Paul Di’Anno rimarrà per sempre il “figlio dell’ira”

Paul Di’Anno rimarrà per sempre il “figlio dell’ira”
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21 ottobre 2024. È morto Paul Di’Anno, storica voce degli Iron Maiden. A lui dobbiamo due album che hanno fatto la storia del metal. A lui devo un pezzo di me.

“Wrathchild” può essere tradotto in italiano come “figlio dell’ira”, “figlio del furore”. Era divertente nei primi anni 2000, con la connessione 56k a farla da padrone, leggere “birbantello” come corrispettivo italiano. Perché quando scopri gli Iron Maiden con Paul Di’Anno alla voce, è facile identificarlo come la testa calda del gruppo.

Talmente testa calda che nel 1981 fu protagonista di un raro esempio di autolicenziamento da una band. Iniziava a mal sopportare la vita in tour e quello che stavano progettando Steve Harris e soci per il futuro dei Maiden; non si è incazzato più di tanto quando lo accompagnarono alla porta. Anzi, fu per lui una sorta di liberazione. E condanna.

Ma Paul Di’Anno, the voice of the beast, ha sempre avuto dalla sua parte quell’adorazione da parte di tantissimi fan degli Iron Maiden quasi incondizionata, perché alla sua voce (e alla sua scrittura) sono legati i primi due album della Vergine di Ferro, “Iron Maiden” e “Killers”, dischi che hanno fatto davvero la storia della musica e dell’Heavy Metal.

Molti hanno definito Paul Di’Anno l’anima punk dei Maiden. Sarà per il cantato graffiato, sarà per l’estetica borchie e pantaloni in pelle. In realtà era semplicemente il meno avvezzo alle mezze misure: o tutto, o niente. Eppure a lui dobbiamo perle come “Remember Tomorrow”, canzone adorata anche dal suo successore Bruce Dickinson, o “Killers”, “Phantom Of The Opera” o “Running Free”, tutt’ora presente nelle scalette dei concerti della band e, fino a poche settimane fa, anche dei suoi.

Paul Di’Anno è sempre stato cosciente di giocare con gli eccessi, con uno spirito autentico eppure fumantino, con la rabbia di chi si è sempre giocato le proprie carte a volte bene, a volte male, a volte malissimo. Ha fatto i conti con qualche demone sin da quando era ragazzo, un promettente cantante con tanto talento e tanto fervore.

Di cazzate ne ha fatte, ma alla fine si è sempre preso le proprie responsabilità. Negli ultimi anni ha lottato contro depressione, alcolismo e delle gambe che non hanno più retto, costringendolo alla sedia a rotelle. Crowdfunding per operazioni in Croazia, concerti per autosostenersi. L’affetto di chi ha cercato di sostenerlo anche quando urlava di essere stato abbandonato e non supportato.

La “riappacificazione” con Steve Harris e le quattro chiacchiere scambiate con Bruce Dickinson di recente sono state, forse, il tentativo del suo management di regalargli qualche ulteriore scintilla. Forse, in cuor loro, sapevano che la situazione non era più recuperabile.

Da poco aveva pubblicato un album, l’ennesima rivisitazione dei suoi cavalli di battaglia dell’era Iron Maiden, e proprio pochi giorni fa è stata ultimata la stampa della sua futura (oramai postuma) autobiografia, “666 days with the beast”. Progetti ce n’erano: seduto su una carrozzina da più di 10 anni non gli ha impedito di continuare a sognare e salire ancora sul palco, anche a costo di farsi aiutare dal pubblico.

Invece se ne è andato a 66 anni. “Morto Paul Di’Anno”, ho letto lunedì 21 ottobre 2024. Credevo in una notizia fasulla. Ci speravo, anche quando l’annuncio veniva riportato da sempre più siti e testate. E quella smentita che non è mai arrivata. Purtroppo.

Se ne va il figlio della furia, se ne va uno dei fautori della folgorazione della New Wave of British Heavy Metal. Più semplicemente, è andata via una delle voci più caratterizzanti della storia del Rock e del Metal.

Ascolterò a ripetizione “Iron Maiden”, “Killers” e qualche suo lavoro solista, coi Battlezone o con gli Architects of Chaoz (progetto del 2015 davvero promettente). Piccole perle nascoste dall’ombra di una band originaria con la quale ha sempre mantenuto un collegamento indissolubile, nel bene e nel male.

Sì, ascoltare lavori di un artista appena deceduto può essere qualcosa tremendamente da “poser”, direbbero i giovani del 2002. Però, signori miei, permettetemi: a lui e a quei due dischi sopracitati devo buona parte della mia iniziazione a una certa cultura musicale. Scusate se è poco.

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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