Arrivederci, Maestro.
La giornata è iniziata in maniera atipica. Mio giorno di riposo, eppure le mie palpebre si alzano lentamente prima che le lancette dell’orologio posto sul comodino arrivino a indicare le 6:30. La serranda della finestra non è completamente chiusa, arriva un po’ di luce. Non diretta, non dà fastidio. Quasi mi rassicura. Per cosa dovrebbe rassicurarmi, non so. Non ancora, per lo meno.
Lo scopro poco tempo dopo. Prima un messaggio. Poi un post su Instagram. Non sono notizie ancora certe, ma tutti iniziano a parlarne come un dato di fatto. Franco Battiato è morto.
Era scomparso dalle scene da alcuni anni, dopo un incidente casalingo. Non abbiamo mai saputo quanto potesse essere grave, se il Maestro si fosse ripreso o che. Un velo si era interposto tra noi e il suo privato. Giustamente, ci mancherebbe.
Questa mattina, alle 6:30, il cielo è azzurro, la brezza fresca stempera gli animi. Sembra quasi accarezzarmi per dirmi “Tranquillo Andrea, va bene così”.

Mi perdoni, Maestro, per quanto sto per scrivere
Se ne va una delle colonne della musica italiana. Sembra banale definire Franco Battiato in questo modo, anzi lo è. Battiato è stato un precursore, un ricercatore, un artista “avanti”, moderno quando attorno a lui si scadeva nella retorica becera e vuota spacciata per impegno sociale ed essenzialità artistica.
Franco Battiato è colui che ha scritto e “Up Patriots To Arms”, un brano, un manifesto che, ripreso trent’anni dopo dai Subsonica, ancora suona – nell’arrangiamento di fondo e soprattutto nel testo – dannatamente attuale. Da un lato per fortuna, dall’altro purtroppo.
No, non mi dilungherò con l’elenco dei capolavori, delle solite “La Cura”, “Cuccurucucù”, “L’Era Del Cinghiale Bianco” e via discorrendo. L’ho già definito una “colonna portante della musica italiana”, ho già espresso una banalità (pur vera, pur importantissima). Non voglio mortificarlo così.

Il ricordo da parte di uno scribacchino di musica
Voglio rendervi partecipe del lato bello e più personale che ricordo di Franco Battiato. Agosto 2011, Ascoli Piceno. Piazza del Popolo. Bellissimo “salotto cittadino”, dove Battiato ha spesso passeggiato e lo racconta dal palco. Ribadisce, nelle pause tra un brano e l’altro, la sua connessione con la città marchigiana. Lo fa raccontando aneddoti, lo fa trasmettendo sincerità completamente scevra da qualsivoglia retorica.
Distrugge l’atmosfera sacrale di un pezzo come “La Cura” fermando i musicisti e dicendo candidamente: “… Ho perso il segno sul gobbo elettronico. Ricominciamo”. Uno impazzirebbe, invece si salta subito all’umano, al fatto di avere davanti una persona che su una delle canzoni d’amore più belle (e sputtanate) degli ultimi quarant’anni, non ricorda le sue stesse parole e butta tutto su un piano molto più terra-terra. Magnificamente terra-terra. Ti ha fatto tornare, ci ha fatto tornare a un livello “È importante per voi, ma smettetela di prenderla troppo sul serio”.
Meraviglioso è stato quando, accorgendosi che la sicurezza tentava con più o meno garbo di non far avanzare alcuni ragazzi che si erano alzati dai propri posti per tentare di avvicinarsi un po’ di più al palco, Battiato ha detto: “Ma fateli avvicinare. Anzi, venite tutti qui, alzatevi e ballate”. E parte “Voglio Vederti Danzare” seguita da “Cuccurucucù”. Un tripudio di esaltazione, gioia e felicità. Il concetto di benessere esploso in musica.
L’addio non esiste. Semmai, esiste l’arrivederci
Ecco, il ricordo che ho non è quello di un Battiato sacrale. Almeno, non solo quello. Ad Ascoli Piceno, oramai 10 anni fa, ho visto un Franco Battiato estremamente umano, molto alla mano, scevro da qualsiasi aura di mito. Il che lo ha reso, artisticamente, ancora più ammirevole.
Se ne va oggi, 18 maggio 2021. Se ne va, rimanendo nella sua Sicilia. Se ne va, rimanendo nei miei ricordi e nella musica.
Arrivederci, Maestro.
a cura di
Andrea Mariano