Una foto dal passato che parla di oggi: storia della copertina dell’ultimo disco di Bob Dylan
Bob Dylan a 79 anni ci regala uno dei dischi migliori, e più ispirati, della sua carriera.
In questi ultimi giorni si è parlato tanto di Rough and Rowdy Ways, dei suoi testi e delle infinite citazioni contenute all’interno dell’album, noi ci concentreremo invece sulla copertina che, oggi più che mai, sembra volerci dire qualcosa.
La storia della foto
La foto che si vede sulla copertina dell’album è stata realizzata dal fotografo Ian Berry, nel 1964. Si trovava in un club a Londra, ormai scomparso, su Cable Street a Whitechapel.
Berry stava facendo un servizio per l’Observer e doveva scattare alcune foto per un articolo sulla cultura nera in Inghilterra.
La foto mostra una coppia vestita in modo molto elegante, che balla in un club. I volti non si vedono. Dietro di loro, un uomo è piegato su un jukebox. Anche senza conoscere nessun retroscena, l’immagine parla da sola. C’entrano l’erotismo, i balli e la cultura nera.
Ian Berry – ha raccontato a Rolling Stone – non aveva il permesso per fare quelle foto, quindi lavorava velocemente, scattando con poca luce. E questo probabilmente spiega perché l’immagine ha qualcosa di misterioso.
La foto originale era in bianco e nero ed è stata colorata successivamente. Incredibilmente, Berry ha dichiarato di non conoscere la discografia di Bob Dylan, o almeno non così tanto da definirsi un fan, ma che ha considerato un “grande complimento” la richiesta di utilizzare la sua foto per la copertina di Rough and Rowdy Ways.
Perché la copertina del disco è così interessante
Per tutto il disco Dylan ci racconta di un pericolo imminente, di una minaccia strisciante, di un delirio collettivo. L’unica salvezza è il passato, che ci permette di capire come correggere gli errori e il corso della storia. Era già era avvenuto con “l’inventario” di Murder Most Foul, uscita in piena pandemia: “freedom, oh freedom, freedom over me/ I hate to tell you, mister, but only dead men are free“, canta Dylan nel pezzo lungo quasi 17 minuti, ricordando i gospel degli schiavi, prigionieri nella terra degli uomini liberi.
La storia americana è dappertutto, in Rough and Rowdy Ways. Il brano Mother of Muses unisce, con un filo invisibile, la Guerra di Secessione, Presley e Martin Luther King. Lo stesso vale per Key West, che celebra gli anti-eroi della beat generation: Kerouac e Ginsburg. Goodbye Jimmy Reed è invece un omaggio al bluesman del Mississipi.
La stessa copertina del disco fa pensare agli anni Sessanta, alla segregazione razziale, ai ghetti. Sintetizza in una sola immagine un mondo che Bob Dylan conosce molto bene, dal quale ha sempre attinto per parlare di progresso e diritti civili negli Stati Uniti.
Anche se probabilmente la scelta della copertina è precedente all’omicidio di George Floyd, il riferimento alla questione razziale è lampante.
Dylan non lascia niente al caso: la foto racconta molto dell’attuale situazione degli Stati Uniti, costretti ancora una volta a fare i conti con un passato mai superato. Il presente dell’America è George Floyd e le proteste delle ultime settimane stanno dicendo proprio questo: non è più possibile ignorare il problema.
Ancora una volta Dylan è lì dove abbiamo più bisogno di lui, tenero e spietato. “I contain multituuudes” grida a chiunque non lo abbia ancora capito.
a cura di
Daniela Fabbri
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