I giovanissimi, oggi, scrivono ancora? E cosa?
Questo è la domanda da cui parte l’interessante ricerca compiuta dal team di Accento Edizioni, culminata nella raccolta di racconti Quasi di nascosto, pubblicata lo scorso anno ma ancora molto utile per comprendere o almeno avvicinarsi alle nuove generazioni di autori.
L’idea di pubblicare 12 nuove voci di narratori esordienti esclusivamente sotto i 25 anni viene da un modello illustre, la raccolta pubblicata da Pier Vittorio Tondelli nel 1986 dal titolo Under 25 con la casa editrice Il lavoro editoriale (poi Transeuropa). L’operazione di Tondelli segnò uno spartiacque nel mondo editoriale poiché fino ad allora un giovane esordiente non poteva sognarsi di pubblicare un racconto, dopodiché anche i grandi editori iniziarono ad accogliere in catalogo anche chi era alla prima esperienza.
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Come si esprimono i giovani?
La difficoltà maggiore nell’emulazione di un progetto simile negli anni 20 del nostro secolo, raccontano gli editori, non è stata la mancanza di espressione giovanile, quanto piuttosto la rarità di espressione narrativa scritta. I giovani si esprimono, ma pubblicamente emergono in altre forme: attraverso video, foto, caption, strofe rap e forme di fruizione più immediate rispetto a un racconto.
Esiste però un sottobosco di riviste letterarie e scuole di scrittura in cui si fanno strada, “quasi di nascosto”, voci che meritano di essere scoperte. La selezione ha richiesto tempo e pazienza; gli editori raccontano di aver dovuto estendere la ricerca ad altri canali poiché inizialmente queste voci sembravano inesistenti. La stessa Accento in effetti aveva eliminato il vincolo di età, pubblicando nella sua collana dedicata agli esordi autori di diverse generazioni e non solo di under 25 come inizialmente pensato. Finché le proposte sono state trovate e lavorate con cura fino a ottenere il risultato che possiamo leggere oggi.
Quindi scrivono… ma di cosa?
Quindi sì, i giovani scrivono: ma di cosa? Non essendovi un unico tema portante i racconti sono molto diversi fra loro, ma tuttavia si sente l’urgenza di raccontare ed esplorare temi comuni per la loro generazione.
Sullo sfondo si trovano sempre eventi semplici, riconducibili alla quotidianità di chi li vive: il falò sulla spiaggia, gli innamoramenti, il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la ricerca di un’identità. Eventi non eclatanti, eppure ricchi di significato per i loro protagonisti, perché proprio quei momenti segnano delle soglie, dei momenti cardine.
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L’esplorazione del rapporto con il corpo
Uno dei temi sicuramente più esplorati è il rapporto con il corpo, proprio e altrui. Un corpo che in alcuni casi viene valorizzato, anzi sfruttato come arma di seduzione consapevole (Martina in Teresa si diverte, la ragazza ucraina in The best time of our life); in altri si tratta di un “mondo” ancora da capire bene, alla soglia dell’adolescenza (la protagonista di Non diventare donna, le educande di Abbandono).
Tema che porta, di conseguenza, a un’esplorazione della sessualità, sia nella forma più carnale del rapporto in sé ma anche in quella di indagine sulla propria identità. Leggiamo infatti di corpi femminili che si scoprono maschili, relazioni omosessuali di entrambi i generi – talvolta vissute e talvolta spiate – attrazioni fra diverse generazioni.
Identità rifiutata e altri temi
E come spesso accade nella realtà, l’identità non accettata porta al voler essere altro, al non sentirsi al proprio posto: accade che qualcuno per questo si suicidi, oppure abbandoni la propria amante in favore di una vita matrimoniale infelice ma ufficiale – oppure più semplicemente chi è ancorato ancora a un mondo ‘vecchio’ di cui non resta che il dialetto.
Ai già citati temi estremamente contemporanei si inseriscono in maniera delicata ma incisiva il razzismo (con il racconto di Aminata Sow su una ragazza di colore che cerca il suo posto nel mondo fra social e fasulle rappresentazioni artistiche) e la guerra (il racconto The best time of my life che narra di un incontro in un parco fra un ragazzo italiano e una ragazza ucraina un po’ sopra le righe).
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I racconti più peculiari
In tutti i racconti vi è una ricerca, una tensione verso qualcosa da raggiungere, da comprendere ancora appieno, come è tipico dell’età di chi scrive. Non si può dire che ognuna delle storie presenti una maturità stilistica e una narrazione avvincente, ma molti rivelano voci estremamente interessanti. Penso ad esempio al racconto Abbandono di Michela Panichi, dove il rapporto fra due insegnanti donne è calato nel contesto di un convento novecentesco, dove vengono spiate da alunne adolescenti curiose che iniziano a farsi domande su amore e sesso. Oppure il racconto Primo di Micol Maraglino, che si distacca dagli altri per atmosfere e toni (la storia simbolica di un prete che salva un bambino) ma che rivela una grande abilità narrativa (addirittura l’autrice inventa un idioma con cui personaggi si esprimono).
Un esperimento ben riuscito
Si tratta nel complesso di un esperimento ben riuscito, non solo dal punto di vista narrativo ma anche e soprattutto da quello sociologico: racconta e rivela un mondo non sempre ben compreso e meno che mai sempre accettato, attraverso un medium più tradizionale, che forse può aiutare a mettere generazioni diverse a contatto. E in più, molto probabilmente, farci scoprire i talenti di domani.
a cura di
Martina Gennari
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