Diario di una Band – Capitolo Undici

Diario di una Band – Capitolo Undici
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“Canterò le mie canzoni per la strada
ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”

Pierangelo Bertoli

C’è una branca della musica che ha indirizzato la mia bussola, da sempre, anche quando la musica la vivevo passivamente, a casa, nell’infanzia, nel frangente più disconnesso dal concetto di volontà.

L’amore per le parole, le rime, gli incastri, gli inneschi però sono sempre state peculiarità che hanno reso imprevedibile la sorte dei miei gusti e del mio percorso. Un fascino estemporaneo che non ho compreso fino ad una pubertà inoltrata, quando il concetto di sogno rasentava, sfiorando con mente e mani la vita reale fatta di amori settimanali e ideologie sbocciate a malapena, in un turbinio di ormoni e progetti interstellari.

Il ruolo del cantautore è sempre stato un faro, nella mia vita colorata da sempre di punk rock e chitarre acidamente distorte. Il saper amare più correnti però la ritengo una componente essenziale anche verso la stesura stessa di queste righe, l’ancora di salvataggio che mi ha insegnato la pazienza nei confronti della musica, riuscendo ad avvicinarmi e farmi comprendere con sempre maggior costanza e curiosità tante sonorità lontane dal mio campo base.

Il paroliere senza schemi, ovvero il cantautore, rende giustizia a quei demoni che non trovano completamente pace nelle sonorità strumentali di un brano. Insomma dischi come “The Wall” dei Pink Floyd escono fuori una volta in cent’anni, e sono purtroppo o per fortuna casi isolati, che essendo tali sanciscono la storia in maniera definitiva.

Quindi perché questa morbosa ricerca di trovare nei testi una doccia rigenerante? Perché davvero  oggi sgretolo il mio umore in maniera isterica nel non avere una gamma variopinta di possibilità d’ascolto nello scaffale del cantautorato odierno?

Cambiati i tempi, cambiate le abitudini, cambiati i principi, gli obiettivi e di conseguenza i punti di vista della giornaliera ricerca del “nirvana” moderno, classificabile ora non come un più attempato “riuscire e imporsi”, ma permettete la metafora, più come una sgattaiolante scorciatoia riassumibile nel “fare soldi e subito”, perdendo di vista in maniera matematica l’ago della bussola.

Difendo a spada tratta chi ancora, diversamente, come me non riesce proprio ad agire mantenendo un personale assetto . Ma il canale del cantautore non è una strada scelta, una decisione presa a tavolino, ed è questo che deve essere chiaro. Il cantautore non decide ne di esserlo ne di diventarlo. Raccontare la propria vita facendo di essa una colonna sonora che accompagni per simbiosi l’ascoltatore nel profondo non può essere in programma ed è per questo che la nostalgia più furibonda innesca la rabbia, quando mi accorgo che molti testi di Rino Gaetano, Fabrizio De Andrè e Pierangelo Bertoli hanno un’imbarazzante attualità. Non capisco mai se devo essere tranquillo nel metabolizzare questo concetto perchè il treno, di conseguenza non è del tutto perso per me e le generazioni a venire; oppure squagliarmi come un “fior di latte” al sole, rimanendo appiccicato al pavimento, dato che il risultato della mia osservazione porta a un catastrofico epilogo delle annate successive alle mie, mettendo me e i miei propositi in una busta sotto vuoto che rimarrà senz’aria per chissà quanto tempo. Il dubbio mi resta e rimane anche stopposo in bocca, come una fetta di pandoro senza zucchero a velo.

Quindi decido di stare nel mezzo, nel limbo, come siamo abituati a fare oggi giorno, scoprendo un lato positivo del periodo storico in cui viviamo, come strilloni fuori dal proprio contesto storico. Un pò come affrontare una maratona senza l’allenamento necessario. In modo vigile e scaltro restare sempre sul “pezzo”, adattandosi alle evenienze che sono legate a quel filo sottile di integrità mentale e decisionale che ci resta tra le mani e il cuore.

La missione di un moderno cantautore non si discosta troppo da quello degli anni ‘70. Ovvero, la missione del cantautore è sempre quella, ed è aver la capacità di raccontare le lacune della nostra società, le falle che fanno annegare ogni proposito di crescita culturale. E cosa manca alla base di oggi? Cosa mi da più fastidio ogni giorno, in ogni contesto di vita che osservo, partendo dalla bottega del barbiere fino ad una fila caotica in posta, per arrivare all’amplesso sessuale nell’intimità col partner?

E’ una domanda che devi farti se non vuoi scrivere delle cazzate trite, ritrite, sentite e masticate.      

E quindi arrivo, con le bestemmie tra i denti a una conclusione, a un risultato, a una risposta che mi urta. Mi urta perché è un po’ abbandonare le armi, ammettere di aver fatto 100 passi, come dicono i Modena City Ramblers, ma all’indietro, fino ai blocchi di partenza di una gara che nel mio modo di vedere la vita è impensabile da gareggiare, per principio.

l’Educazione, il buongiorno e l’arrivederci, il grazie. Non credete manchino queste tre parole magiche?

Il Grazie! Potente il grazie eh? Ormai raro il grazie no?

Qui tramortisco nel disagio, quando penso di dover scrivere veramente nelle mie canzoni, per destare coscienza e aprire una piccola fessura di luce sulla normalità universale, il concetto del GRAZIE?

E perché non siamo più abituati a dirlo? Perchè forse manca il tempo? Perche il tempo è divenuto un nemico da combattere, battendolo appunto con le sue stesse armi?

Una volta, e mi sembra di parlare di cent’anni fa, mi insegnarono un termine che dava speranza, quanto preoccupazione, ma del tutto genuina.

LA GAVETTA. Quando ti dai del tempo per costruire un progetto, una situazione, una relazione con la musica, hai anche tempo di dire grazie, cosi come hai tempo di incazzarti come una iena quando subisci un torto, e con le motivazioni e le giustificazioni a mille, perché il tempo che hai speso nell’attesa dei momenti esatti è stato giustificato, è stato tuo intento confezionarlo ed è prezioso, guadagnato col lavoro e con l’amore per questa arte. L’arte del sacrificio, dell’attesa e del lavoro compongono inderogabilmente l’arte della musica che ha messo e continua a mettere radici solide e in continua espansione.

Non voglio cadere nella retorica, ma davvero al giorno d’oggi la musica non può avere un tempo di gestazione adatto a menti che ammortizzino e assimilino solo per il gusto di farlo? E’ possibile che la mia mano debba fermarsi a cento passi indietro di distanza per essere compresa dall’ottica del 2020? E’ possibile smentire la leggenda imbalsamata del “cantautori come un tempo non ne nasceranno più”, capendo ch’è solo una privazione dettata dall’assenza di spazi radiofonici capillari e culturali oltre che morali? E’ possibile come credo rigenerare una nuova schiera di parolieri onesti, irriverenti, maleducati, ubriaconi e passionali? Torneranno le parole a prendersi il posto che meritano? Tornerà (mi sembra assurdo scrivere questa frase) il momento in cui un individuo singolo ritorni a scegliere ed emozionarsi perché ritrova se stesso in certi versi di una canzone come fossero poesie dall’impatto epico? Voglio crederlo, non posso fare diversamente anche se alla SNAI le quotazioni di questo successo sono pari alla vittoria del Leicester in Premier League…ma ricordiamoci anche grazie ad assurdi intrecci astrali che i miracoli ogni tanto succedono ancora, e il patrimonio delle parole, quelle vere, mescolate alla musica non possono finire nello sgabuzzino della memoria, altrimenti si perderebbe il concetto stesso di memoria.

Il cantautore non può avere fretta quindi, perché il cantautore vero, intendo, volente o nolente saprà sempre dire grazie, e se ha smesso di dirlo probabilmente è perché ha scelto di andarsene da quel limbo, da quella terra di mezzo che tiene sospesi i pensieri tra le scarpe e il terreno, e i sogni, farciti  di speranze appesi alla luna con un filo invisibile.

Sarò fuori moda e fuori dai giochi forse, ma sapete quanto cazzo me ne frega? Agisco perché so pensare.

Vasco Bartowski Abbondanza

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Sara Alice Ceccarelli

Giornalista iscritta all’ODG Emilia Romagna si laurea in Lettere e Comunicazione e successivamente in Giornalismo e Cultura editoriale presso l’Università di Parma. Nel 2017 consegue poi un Master in Organizzazione e Promozione Eventi Culturali presso l’Università di Bologna e consegue un attestato di Alta Formazione in Social Media Management presso l'Università di Parma. Ama il giallo e il viola, possibilmente assieme e vive in simbiosi con il coinquilino Aurelio (un micetto nero). La sua religione è Star Wars. Che la forza sia con voi.

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