibilità perché coerente con quanto raccontato nelle 60 puntate precedenti. Niente fuochi di artificio finali come il suo predecessore ‘Breaking Bad’, ma solo un’ultima scelta del protagonista che mette da parte le maschere dietro cui si nascondeva e le etichette che gli avevano affibbiato: l’ultima parola spetta a James McGill.

Ci sarebbero tantissimi temi da analizzare in questo spin-off, che riescono a farci guardare con occhi diversi Breaking Bad, ma io vorrei soffermarmi soltanto su uno di questi temi, quello che considero il ‘motore’ di tutta la serie.

Se in Breaking Bad, il protagonista, un modesto professore di chimica di mezz’età, malato di cancro, diventa un produttore di metanfetamina e un criminale sanguinario per evadere da una vita monotona, priva di brivido in cui non era riuscito ad affermarsi personalmente; in Better Call Saul, tutto parte dal rapporto tra i fratelli McGill. Ma riordiniamo con calma le cose e partiamo dal finale. (Contiene spoiler, vi avverto).  

La confessione

C’è una condanna per Saul Goodman e infine un’altra per James McGill. L’avvocato del cartello, di Heisenberg e di decine di emarginati e piccoli delinquenti rimedia sette anni e qualche mese. Questo bizzarro e coloratissimo avvocato, che mette il guadagno davanti a tutto, può farla franca ancora una volta. Nonostante le pesanti accuse è riuscito a strappare alla Procura un accordo vantaggiosissimo. Tuttavia, Jim sceglie di non prendere scorciatoie. Quelle ‘scorciatoie’ che aveva deciso di prendere proprio per differenziarsi dal mondo a cui apparteneva il fratello. 

(Il discorso a Kristy Esposito, la ragazza scartata dai provini per la borsa di studio alla HMM vi ricorda qualcosa?) 

Decide di vuotare il sacco e racconta tutto. Un’assunzione completa di responsabilità, pentimento e rimpianto mista a uno scatto di orgoglio per quello che è riuscito a realizzare uno sfaccendato avvocato laureatosi a un’università telematica delle Hawaii di poco prestigio: un impero di droga dal valore di milioni di dollari. Ma cosa l’ha spinto? I soldi? Apparentemente sì.

Questo tema torna in maniera ridondante nell’ultima puntata, soprattutto nei flashback con Mike e Walter. I due lo guardano con amarezza e disapprovazione: “Ma è possibile che dietro i soldi non ci sia nient’altro?” gli domandano. Non si tratta soltanto di diventare ricchi ma di dimostrare che si è capaci di realizzare grandi cose. Come se la quantità di soldi diventasse un’unità di misura della propria bravura. E perché Jim vuole dimostrare la sua bravura? 

Better Call Saul e la storia dei fratelli McGill

La risposta, implicita nella confessione finale, è ciò che gli autori ci avevano mostrato dettagliatamente nelle prime tre stagioni e che avevamo davanti gli occhi dall’inizio della serie: la conquista della stima e dell’affetto di suo fratello Chuck.

Il severo, austero e intransigente avvocato Charles McGill proviene da una famiglia modesta ed è stato un bambino prodigio che, grazie a impegno e sacrificio, ha fondato uno studio legale di successo, diventando un luminare della materia. Nella sua scalata c’è poco spazio per gli affetti. Jim non si sente all’altezza e non sente di meritare il suo bene, quindi si mette costantemente alla prova per dimostrargli il suo valore, ma per lui non c’è spazio per l’affetto e nemmeno per il perdono.

Per il luminare Charles McGill è troppo grande l’onta di difendere suo fratello che ha defecato sull’auto dell’amante dell’ex moglie. Una questione sostanzialmente di poco conto che, un avvocato del suo calibro, potrebbe risolvere facilmente, ma Jim deve supplicarlo. Troppo grande l’onta di farlo entrare come socio nel suo studio legale: è un disonore avere un fratello che si è laureato a un’università di scarso prestigio.

(Fonte: Imdb)

Eppure Howard Hamlin eredita naturalmente il posto del padre, l’altro socio fondatore della HMM. Suo fratello, invece, non può. Inizialmente, non ha neanche il coraggio di dirglielo di persona e lascia che sia Howard a farlo. Ha paura di ciò che potrebbe diventare il fratello, “Slippin’ Jimmy“, il simpatico truffatore di quartiere, una volta acquisite le conoscenze della legge. 

Non vede l’impegno e i sacrifici di Jim che ha conciliato studio e lavoro per diventare un avvocato. Un lavoro, quello di addetto alla posta, che, tra l’altro, neanche gli piace e che accetta per rimanergli vicino e aiutarlo. Ma dietro la questione di ‘etichetta’, c’è di più. Chuck matura nel tempo una grande gelosia nei confronti del fratello: non può sopportare che i genitori stravedano per il piccolo Jim a cui addebita il fallimento del negozio del padre. Anche se, come ci viene mostrato in un flashback, non è esattamente come pensa Chuck.

Il vincitore prende tutto

Solo due volte, nell’ultima puntata e nella scena dopo il karaoke, dove cantano The winner takes it all degli Abba, gli autori ci mostrano una crepa in questa armatura di severità di Chuck. “Se non ti piace la direzione non c’è nulla di male a tornare indietro e cambiare strada”, gli dice, ma Jim è talmente impaurito e bramoso di ricevere la sua approvazione che ingoia il rospo e mette da parte le sue ambizioni. Decide di non contraddire il fratello neanche quando ha davanti l’evidenza della natura psicologica dei suoi problemi.

Da lì tuttavia inizia a prendere forma un rapporto che definire malsano è un eufemismo e che affonda le radici nel passato. Ognuno cerca di annientare l’altro e le situazioni che si creano sovrasteranno poi i protagonisti.

E’ un rapporto molto complesso il loro, fatto di tantissime sfumature difficilmente inquadrabili in schemi dicotomici: bene e male, torto o ragione. Ancor più che in Breaking Bad, gli autori ci restituiscono dei rapporti umani profondamente realistici: complessi e fatti di tantissimi sottintesi.

Chuck è arrogante, severo, quasi anaffettivo. Saremmo portati a parteggiare per Jim che viene costantemente umiliato. Ma allo stesso tempo Chuck è una persona malata, quindi bisognosa di aiuto, e Jim non fa davvero nulla per tenersi fuori dai guai, anzi. La bellezza di Better Call Saul è dunque nell’abilità degli autori di tenere insieme tutti questi elementi senza che uno escluda o giustifichi l’altro.

(Fonte: Imdb)

Alla fine, comunque, è Jimmy ad aggiudicarsi la ‘vittoria’. Come cantano gli Abba, prende e porta via tutto al fratello: pure lo studio della Hhm. Tuttavia, prima di suicidarsi, il colpo di coda di Chuck è devastante. Jim va a trovarlo e prova a fare un passo indietro dopo che hanno tentato di distruggersi la carriera a vicenda in tribunale. “La verità è che non mi è mai davvero importato di te” afferma Chuck. Un colpo dritto al cuore di Jim che stava cercando invece di rimettere insieme i cocci.

Per quanto ci venga presentato come un personaggio esuberante e con questa sorta di innata insofferenza verso il rispetto delle regole e dei ricchi arroganti, che ama raggirare, James McGill è un personaggio introverso. Ama dare nell’occhio e far parlare di sé, ma non parla quasi mai di sé, dei suoi sentimenti e di quello che desidera. I suoi abiti dall’opinabile accostamento sono un modo per affermare la sua eccentricità e dare nell’occhio, e allo stesso tempo nascondere quello che davvero custodisce dentro di sé.

Dopo l’ultima conversazione con Chuck, Jim si chiude progressivamente. Nonostante le insistenze di Kim, che è l’unica a individuare la matrice del suo tormento, liquiderà la questione in maniera sbrigativa: “Chuck era vivo e adesso è morto”. 

Saul Goodman e Charles McGill: due facce della stessa medaglia

Saul Goodman nasce come un alter ego per liberarsi dell’ingombrante cognome McGill ma con il passare delle puntate diventa sempre più simile a Chuck. Una sorta di alter-ego ‘malvagio’

Mentre uno è un massimo esperto di diritto, l’altro è un luminare dell’arte di aggirare la legge. Una versione ‘cattiva’ di Chuck, al punto che inizierà a ripetere alcune frasi solitamente utilizzate dal fratello. Entrambi fanno terra bruciata intorno a sé anche con quelle poche persone che davvero tengono a loro ma sono talmente presi dal proprio ego che neanche se ne accorgono.

Chuck per ferire Jim gli dice che non gli è mai importato di lui. Quando nel post-Better Call Saul, Jim incontra di nuovo Kim per firmare i documenti del divorzio, dopo averle chiesto del suo nuovo lavoro la interrompe: “Non importa” le dice. Proprio come il fratello, usa l’arma dell’indifferenza per ferire una persona.

Il fantasma di Chuck

Nonostante muoia alla fine nella terza stagione e sia un personaggio che occupi lo schermo per relativamente poco tempo, il fantasma di Chuck continua ad aleggiare sui personaggi fino alla fine della serie. Dopo la sua morte, Jim non parlerà più di lui fino alla sesta stagione, quando rivelerà alla moglie di Howard della sua gelosia per il marito che godeva della stima del fratello e durante la confessione al giudice. Ha tolto tutto a Chuck e quello che ha fatto come Saul Goodman lo ha fatto vivendo con il rimorso di ciò che poteva essere e invece non è stato.

In una puntata in cui i personaggi fondamentali dell’universo di Breaking Bad si interrogano su quello che cambierebbero del proprio passato grazie a una macchina del tempo, lui ancora una volta esita e veste la maschera di Saul. Mike e Walter individuano il loro ‘peccato originale’, Jim si ostina a parlare di soldi e di cause per furto di proprietà intellettuale ma alla fine confessa. E’ una confessione sincera, non una giustificazione.

Differentemente da quanto fatto nelle puntate appena precedenti, non rivela una sua debolezza per raggirare gli altri, ma tira fuori il tormento che lo affligge da anni e che non ha mai voluto rivelare a nessuno. Tuttavia, quello che ha fatto è una sua responsabilità, dipende dalle sue scelte e non può essere cambiato. In tal senso, è emblematico il coro che intonano i detenuti prima di raggiungere il carcere: “Better call Saul!” cantano i galeotti.

Davanti al giudice, Jim ha messo da parte le maschere di slippin’ Jimmy, Saul Goodman, Gene Takovich, Viktor e per la prima volta nella sua vita ha sentito di meritare il cognome McGill, perché non ha voluto prendere ‘scorciatoie’. “Io sono James Mcgill” dichiara, ma non può esserci nessun colpo di spugna per ciò che ha fatto. Deve conviverci, insieme al rimorso di aver distrutto il fratello. Non c’è nessuna macchina del tempo per tornare indietro

a cura di
Angelo Baldini

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Angelo Baldini

Nato a Napoli nel 1996 studia Giornalismo e cultura Editoriale presso l'Università degli studi di Parma. Collabora con Eroica Fenice di Napoli e con ParmAteneo. Crede in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione e nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

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