Carmen Consoli: in “Volevo fare la rockstar” c’è tutta la vita che conta

Carmen Consoli: in “Volevo fare la rockstar” c’è tutta la vita che conta
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Carmen Consoli ha pubblicato un nuovo disco, Volevo fare la rockstar, che è nuovo per davvero. No, non soltanto perché è l’ultimo, in ordine cronologico, della sua carriera. È nuovo perché è fedele all’artista che Carmen è oggi, quindi non prescinde dalla donna che è diventata, dalla madre che ha imparato a essere e, soprattutto, dal modo in cui ha scelto di voltarsi indietro.

Si sceglie come affacciarsi sul passato o è la vita che scolpisce e smussa la materia della vita stessa? Ascoltando Volevo fare la rockstar, sembra proprio che Carmen Consoli si sia concessa il lusso (perché di un lusso si tratta, specie in tempi come i nostri, in cui correre è un imperativo) di aspettare di essere pienamente consapevole e a fuoco prima di tornare.

Che sia rispetto per la musica, per la sua stessa persona, che di fatto precede l’artista che è: non saprei dire di cosa si tratti. Quello che è certo è che Volevo fare la rockstar è un disco che ha un motivo di esistere, sembra arrivare alla fine di un percorso di maturità, di coscienza, di crescita personale.

Crescita che, inevitabilmente, diventa artistica. Forse è il caso di chiamarla evoluzione, perché Carmen Consoli sa essere fedele a se stessa senza mai essere identica, si muove lieve e coerente nel suo spazio, lo vive, lo abbraccia, non lo prende mai troppo sul serio, ma lo capisce pienamente. E poi lo racconta così com’è. Così com’è lei.

Volevo fare la rockstar, tra consapevolezza e intimità

Volevo fare la rockstar è un disco consapevole, l’ho detto, intenso, onesto, ma soprattutto intimo. Profondamente intimo. Tutti i brani, persino quelli in cui la vista si sposta sul resto dell’umanità, hanno una chiave di lettura intima, lo sguardo sul mondo è filtrato attraverso gli occhi di una madre.

Le parole di Carmen Consoli sono, come sempre, lucide, poetiche ma taglienti, sarcastiche e insieme avvolgenti, tuttavia in Volevo fare la rockstar scoprono una tenerezza nuova, una morbidezza inedita. Gli urti ci sono, perché Carmen non ha mai scritto canzoni accomodanti, ma sono meno impetuosi di un tempo.

Carmen Consoli accompagna l’ascoltatore per mano, lo porta con sé a conoscere una storia che non somiglia ad altre storie, perché è quella di una madre che guarda il mondo insieme a suo figlio. È la storia di un’artista che, dopo venticinque anni dal suo esordio, dà ancora un valore sacro alle parole. Sì, perché la Consoli è innanzitutto una che dà valore al silenzio, e questo non è da tutti. Non oggi, certamente, visto che la discografia (di fatto inesistente) consegna al pubblico musica da fast-food, che dura il tempo di una stagione.

Lei sa starsene zitta quando non ha niente da dire, sa vivere mentre non canta, sa osservare mentre non scrive. Quindi, quando scrive, quando canta, quando torna, lo fa per un motivo preciso: raccontare la vita che è accaduta mentre era in silenzio.

Dovrebbe essere un fatto normale, invece è eccezionale: Carmen, ad oggi, è una delle poche artiste che racconta la sua verità più profonda, lo fa senza sbavature, perché sa concedersi il tempo di comprenderla appieno, non torna al suo pubblico con una supposizione, ma con una scelta.

E allora, tornando all’inizio, credo abbia senso dire che ognuno di noi scelga come affacciarsi sul passato. Carmen Consoli ha deciso di farlo senza smancerie, senza malinconie d’accatto, ma con il suo sguardo risolto e consapevole, con la sua scrittura che non somiglia a nessun’altra, se non alla crescita a cui è andata coraggiosamente incontro. Perché non si smette mai di crescere, lei lo sa bene.

Un disco tra passato, presente e futuro

Volevo fare la rockstar è l’incontro di tre tempi: il passato, il presente e il futuro. Non sono in antitesi, ma complici, non si rinnegano l’un l’altro, ma si completano. E completano il quadro di un disco che è compiuto, sognante e concreto, nostalgico ma non servo del passato.

È un’antologia, un best of di momenti presenti o da poco trascorsi, è un viaggio nella memoria e nel futuro, mentre l’oggi è impegnato a esserci e a essere vivo, pulsante, tonico. Vissuto. Volevo fare la rockstar parla di tutta la vita che conta, l’amore è declinato in ogni sua espressione, i ricordi vengono attraversati con coraggio.

Il futuro è un salto necessario, il presente è sorprendente, è la conseguenza di ciò che è successo, ma non il suo seguito. È l’attesa di ciò che succederà, senza inseguire il tempo. È qui e ora, presente a se stesso, consapevole.

Le canzoni di Volevo fare la rockstar

Sta succedendo, non a caso, apre il disco: è un brano arioso, che racconta il coraggio ingenuo e disinvolto di chi si lascia attraversare da sentimenti che conosce già, ma che sembrano nuovi, è così che accade all’inizio dell’amore. E poi c’è l’esperienza, che spesso si veste da paura, a fare resistenza. C’è «l’istinto di scappare», quindi, ma anche di «non volere altro che restare».

È l’amore raccontato da una donna che ha tanta vita addosso, ma che si concede lo stupore di un «cuore acceso». Sta succedendo è l’incipit di un racconto in cui tutto è impegnato a essere amore, non sempre romantico, ma sempre autentico, coraggioso e potente.

L’aquilone racconta di come sia facile ingannare il tempo, collezionando «un traguardo dopo l’altro, come anime in carriera senza alcun rimpianto». Ma Carmen non vuole ingannarlo affatto, anzi, chiede che si risolva, che si dipani come una matassa sciolta, che diventi un monito, non un ostacolo.

Il tempo torna protagonista in Una domenica al mare, primo brano estratto da Volevo fare la rockstar: qui Carmen invita a fermarsi, a respirare il presente, a viverlo consapevolmente.

Mago magone è, insieme a L’uomo nero, un brano che descrive, con vivida lucidità, una società che è, suo malgrado, vittima della paura del diverso: un millantatore, un grande burattinaio, offre soluzioni facili a chi ha bisogno di un nemico per sopportare e spiegarsi la propria rabbia.

Mago magone «a premere tasti dolenti è un campione e proprio su quelli ama perseverare», proprio come L’uomo nero, che sa che «è la paura il sentimento che unisce» e ha «un arsenale di slogan per vincere».

Volevo fare la rockstar, per guardare dentro e fuori di sé

Le cose di sempre è una madre che parla a suo figlio. Lo fa con onestà, senza indorare il timore di non esserne all’altezza. Con coscienza, consapevole di consegnarlo a un mondo che è «una giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore». Ma è un brano di speranza lucente: il buio è solo una parte del tragitto, un intralcio alla luce.

Armonie numeriche è una figlia che parla a suo padre. Lo fa con tenerezza, senza mascherare la paura di non essere stata all’altezza di un genitore che ha amato visceralmente. È un brano commovente, senza sovrastrutture, intimo a tal punto che l’ascoltatore sa di doversene stare in un angolo, ad ascoltare in silenzio un bene che supera persino la morte e la sua invadente eco.

Qualcosa di me che non ti aspetti è un brano in cui il presente diventa un’occasione di crescita e autodeterminazione: imparare a conoscersi al di là di ciò che si sa già, senza temere ciò che non si sa ancora. È un invito all’ascolto, alla conoscenza senza preconcetti, alla rinascita.

Imparare dagli alberi a camminare è la chiave di volta per accedere al futuro: e se iniziassimo a considerare l’imprevisto come un’occasione di ripartenza? E se una «svolta epocale» fosse l’opportunità per ricominciare da capo, dalle radici, dagli alberi che sanno «camminare senza calpestare»?

Volevo fare la rockstar, infine, chiude il disco. Ed è, non a caso, il pezzo che meglio descrive lo spirito dell’intero progetto: è un brano d’autore, pieno, intenso, sognante, malinconico, in cui una pellicola di immagini color seppia racconta tutta la storia di Carmen Consoli.

L’infanzia, il sogno sfocato di fare musica, una Sicilia oltraggiata, offesa e indifesa, la voglia di partire, il sogno nitido di fare musica, i microfoni improvvisati, le regole tacite, il mondo che cambia irrimediabilmente, il sogno reale di fare musica.

In definitiva…

E, alla fine, Carmen Consoli una rockstar lo è diventata davvero. È rock il suo coraggio di restare fedele a se stessa, senza mai diventare una copia sbiadita di sé. È rock la determinazione di non essere una voce in mezzo ad altre voci, di non cambiare per accontentare gli altri, di non cedere alle lusinghe del presenzialismo.

Carmen Consoli c’è quando ce n’è un motivo, quando ha qualcosa da dire, quando le parole hanno più valore del silenzio. Non è forse da rockstar l’atteggiamento di un’artista che ha il coraggio di cantare la propria verità, in un tempo in cui a cantare a sproposito sono bravi tutti?

a cura di
Basilio Petruzza

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