Presence – La recensione in anteprima dell’horror secondo Soderbergh

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Nell’immaginario collettivo, l’horror è sempre più associato a pellicole che mirano a spaventare a tutti i costi. Tuttavia, alcuni registi ricordano che la vera paura non risiede necessariamente in un jump scare, ma in un elaborato studio della tensione e dell’ansia instillate nello spettatore. Steven Soderbergh sarà riuscito in questa impresa con il suo nuovo film, “Presence“?

Lo ammetto: quando ho sentito per la prima volta che Steven Soderbergh stava preparando un film horror, il bambino dentro di me si è risvegliato, attendendo con impazienza l’uscita di Presence. Per chi non conoscesse il regista americano, stiamo parlando di un Premio Oscar che ha diretto alcuni dei film più noti degli ultimi 30 anni, come la trilogia di Ocean’s, la saga di Magic Mike, Erin Brockovich e Traffic.

Il dubbio, tuttavia, sorgeva dal fatto che la sua filmografia è dominata da commedie leggere, molto distanti dal tono che un horror, seppur psicologico, dovrebbe avere. Questo alimentava il timore che la pellicola, in arrivo nelle sale italiane il 24 luglio, potesse deludere le aspettative.

Il 2024 è stato un anno cruciale per Presence. La sua presentazione al Sundance Film Festival di gennaio ha raccolto ampi consensi ma ha anche sollevato dubbi, proprio per la sua natura innovativa nel genere, il pubblico americano ha poi atteso diversi mesi per la sua uscita nelle sale, dove l’esordio ha portato a un incasso di 10 milioni di dollari a fronte di un budget di 2 milioni: un ottimo risultato, confermato anche dal punteggio dell’87% su Rotten Tomatoes.

Ma quindi, cosa dobbiamo aspettarci da questa pellicola? Sarà davvero l’horror della svolta o si scioglierà come neve al sole, come tanti altri titoli recenti? Andiamo a scoprirlo insieme.

Con gli occhi dello spirito

La storia alla base del film è semplice: una famiglia, segnata da un lutto che ha colpito la figlia, decide di trasferirsi per ricominciare. La nuova casa sembra perfetta, ma un’incessante sensazione di inquietudine pervade ogni scena. Il motivo è presto svelato: l’intera pellicola è girata dal punto di vista della “presenza” che abita la casa.

Quello che ci scorre davanti è lo spaccato di vita quotidiana di una normale famiglia americana: due genitori che affrontano i loro problemi, una figlia che non ha ancora superato il trauma e un figlio che cerca in ogni modo di farsi accettare dall’élite della scuola.

Davanti ai nostri occhi si susseguono scene di vita senza un ordine cronologico preciso. Come rivelerà una medium nel film, gli spiriti non percepiscono la differenza tra presente, passato e futuro, e questa sensazione di disorientamento temporale si trasmette anche a noi. Col passare dei minuti, inizia a delinearsi un puzzle che ci fa capire come questa presenza si trasformi da semplice spettatrice a parte attiva, soprattutto nel tentativo di proteggere la figlia da qualcosa di inevitabile. Ma cosa?

Un’idea immersiva, con un “ma”

Diciamolo subito: l’idea del punto di vista dello spirito è il vero game changer di Presence. Fin da subito, lo spettatore viene colpito e si immedesima in questa entità, chiedendosi chi sia, perché si trovi lì e quale sia il suo scopo.

Il problema è che, con l’avanzare del tempo, la realizzazione di questa idea in alcune scene risulta debole e fine a se stessa, facendo perdere quella necessaria empatia che avrebbe dato maggiore slancio al film.

Steven Soderbergh, però, riesce a mascherare questo difetto di sceneggiatura con una scelta stilistica che farà impazzire gli amanti della fotografia: Presence è stato interamente girato con un obiettivo da 14mm. Questo grandangolo estremo permette un campo visivo incredibilmente ampio, quasi perfetto per una visione con un visore VR, per immergersi completamente in questa dimensione sospesa.

Inoltre, la scelta di utilizzare la casa come unica ambientazione rafforza ulteriormente il senso di centralità della presenza nello sviluppo della storia. Sì, lo ammetto: da fotografo, mi sono esaltato per queste scelte, che mi hanno fatto passare in secondo piano i piccoli problemi della pellicola.

La colonna sonora di Zack Ryan accompagna magistralmente il film, aumentando la tensione quando serve e concedendo respiro nelle scene più rilassate. Il cast, capitanato da un’ottima Lucy Liu, sorregge il film con una recitazione naturalistica e misurata.

Una splendida idea

Presence è una splendida idea che, purtroppo, si smarrisce un po’ con l’avanzare del film, indebolendo quello che dovrebbe essere il suo fondamento: l’empatia verso i personaggi.

Spesso ci si chiede cosa stia succedendo o perché la presenza sia lì, ma sono domande destinate a rimanere senza risposta. Questi difetti vengono quasi del tutto cancellati da una regia sontuosa, basata su un’idea tanto semplice quanto vincente.

L’utilizzo di un campo visivo così ampio trasmette un senso di “claustrofobia aperta” che ci fa immedesimare nella presenza, la vera protagonista del film.

Senza ombra di dubbio, Presence è una pellicola che farà parlare di sé e troverà il suo pubblico, molto probabilmente col tempo diventerà un cult; forse, come tanti altri film innovativi, è uscito troppo presto per essere compreso appieno.

Nonostante il successo che otterrà, la sua vera gloria arriverà con il tempo.

Personalmente, l’ho amato. Finalmente, in un mondo di film omologati, abbiamo una voce che esce fuori dal coro e urla a squarciagola la sua unicità, dimostrando che il genere horror ha ancora molto da dire e che c’è ancora tanto spazio per sperimentare e portare la vera paura nello spettatore.

Buona Visione!

a cura di
Andrea Munaretto

Articolo realizzato con l’ausilio parziale di intelligenza artificiale

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di Andrea Munaretto

Nato nell'84 e fin da quando avevo 4 anni la macchina fotografica è diventata un'estensione della mia mano destra. Appassionato di Viaggi, Musica e Fotografia; dopo aver visitato mezzo mondo adesso faccio foto a concerti ed eventi musicali (perché se cantassi non mi ascolterebbe nessuno) e recensisco le pellicole cinematografiche esprimendo il mio pensiero come il famoso filtro blu di Schopenhauer

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