L’evoluzione della moda nell’NBA

L’evoluzione della moda nell’NBA
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Innovazioni, migliorie e una continua sfida per contendersi il titolo di marchio principale dell’NBA: tutto quello che c’è da sapere sui cambiamenti nell’estetica delle trenta franchigie americane

Quando si pensa al prestigioso campionato statunitense saltano immediatamente davanti agli occhi immagini di strepitose schiacciate, stoppate, alley-oop e triple da angoli impossibili, ma dietro c’è molto di più. Oltre ad essere un campo da gioco per il business, l’NBA è diventata anche un florido terreno per la competizione tra i più importanti brand del fashion system. Vediamo assieme come queste due dimensioni si intrecciano l’un l’altra.

Fornitori tecnici e codice d’abbigliamento

Oggi poter vestire i giocatori militanti nel massimo campionato americano è un segno di prestigio, ma la stipula di un contratto con un brand unico che vestirà poi tutte le squadre è un’introduzione recente. Fino agli anni ’80, infatti, ogni team era libero di affidarsi a chiunque volesse per la realizzazione delle proprie divise e del proprio materiale da gioco. Da quel momento in poi, invece, la stessa Lega si arroga il diritto di scegliere il marchio comune a tutte le squadre.

Dopo un decennio di monopolio Adidas, che ha vestito l’NBA nel periodo 2006-2017, l’onore di occuparsi del comparto visivo della Lega è passato alla Nike. Inoltre, dalla stagione 2017-18, per la prima volta nella storia il marchio del brand ufficiale compare anche sulle divise. Oggi, infatti, è possibile ammirare il tipico “Swoosh” della Nike all’altezza del petto in ogni maglia da gara.

Un dettaglio della divisa dei Miami Heat, in cui è ammirabile lo “Swoosh” della Nike
(Fonte: Instagram)

Dalla stagione 2020-21 anche il brand Jordan, comunque affiliato alla Nike, ha fatto la sua comparsa come fornitore tecnico. Il peculiare “Jumpman” figura infatti da allora sulla linea di divise definita “Statement Edition”, indossata dai vari team in occasione di partite particolarmente sentite. L’unica eccezione è costituita dagli Charlotte Hornets, unica franchigia a sfoggiare il solo “Jumpman” su tutte le maglie. Ciò è dovuto al fatto che proprio Michael Jordan sia il loro proprietario.

Che l’estetica sia un fattore fondamentale nella Lega statunitense è testimoniato anche dall’introduzione nel 2005 del dress code. David Stern, l’allora commissario dell’NBA, obbligò infatti i giocatori e gli allenatori a presentarsi in maniera elegante in ogni occasione ufficiale. Lo stesso codice vietò anche l’utilizzo di oggetti connessi alla cultura hip hop americana, scatenando violente proteste. Nonostante questo, il dress code rimane tutt’oggi in vigore.

Le divise

Le maglie da gioco sono senza dubbio il biglietto da visita di ciascuna franchigia. Puntualmente, ad ogni inizio stagione, ognuna di esse presenta le due diverse linee denominate “City Edition” e “Statement Edition”, che affiancano ben più classiche “Association” e “Icon”. Queste ultime possono essere assimilate alle storiche maglie di casa e trasferta e non subiscono i cambiamenti stilistici tipici delle prime due linee.

Video ufficiale dei Brooklyn Nets per la presentazione della divisa

Le divise “City Edition” e “Statement Edition” sono state introdotte dalla Nike nell’anno della stipula del contratto con l’NBA. Da allora la rivelazione delle nuove divise, soprattutto della linea “City”, è uno dei momenti più attesi dai fan. Ciò è dovuto al fatto che il design delle “City” evoca direttamente il legame che le franchigie hanno col proprio Stato o la propria città.

Il design delle maglie, lasciata alla discrezione delle squadre e degli stilisti, porta sui parquet un trionfo di colori. Si passa dal verde bottiglia, mai abbandonato dai nostalgici Boston Celtics, alla combinazione di nero e oro dei Toronto Raptors. Anche i font delle scritte presenti sulla maglia rappresentano una sfida estetica per la Nike, che di anno in anno propone una soluzione diversa.

“City Edition” dei Boston Celtics per la stagione 2021-22, presentata da Jayson Tatum
(Fonte: Instagram)
Materiali impiegati e variazioni estetiche

La palette dei colori non è l’unico cambiamento che ha investito le divise delle squadre. Nel corso dei decenni trascorsi dalla fondazione del gioco del basket i materiali impiegati per esse hanno subito variazioni, per garantire il maggior comfort possibile. Inizialmente il materiale prediletto era la lana, abbinata a pantaloni lunghi. Con l’aumento del costo della stessa, si vira verso l’utilizzo del satin, del poliestere e del nylon.

Al contempo, anche i pantaloncini si riducono di molto in lunghezza e il materiale prediletto per la loro creazione diventa il satin. Fa poi la comparsa l’elastico per stringerli in vita, che sostituisce la cintura utilizzata nei primi decenni dalla nascita dello sport. La lunghezza che oggi definiamo classica, che vediamo in occasione delle partite, deriva da una richiesta di Michael Jordan. Fu il giocatore, infatti, a richiedere che i pantaloncini, molto sgambati, venissero allungati come già era uso nel basket collegiale.

Comparazione tra ieri e oggi
(Fonte: skysport, ©Getty Images)
Scarpe, brand e partnership

Le calzature sono un oggetto fondamentale per qualsiasi giocatore, sia esso un atleta amatoriale o un top player dell’NBA. Non potrebbe essere altrimenti d’altronde, data la tipologia di movimenti a cui la caviglia e il piede vengono sottoposti. I brand che si occupano delle scarpe da gioco sono numerosi e vanno da Jordan a Under Armour, passando per Adidas e ovviamente Nike.

Spesso i giocatori più in vista si affidano a un unico marchio, diventando testimonial di esso e proseguendo così la tendenza delle “signature shoes”, ovvero calzature create appositamente per lui e che ne riprendono il nome. Un esempio possono essere le Under Armour Embiid One, nate dal contratto tra Under Armour e il centro dei Philadelphia 76ers Joel Embiid, o la linea Nike Zoom Freak, prerogativa di Giannis Antetokounmpo dei Milwaukee Bucks.

Copertina di Slam che celebra le Under Armour Embiid One di Joel Embiid
(Fonte: Instagram)

Alla tradizione cestistica si deve anche la creazione di sneakers che oggi siamo abituati a portare nella vita di tutti i giorni, ma che al principio erano pensate per il parquet del campo. Basti pensare alle Converse-All Star o alle Adidas Superstar, indossate rispettivamente da campioni del calibro di Wilt Chamberlain e Jerry West.

Caratteristiche delle calzature

Una scarpa sportiva da basket deve assicurare quattro importanti fattori all’atleta: la trazione, l’ammortizzazione, la reattività e il sostegno al piede e alla caviglia. Queste quattro dimensioni si riflettono nelle quattro componenti della scarpa: la suola, l’intersuola, la soletta e la tomaia. La combinazione di comfort, protezione ed estetica ha rappresentato e continua a rappresentare una grande sfida, come dimostrano i cambiamenti avvenuti col passare degli anni.

Nike LeBron 19, ultimo modello delle “signature shoes” di LeBron James
(Fonte: Pinterest)

Inizialmente il materiale principe era il cuoio, utilizzato su larga scala, ma presto venne rimpiazzato dalla suola in gomma e dalla tomaia in tela, come nelle già citate All Star. Dopo anni di dominio incontrastato, con l’avvento delle Superstar la tomaia viene preferita in pelle e la gomma della suola si estende fino a ricoprire la punta della scarpa, come si vede nei modelli che tutt’oggi vengono indossati nella vita quotidiana.

La pelle ancora oggi rimane il materiale prediletto per la tomaia data la sua morbidezza, elasticità e resistenza, sebbene non sia raro il mix di essa coi materiali sintetici. L’intersuola, la parte deputata all’ammortizzazione, è solitamente costituita da un particolare tipo di schiuma, l’EVA (o etilene vinil acetato). Anche la suola non si discosta dai modelli utilizzati in passato, prediligendo l’uso della gomma per la miglior trazione possibile.

Conclusioni

L’NBA, si sa, fa dello spettacolo uno dei suoi marchi di fabbrica. La periodica lotta per la conquista dell’anello tiene incollati allo schermo milioni di spettatori in tutto il mondo. Non è azzardato però affermare che senza la presenza dei grandi brand del mondo della moda la magnificenza a cui siamo abituati risulterebbe un po’ più offuscata. D’altronde si sa come funziona: l’occhio vuole sempre la sua parte.

a cura di
Annalisa Barbieri

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