The Lost Daughter: uno sguardo angosciante al passato

The Lost Daughter: uno sguardo angosciante al passato
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The Lost Daughter è il film debutto alla regia di Maggie Gyllenhal presentato alla  78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Per il suo esordio, la neo regista è stata affiancata dai produttori Osnat Handelsman-Keren e Talia Kleinhendler con cui aveva realizzato “Lontano da qui” (2018). Inizialmente il film doveva essere girato in una città di mare del New Jersey, ma a causa dello scoppio della pandemia ha scelto di girare tutte le scene nell’isola greca Spetses.

The Lost Daughter è lo straordinario adattamento cinematografico dell’ omonimo romanzo del 2006 di Elena Ferrante. Nelle note di produzione del film, la Gyllenhal afferma di aver trovato nel lavoro della Ferrante, qualcosa di “molto strano e doloroso ma anche innegabilmente vero”. In Italia uscirà il 7 aprile 2022.

Il film vede come protagoniste: Olivia Colman, interpreta Leda del presente, che ha ricevuto la candidatura agli Oscar 2022 come miglior attrice, Jessie Buckley, interpreta Leda del passato, anche lei ha ricevuto la candidatura agli Oscar come miglior attrice non protagonista.

Un amaro confronto

Leda Caruso, interpretata da Olivia Colman è una professoressa di letteratura comparata all’università di Cambridge che decide di trascorrere quella che sembra essere una semplice vacanza di lavoro in un’isola pittoresca. Leda si confronta con le conseguenze delle scelte che ha fatto quando era una giovane madre.

L’esperienza della prima maternità è stata per lei esasperante mentre cercava sia di perseguire la sua carriera che di crescere due bambine di 5 e 7 anni. Non ha paura di mostrare quanto sia dura essere madri, e quanto certe scelte siano necessarie ai fini di un suo benessere.

Leda (Olivia Colman)

Viene accolta dal custode della proprietà, Leyle che mostra sin da subito un interesse nei suoi confronti. La protagonista passa le sue giornate a leggere in spiaggia in tranquillità. Inizialmente sola, Leda condividerà lo spazio con una famiglia numerosa e turbolenta che si mostrerà subito prepotente e minacciosa.

A rapire l’attenzione della professoressa è Nina (Dakota Johnson), una giovane donna che sta chiaramente lottando con le sfide che derivano dall’allevare la sua giovane figlia, Elena, e un marito che non le lascia spazio. Nina è molto di più di quello che le è permesso essere in quella famiglia.

Nina (Dakota Johnson) e la figlia Elena

Il legame che vede tra Nina e la figlia le ricorda il suo rapporto con le figlie, ormai adulte. Nel film è presente anche Will (Paul Mescal), l’amichevole studente che lavora al bar sulla spiaggia e sembra ammaliato dalla compostezza e intelligenza della protagonista.

Il soggiorno di Leda è costantemente interrotto dai suoi sensi di colpa e da flashback di lei giovane, interpretata magnificamente da Jessie Buckley, che considerava la maternità una battaglia che non avrebbe mai potuto vincere. Lotta con le richieste senza fine delle figlie e l’inconsapevolezza del marito Joe (Jack Farthing). Durante una piacevole fuga a una conferenza accademica riesce a scaricare questo peso grazie al carismatico professor Hardy (Peter Sarsgaard).

Leda da giovane (Jessie Buckley)

Il finale del film rimane ambiguo, quasi sospeso. Ci accorgiamo del fatto che non elogia, ma nemmeno condanna la protagonista e i personaggi che ruotano attorno a lei durante tutto il film. Ci suggerisce di lasciarci accompagnare nel loro viaggio e di riuscire a tornare con qualcosa di nostro.

Una simbologia non indifferente

Il film prende una piega diversa quando scompare la bambola di Elena, figlia di Nina, ed è stata proprio Leda a prenderla. Il ‘rapimento’ della bambola è, di conseguenza, atto irrinunciabile, come la separazione e il ritorno dalle figlie.

Alle sue bambine Leda taglia la buccia dell’arancia con l’attenzione maniacale e asfittica con cui lo faceva da giovane, descrivendo un moto ‘serpentino’, lento e alienato, interrotto dall’incostanza prima, dalla nostalgia e dal ricordo dopo.

(Leda da giovane)
The Lost Daughter sfida la tradizione

Maggie Gyllenhal decide di approfondire i temi della famiglia da una prospettiva non convenzionale, proprio per questo sfida i dogmi imposti dalla società sulla maternità e sull’educazione dei figli. Inoltre pone l’accento sulle sfide per trovare quel sottile equilibrio tra vita privata e professionale. Disegna il ruolo della madre in maniera assolutamente veritiera, anche se potrebbe risultare crudo.

Olivia Colman riesce a fare trasparire il suo senso di colpa e il dolore di molte madri che sentono di non aver cresciuto bene i loro figli. La protagonista è in grado anche di mettere in discussione i pregiudizi sociali sul desiderio di creare una famiglia e allo stesso tempo una carriera. È interessante che in questa pellicola le donne madri possano essere libere di vivere tutti i sentimenti complicati che ne derivano. Il messaggio che si invia è quello di non far condannare i sentimenti complicati sulla femminilità e sulla maternità.

(Il trailer)

a cura di
Desirée Cicero

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