Netanyahu: “Guerra a Hezbollah fino all’obiettivo”. Ecco perché accordo su tregua è saltato
(Adnkronos) – ”La guerra a Hezbollah continuerà fino a quando non saranno raggiunti tutti gli obiettivi” che Israele si è prefissato. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu lo scandisce dopo essere atterrato all’aeroporto Jfk di New York. Tra questi obiettivi, ”il ritorno in sicurezza dei cittadini israeliani nelle loro case al nord” di Israele, vicino al confine con il Libano, e l’uccisione dei leader di Hezbollah. Netanyahu ha autorizzato il raid su Beirut – che ha portato all’eliminazione del capo della divisione aerea di Hezbollah – mentre si trovava a bordo dell’aereo di Stato ‘Ali di Sion’, diretto a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dall’inizio degli scontri al confine con Israele circa un anno fa, ovvero dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre, sono più di 1.500 i morti in Libano. Intanto emergono retroscena su quanto avvenuto nelle ultime ore relativamente alla tregua. Secondo la ricostruzione fornita da Channel 12, rilanciata da Times of Israel, il ministro degli Affari strategici israeliano, Ron Dermer, aveva raggiunto intese di principio con gli Stati Uniti per un cessate il fuoco che copriva sia il Libano che Gaza, con l’assenso di Netanyahu che invece ha fatto marcia indietro. In base alla ricostruzione, i contatti sono stati avviati all’inizio di questa settimana dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, Jake Sullivan, con Dermer. Secondo la ricostruzione, Sullivan ha esortato a passi per impedire che l’escalation tra Israele e Hezbollah sfuggisse di mano e Dermer avrebbe detto che Netanyahu voleva evitare la guerra su larga scala. Si è iniziato a discutere quindi di un cessate il fuoco temporaneo per permettere che venisse negoziato un accordo più permanente, basato sugli sforzi dell’inviato Usa, Amos Hochstein, e la risoluzione 1701 che ha messo fine alla guerra in Libano nel 2006. E sulla proposta del cessate il fuoco a Gaza e rilascio degli ostaggi, presentata da Joe Biden lo scorso maggio. Questa cornice avrebbe permesso a Israele di dire di aver diviso la crisi sul confine nord da quella di Gaza, mentre Hezbollah avrebbe potuto sostenere che fermava i suoi attacchi perché si era fermata la guerra a Gaza. Secondo Channel 12 stava anche emergendo l’intesa sulla possibilità che fosse lo stesso Netanyahu ad annunciare l’accordo durante il suo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu, un discorso in cui avrebbe dichiarato Hamas sconfitta a Gaza e avviata la fase di transizione. La discussione era andata avanti anche a livelli più ampi, coinvolgendo il generale Eliezer Toledano, capo del direttorato strategico dell’Idf ed ex consigliere militare di Netanyahu. E si era sottolineato che anche se alla fine il cessate il fuoco temporaneo non portava frutti, il fatto che fosse stato negoziato avrebbe permesso agli Stati Uniti di continuare con maggiore legittimità il solido sostegno a Israele anche in caso di guerra regionale, rivela ancora l’emittente israeliana. Mentre proseguiva il processo diplomatico, l’Idf non fermava i raid sul Libano e Netanyahu iniziava ad informare un numero ristretto di ministri del suo governo. E quando Netanyahu si è imbarcato per New York è uscita la nota di Joe Biden ed Emmanuel Macron che annunciavano il cessate il fuoco di 21 giorni con l’intesa che Bibi l’avrebbe appoggiato una volta atterrato negli Usa, dicendo che per quanto Israele intendesse continuare la lotta a Hezbollah, accoglieva il cessate il fuoco per far tornare i residenti del nord al sicuro alle loro case. Secondo i media israeliani c’era già una bozza del discorso del premier israeliano che evidentemente non aveva tenuto in conto l’alzata di scudi e le minacce di far cadere il governo dei ministri di estrema destra, e così “tutto è saltato in aria”. E Bibi ha smentito l’esistenza di ogni accordo e poi ha fatto una dichiarazione dai toni ben diversi, assolutamente bellicosi, una volta arrivato a New York. La richiesta di cessate il fuoco in Libano, avanzata dagli Stati Uniti e un gruppo di alleati internazionale, era stata “coordinata” con Israele, ha ribadito la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, dopo che Israele ha rifiutato la tregua e Netanyahu ha bollato come “incorrette” le notizie su un accordo a riguardo. “La dichiarazione è stata in effetti coordinata con la parte israeliana”, ha detto la portavoce ai giornalisti, aggiungendo che “ci sono discussioni ora in corso” a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu a New York. “I nostri team continuano a discutere e forse sentirete altro più tardi in giornata”, ha detto ancora. A chi le chiedeva perché allora Netanyahu ha negato che ci fosse stata un’intesa, ha risposto: “Dovete rivolgervi all’ufficio del primo ministro, io presento solo i fatti e quello che vogliamo e che vogliamo evitare perché pensiamo che la guerra totale non sia la risposta e il presidente è stato molto chiaro su questo”.
Israele intanto ha ricevuto dagli Stati Uniti un pacchetto di aiuti militari dal valore di 8,7 miliardi di dollari per sostenere le operazioni in corso e per mantenere un vantaggio militare di qualità nella regione. Lo riferisce in una nota il ministero della Difesa israeliano spiegando che nel pacchetto sono compresi 3,5 miliardi di dollari per acquisti essenziali in tempo di guerra e 5,2 miliardi di dollari per i sistemi di difesa aerea, tra cui il sistema antimissile Iron Dome, il David’s Sling e un sistema laser avanzato. Il ministero israeliano spiega nella nota che il contributo americano arriva dopo i negoziati al Pentagono tra Eyal Zamir, direttore generale del ministero della Difesa, e funzionari della Difesa degli Stati Uniti, tra cui il sottosegretario alla Difesa ad interim per la politica Amanda Dory. “Questo investimento rafforzerà in modo significativo sistemi come Iron Dome e David’s Sling, favorendo allo stesso tempo lo sviluppo di un avanzato sistema di difesa laser ad alta potenza, attualmente nelle sue fasi finali di sviluppo”, si legge nella nota. L’accordo, prosegue il comunicato, sottolinea la “solida e duratura partnership strategica tra Israele e Stati Uniti e l’impegno ferreo nei confronti della sicurezza di Israele”, in particolare nell’affrontare le minacce alla sicurezza regionale provenienti dall’Iran e dai gruppi terroristici sostenuti dall’Iran.
Intanto è mistero su dove sia il leader di Hamas. Yahya Sinwar è irraggiungibile ”da settimane”, ed è per questo che, nonostante si cerchi ”continuamente” di far andare avanti i negoziati sugli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza, la situazione è in stallo. Lo ha dichiarato un membro dell’entourage di Netanyahu citato dal Times of Israel, parlando delle difficoltà di entrare in contatto con il leader di Hamas. Allo stesso tempo, scrive il Times of Israel, Israele non ritiene che Sinwar sia morto. Ma se venisse ucciso, afferma il funzionario vicino al premier israeliano, “questo ci aiuterebbe a raggiungere un accordo”. Secondo la fonte, inoltre, il capo del Mossad David Barnea è impegnato regolarmente per far avanzare i colloqui, così come lo sono i mediatori di Egitto e Qatar che, però, non stanno ricevendo risposte da Hamas. Barnea, ha aggiunto, sta cercando uno spiraglio per portare avanti i negoziati puntando su questioni meno controverse, come ad esempio lo scambio di ostaggi con i prigionieri di sicurezza palestinesi. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)