La tuta da pensiero rivoluzionario a pratica quotidiana

La tuta da pensiero rivoluzionario a pratica quotidiana
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La tuta ha compiuto ormai più di un secolo e in questo tempo ne ha fatta di strada. Dalla mente di un futurista che voleva creare qualcosa di rivoluzionario negli anni 20 del ‘900 agli scaffali e armadi di tutto il mondo nel 2022

La tuta viene inventata nel 1919 da Thayaht, nome d’arte dell’italiano Ernesto Michahelles. Thayaht nasce a Firenze nel 1893, durante la sua vita fu: scrittore, pittore, scultore, designer e stilista anticonformista. Nel 1918 parte per Parigi dove entra in contatto con la casa di moda di Madelein Vionnet. Dopo l’approdo a Parigi, Thayaht progetta un nuovo tipo capo di vestiario che vuole andare oltre i canoni della moda del tempo, la “TuTa”.

Thayaht
La tuta un indumento rivoluzionario

Nel progetto di Thayaht la “TuTa” era costituita da un unico pezzo di tessuto tagliato a T, una cintura, bottoni e poche cuciture. Un capo semplice e funzionale che traeva il suo contenuto innovativo dalla perfetta forma a T e dal fatto che non si rivolge alle élite borghesi ma alla massa nel suo insieme. Thayaht aveva infatti progettato la sua “TuTa” come un abito universale e a questo riguardo l’artista diceva premonitamene «tuta la gente sarà in tuta». Ironicamente, quando nel 1920 Thayaht lanciò la sua invenzione, la borghesia fiorentina accolse con grande entusiasmo l’invenzione del concittadino, rendendola una mise d’élite.

progetto della prima “TuTa”

Nonostante la sua versatilità e comodità, la tuta rimane in ambiti specifici come il lavoro, con la funzione di protezione, e lo sport per la sua funzionalità. L’abito che doveva essere per tutti finisce così per evolversi in più direzioni legate ai campi specifici e a questi ultimi adattarsi. Solo con la nascita e la diffusione della cultura Hip-Hop, la tuta riesce a uscire dalle nicchie in cui era stata relegata.

La tuta inizia a simboleggiare l’appartenenza ad una cultura e la ribalta di quest’ultima fa da trampolino di lancio per il successo globale del capo rivoluzionario. Il matrimonio con la cultura hip-hop ha fatto quindi la fortuna della tuta tanto che perfino il grande stilista Giorgio Armani non resistette e conseguentemente allo scoppio della bolla T inizia a produrre la sua iconica versione. Da allora, nonostante la moda sia sempre in evoluzione, la tuta non è mai sparita dia nostri armadi.

esempio di tuta contemporanea
Tuta e pandemia

L’impossibilità di uscire di casa imposta dalla pandemia ci ha costretti a rivedere il nostro rapporto con i vestiti e soprattutto i criteri che utilizzavamo per sceglierli; infatti, i criteri di scelta degli abiti variano molto a seconda del luogo in cui si è ma anche in base a cosa si deve fare. Questi due anni di pandemia hanno cambiato i rapporti sociali ma anche i rapporti dell’individuo con l’ambiente, la diffidenza è aumentata e insieme ad essa la necessità di abiti che rispondano alle nostre nuove richieste. Le nuove istanze nell’abbigliamento sono sicuramente: la comodità, la versatilità e la sicurezza.

Ci troviamo davanti alla crisi della presentabilità? No. Il concetto di presentabile è ancora molto presente nella società occidentale, ma se ne stano ridefinendo i contorni e i contenuti. Basti pensar che fino a cinque anni fa se si fosse andati a scuola in tuta non solo avremmo fatto una figura poco curata ma saeremmo passati anche per “poveracci” passateci il termine. Mentre ai giorni nostri questo indumento è stato totalmente normalizzato anche in alcuni contesti dove prima non era ammesso. Un fenomeno opposto, per contro, può essere quello del processo di colpevolizzazione di chi acquista prodotti della fast-fashion che hanno poco riguardo per l’ambiente.

La crisi della presentabilità in funzione di un desiderio di comodità e funzionalità, unito al movimento generale di una moda sempre più attenta al consumatore, sembra essere il contesto in cui ci troviamo, contesto che si prospetta favorevole ad una maggiore diffusione della tuta anche in ambienti dove per il momento ancora potrebbe non essere ben vista.

a cura di
Lorenzo Occhiolini

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Lorenzo Occhiolini

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