Caffellatte presenta la sua Carta stagnola: una storia di coraggio

Caffellatte presenta la sua Carta stagnola: una storia di coraggio
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Caffellatte ha scritto una canzone che parla della sua storia, senza filtri. Ha riposto in una canzone tutte le sue fragilità.

Fuori il 28 aprile 2020 il nuovo singolo di Caffellatte, Carta Stagnola.
Il brano, nuovamente firmato da Alessandro Donadei, con il prezioso supporto di Mario Ciancarella al mix, Nmgrecorecording studio al master e distribuito da Artist First, si discosta particolarmente dai precedenti in termini di produzione, testo e atmosfera.

Se il sunto costante all’interno dei precedenti brani era l’attrito tra il synthpop e la componente testuale, in questo caso la partita si gioca su un piano differente: l’attrito tra l’universo della trap, del vocoder e del tune, posto a confronto con un brano ed un testo pregni di sensazioni estremamente intime.

Carta Stagnola non racconta in minima parte una storia d’amore (come i più possono certamente pensare al primo ascolto), bensì, proprio come fosse una storia d’amore tormentata con se stessi, tratta un argomento spinoso e complesso: la depressione e, nello specifico il Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA), di cui la cantautrice ha sofferto per diversi anni.

Porre una lente d’ingrandimento a riguardo e farlo con delicatezza era l’obbiettivo del brano che, per quanto non sia didascalico, tratteggia delle sensazioni a pelle, raccontando a parole uno stato mentale su cui purtroppo non si pone abbastanza attenzione. Ogni “tu” presente nel brano è rivolto a se stessa, ogni freccia dolorosa è una spina nel fianco che, con il tempo, ha ferito e ha permesso alle stesse ferite di rimarginarsi. Il brano chiude con la controparte ammalata in stato di sottomissione, “lasciata morire” appunto.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Caffellatte piacere di sentirti! Ti conosco da un po’ di tempo ma non ti ho mai chiesto perché hai scelto questo nome per rappresentare il tuo progetto artistico, me lo spieghi?

Il nome Caffellatte nasce su per giù in concomitanza con Facebook.  Avevo inserito accanto al mio nome, tra le parentesi dove si poteva inserire un eventuale nickname, la parola caffellatte scritta male, proprio così con quella doppia elle disturbante che a me piace tanto. In seguito nominai alla stessa maniera un album di fotografie su fb, e il nick di IG. Da Instagram in poi tutti mi hanno sempre chiamata Caffellatte, quindi a stenti ricordo il mio nome vero ormai! No scherzo, però è vero, è stato un processo naturale, è come se io e questo nome ci fossimo sempre appartenuti. “Carta stagnola” è titolo del tuo nuovo singolo ed è un brano in cui ti metti a nudo completamente. Cosa ti ha spinto a farlo?

A chi vuoi dedicare questa canzone?

Il mio ultimo brano è dedicato pienamente a me stessa, alla battaglia interiore che mi attanaglia lo stomaco, la pancia e tutto il resto del corpo da quando avevo 17/18 anni; questo brano lo dedico alla persona che ero, a chi sono diventata, a tutte le volte in cui mi sono posta in difetto circa le situazioni che mi si presentavano davanti anziché reagire, e soprattutto a tutte quelle volte in cui mi sono data un bel calcio, gridando dentro me a gran voce “posso farcela!”

L’incontro /scontro tra l’universo della trap, del vocoder e del tune, si pongono a confronto con un testo molto personale. Se dovessi identificare il genere musicale nel quale ti senti più a tuo agio, quale sceglieresti?

Bella domanda. A me piace tanto sperimentare, adoro fortemente l’elettronica in tutte le sue declinazioni e se dovessi identificarmi in un genere sarebbe certamente quello. Mi sento a mio agio nel cantare e nel parlare all’interno dei brani, vorrò sperimentare ancora e ancora, credo che la sperimentazione di qualsiasi tipo sia il fuoco che alimenta davvero la musica.

Il singolo precedente che si chiama “Alcol test”, racconta in qualche modo anche di Roma, la città in cui vivi ormai da qualche anno. Che rapporto hai con la Capitale?

 Era il 2017, bambina spaurita su tela. Una barca di brutte esperienze e ricordi da dimenticare, un oceano di domande impacchettate tra le mura di un asettico B&b dove avrei soggiornato sino a gennaio, nessuna grande aspettativa, qualche lacrima, del tipo ‘non ci voglio andare a Roma, è troppo grande per me’. Ed era vero. Era troppo grande per me. I primi autobus presi (e persi) me li ricordo manco fosse ieri, l’iPhone stretto tra le dita, fedele amico navigatore, era l’unico in cui riponevo fiducia. Per le strade sbarravo gli occhi per cercare di capire se avessi qualcuno alle calcagna. Ero da psichiatra, lo so. E poi le prime lezioni in Accademia,  solo gente più grande, più preparata, più tutto. Ed io solita, striminzita nel mio ‘non so cosa ci faccio qui’. Era davvero troppo grande per me Roma.

A distanza di tre anni  mi sono resa conto di quanto in verità sia piccola, minuscola, da stringere in un solo palmo. Ogni angolino del centro compone un ricordo. A Trastevere la locanda in legno che puzza di chiuso, l’Irish pub a piazza Venezia, quel giorno in cui pioveva a dirotto e non potevamo tornare a casa. Un localetto brutto vista Colosseo nel quale un pre-serata qualsiasi era pur sempre bello perché li, perché noi. E ancora, il lungo Tevere delle bancarelle, quella sera in cui comprai un libro per la copertina blu e azzurra con i colori del mare che, ancora oggi, mi manca. Gli angoli sporchi e bui di San Lorenzo, casa per me, le luci e i vicoli. Roma è così piccola adesso.

Potrei andare avanti, scavare nei ricordi, ma alcuni li terrò per me; la verità è che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è l’amore. Qui, da qualche parte, c’è, ce n’è per tutti.

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Ahia questa è complicata. Sicuramente Lost Kids, Mira, Pgreco, e ve ne aggiungo un quarto a sorpresa: Maida.

Cosa dobbiamo aspettarci adesso da te?

È una bella scommessa adesso. Ho sicuramente un quinto singolo da tirar fuori, e poi spero di lavorare ad un concept ep entro l’anno prossimo!!

a cura di
Giulia Perna

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Giulia Perna

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