L’amore non uccide: lotta contro il femminicidio

L’amore non uccide: lotta contro il femminicidio
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Quella che conosciamo come emancipazione femminile è una lunga e difficile lotta che le donne hanno portato avanti per secoli.

Sin dall’antichità, la figura della donna era considerata inferiore a quella dell’uomo. Ad esempio, nell’Ottocento questa diseguaglianza era rappresentata dall’impossibilità delle donne di partecipare alla vita politica e dal fatto che esse erano per lo più segregate in casa con il ruolo di spose o madri. Oggi, questa idea di inferiorità è espressa sotto forma di violenza, dando vita a quel fenomeno che prende il nome di femminicidio.

La rivoluzione femminile: prima ondata

Verso la fine del Novecento inizia quella che viene definita la “rivoluzione femminile”. Essa metterà in discussione e trasformerà la rigida idea di divisione sociale tra uomo e donna. La prima fase del lungo e tortuoso cammino delle donne inizia nel 1848 con la Convenzione di Seneca Falls. Quello che si considera l’atto ufficiale della nascita dei movimenti femministi, guide della rivoluzione, sottolinea la necessità di rifiutare l’obbedienza e di ribellarsi al fine di conquistare l’eguaglianza di fronte alla legge. La “prima ondata” del femminismo, che culminerà nel primo dopoguerra con il riconoscimento del diritto al voto e il suffragio universale in gran parte dei Paesi, ha quindi come obiettivi l’emancipazione, la parità di diritti e l’uguaglianza

La battaglia delle suffragette per essere riconosciute come soggetto politico autonomo, però, segna solo l’inizio della lunga lotta affrontata dalle donne negli anni. Dopo quasi mezzo secolo di conquiste (obbligo scolastico anche per le bambine nel 1859, parità di trattamento e opportunità sul lavoro nel 1977 e le leggi sul divorzio del 1970 e sull’aborto del 1978), i movimenti femministi spostano la loro attenzione dall’emancipazione alla liberazione della figura della donna.

La rivoluzione femminile: seconda ondata

Da sempre esiste una forma di dominio e sopraffazione di un sesso sull’altro. Per questo motivo, le donne iniziarono a combattere per il riconoscimento e la valorizzazione di una propria identità, quella femminile, né subordinata, né assimilata. La cosiddetta “seconda ondata”, che denuncia il patriarcato e l’idea di subordinazione della donna ad esso collegato, ha come fine l’uguaglianza nella differenza di genere.

La rivoluzione femminile del Novecento ha sicuramente permesso un avanzamento nel riconoscimento della figura della donna e del suo ruolo all’interno della società. Nonostante ciò, ingiustizie e discriminazioni continuano a persistere, basti pensare a come la donna sia sottorappresentata sul posto di lavoro. In casi estremi queste forme di disparità si manifestano sotto forma di violenza fisica, economica, psicologica o sessuale rivolta contro le donne, dando vita a quel fenomeno che conosciamo con il nome di femminicidio o femmicidio. 

La foto di un gruppo di femministe negli anni Settanta.
Fonte: ANSA/UFFICIO STAMPA VITTORIANO
Definizione e origine dei termini

Femmicidio e femminicidio sono due termini specifici indicanti una forma di violenza rivolta verso le donne che sfocia in omicidi frutto di discriminazioni di generestereotipidivisione dei ruoli e disuguaglianza di potere. I due concetti nascono tra la fine del XX e i primi anni del XXI secolo, dopo una serie di eventi accaduti a Ciudad Juarez, città che, nel 1993, si era macchiata di una larga quantità di sparizioni e uccisioni di donne. Le numerose lotte e proteste dei movimenti femministi latino-americani, indignati per tali avvenimenti, hanno favorito la diffusione di questi concetti.

Il termine femmicidio, dall’inglese femicide, è stato coniato dalla criminologa Diana H. Russell nel 1992. Indica tutte quelle uccisioni di donne avvenute per mano di uomini come conseguenza di atteggiamenti e credenze misogine e sessiste radicate nella società. Secondo questo termine, infatti, le donne vengono uccise in quanto tali, rivelando uno stretto legame tra violenza e discriminazione.

Diversamente, il termine femminicidio, dallo spagnolo feminicidio, differisce principalmente per riferimenti alle implicazioni sociopolitiche. Utilizzato per la prima volta nel 2004 dall’antropologa messicana Marcela Lagarde, sottolinea la situazione drammatica vissuta a Ciudad Juarez. 

In questo caso, il concetto di omicidio fa riferimento alla violazione dei diritti umani sia privati che pubblici tramite maltrattamenti e violenza fisica, psicologica e sessuale. Atteggiamenti che pongono la donna in una situazione di pericolo e insicurezza che il più delle volte sfocia in morti violente, suicidi o sofferenze psico-fisiche. 

Il femminicidio costituisce quindi l’atto conclusivo di una serie di azioni violente, mettendo in risalto un insieme di credenze socioculturali secondo le quali la donna deve occupare una posizione di subordinazione, divenendo oggetto di persecuzioni, discriminazioni e violenza.

La violenza

La violenza contro le donne si manifesta sotto diversi aspetti e viene troppe volte giustificata sulla base di idee sbagliate e prive di fondamento. La frase che si sente più spesso, erroneamente utilizzata per spiegare le violenze sessuali, è “se l’è cercata”. Come base ha solo l’idea che una donna vestita in un determinato modo sia in cerca di attenzioni. Fondamentalmente, questa teoria si fonda su basi sessiste che impongono alle donne un tipo di abbigliamento considerato adeguato, ma adeguato per chi?

Quello che emerge dalle statistiche è che la maggior parte dei femminicidi sono delitti passionali, che quindi si consumano tra le mura di casa, luogo che solitamente associamo ad un senso di protezione. Nella maggior parte dei casi questi delitti rappresentano l’atto ultimo, la tragica risoluzione di un insano rapporto di coppia. Queste forme di amore patologico sono molto spesso utilizzate come spiegazione o giustificazione per i comportamenti aggressivi nei confronti della persona che “si ama troppo”

Fonte: Twitter

Altre volte, invece, l’elemento scatenante risiede nella pauradella solitudine o del rifiuto, spesso a seguito di un tradimento o della fine di una storia. Questi sentimenti di insicurezza, resi più forti da una scarsa autostima o da una forte gelosia, diventano una componente di disagio all’interno del rapporto. Ogni volta che una coppia si ritrova a vivere una relazione sentimentale profonda, quindi, si attivano dei meccanismi di protezione, secondo i quali uno dei due partner deve possedere e sopraffare l’altro

Dal punto di vista psicologico, gli atti di violenza simboleggiano il controllo estremo sulla persona amata, impedendo, in questo modo, al partner di poterli ferire. Molte volte, quindi, l’atto di violenza è visto come una patologia che scaturisce da insicurezza e frustrazione, ma non per questo deve essere tollerata.

Un uomo che ci picchia non ci ama, o quantomeno ci ama male. Un uomo che ci picchia è uno stronzo, sempre, e dobbiamo capirlo al primo schiaffo.

Luciana Littizzetto

Statistiche e campagne

Nel 2014, l’ente Pubblicità Progresso ha attuato una campagna contro la violenza sulle donne intitolata “Punto su di te”. Lo scopo grafico era quello di appendere dei manifesti ritraenti una ragazza e una vignetta con messaggi del tipo “dopo gli studi mi piacerebbe…” oppure “vorrei che mio marito…”, lasciando ai cittadini la possibilità di completare le frasi. Quello che ne è risultato, dopo appena 24 ore, sono fumetti pieni degli insulti più volgari. Lo scopo reale del progetto era, infatti, quello di mostrare la semplicità e la spontaneità con cui troppe persone insultano le donne

Questo esempio pubblicitario e gli studi ISTAT, che ci mostrano come nel 2018 il 70,85% delle vittime di reati erano donne, dimostrano che la violenza di genere è tutt’ora un grosso problema socialmente diffuso.

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, data scelta per ricordare la morte di 3 donne, le sorelle Mirabal. Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, infatti, furono assassinate il 25 novembre 1960 per volontà del dittatore Trujillo (violento dittatore che sottomise la Repubblica Dominicana, instaurando per 30 anni uno dei più sanguinari regimi dell’America Latina) a seguito di un tentato rovesciamento del regime messo in atto dalle 3 sorelle. 

Le sorelle Mirabal.
Fonte: ANSA

Le scarpe rosse sono il simbolo della lotta contro il femminicidio, scelte con lo scopo di rappresentare il rosso del sangue versato dalle donne rimaste vittime della violenza di genere. L’idea risale al progetto artistico di Elina Chauvet, che, ispirata dalla morte della sorella per mano del marito, presentò la sua installazione “Zapatos Rojos” (scarpe rosse), con la quale voleva simbolicamente ricreare una marcia silenziosa, perché è nel silenzio che le donne vittime di abusi e violenza sono costrette a vivere.

Due possono essere le parole chiave che meglio ci aiutano a sintetizzare il tutto: prevenzione e coraggio. Non bisogna rimanere in silenzio, si deve agire affinché tutte le lotte e tutti i sacrifici del passato non siano stati vani, ma siano anzi serviti per migliorare le condizioni delle donne. Non appena una frase o un’avance risultano eccessive e irrispettose nei confronti della persona e della donna bisogna mettere dei paletti. Quello della violenza contro le donne è un fenomeno che nasce dal basso, dal quotidiano e l’unico modo per contrastarlo è fermarlo finché ancora si trova a quel livello.

Finché non affronteremo il nodo del potere nascosto in quello che chiamiamo amore, il Paese che ammazza le donne non sarà un buon posto per nessuno.

Michela Murgia

a cura di
Giulia Focaccia

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Giulia Focaccia

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