“Speak no evil” – La recensione in anteprima
Quando si parla di Blumhouse e di remake il rischio di flop assoluto è inversamente proporzionale alla possibilità di capolavoro. Speak no evil è solo l’ultimo in ordine cronologico per la casa di produzione americana, che ha preso un piccolo capolavoro danese rielaborandolo e cucendolo addosso a James McAvoy. sarà Top o Flop?
Era il 2021 quando al Gothenburg Film Festival presentarono Speak no evil. Direttamente dalla Danimarca un horror psicologico tanto interessante quanto dalla storia travagliata, sia prima che dopo la sua uscita, tanto da non essere disponibile in nessuna piattaforma on line sul suolo italico al momento attuale.
Visto l’interesse che la pellicola ha suscitato tanto a Göteborg quanto, qualche mese più tardi, al Sundance Film Festival, poco ci è voluto per Blumhouse Production a capire che il film sarebbe potuto diventare un piccolo capolavoro e che il remake era più di una possibilità.
Il lungometraggio danese uscì a settembre 2022 tanto al cinema quanto sulle piattaforme prescelte e meno di un anno più tardi iniziarono le riprese del remake americano. Come il suo predecessore, ha subito delle riprese alquanto travagliate: se per la pellicola danese la causa fu il covid, per quella americana la colpa è stata dello sciopero degli sceneggiatori.
Siamo arrivati ad aprile 2024 e finalmente il primo trailer del remake americano viene pubblicato. Sia la critica che il pubblico hanno subito alzato le antenne sulla pellicola aumentandone l’interesse e, quando è stata posticipata l’uscita del film di quasi un mese, l’hype è aumentato ancora di più. Ci si è chiesti quanto Speak no evil potesse essere fedele all’originale o meno e quanto McAvoy potesse essere determinante nel suo successo.
Vicini non troppo amici
Immaginate di potervi finalmente rilassare nelle vostre vacanze estive. In una giornata di allegria e felicità Louise (Mackenzie Davis) e Ben Dalton (Scoot McNairy) conoscono Paddy (James McAvoy), sua moglie Ciara (Aisling Franciosi) e il loro figlio muto Ant (Dan Hough), un’allegra famiglia inglese che sin da subito si rivela amichevole e piacevole.
Alla fine della vacanza la domanda che potrebbe cambiare la vita di Louise e Ben per sempre: “volete passare un weekend a casa nostra?”. Il fascino di Paddy fa subito accettare la coppia che si pentirà amaramente della scelta di finire la loro vacanza in quell’adorabile cottage inglese.
Questo è solo l’incipit della pellicola che si appresta ad essere uno dei thriller psicologici del 2024, prendendo in mano il film originale di Christian Tafdrup e cercando di elevare l’idea iniziale senza stravolgerla, ma utilizzando tinte più tenui.
Per arrivare a questo la Blumhose Production ha voluto fare all-in con un mix tra una giovane promessa alla regia (James Thomas Watkins) con già tanti riconoscimenti e un attore affermato che ha già portato fama e gloria alla casa di produzione (James McAvoy).
Remake, ma con intelligenza
Prendere come spunto un film del nord Europa è sempre un azzardo, i ritmi e la sceneggiatura sono in antitesi con quanto è l’idea tipicamente americana di quello che dev’essere un blockbuster e utilizzare un film che, per quanto lento, è crudo nelle idee e nella realizzazione portano ulteriori problematiche.
James Watkins è riuscito ad elaborare una sceneggiatura che ha un crescendo utile ad aumentare la tensione nello spettatore, creando anche quel senso di disagio che non fa che farci immedesimare nello spettatore.
Non solo la sceneggiatura, anche la fotografia aumenta questo senso di disagio focalizzando lo sguardo dello spettatore sul protagonista assoluto del film: James McAvoy.
Per quanto la regia, la sceneggiatura e la fotografia si attestino su ottimi livelli, probabilmente il punto più alto di tutta la filmografia della Blumhouse (se la gioca ad armi pari con Split), è l’attore inglese a elevare la pellicola facendocene chiedere ancora.
Questo genere sembra ormai cucito addosso all’ex Charles Xavier che, svestito l’abito da supereroe, ha indossato quello del pazzo e gli viene benissimo. In Split si era vista un’interpretazione di altissimo spessore che in Speak no evil è ulteriormente amplificata rubando la scena a tutti gli altri personaggi e candidandosi all’interesse dell’Accademy per il 2025.
Ti entra nella testa
Siete appassionati di thriller psicologici, del sano orrore senza troppo sangue e di un film che vi entra nella testa lasciandovi il dubbio che magari può succedere anche a voi? Speak no evil è il film che fa per voi.
Non è il classico film horror da jump scare, ma il sapiente utilizzo di figure allegoriche e dei dettami della semiotica in un senso più aulico del termine creano la giusta tensione che vi terrà attaccati alla poltrona per l’ora e 50 minuti della pellicola.
Uno studio dei personaggi che fa tornare alla memoria un giovane Jack Nicholson con l’ascia in mano in un hotel di montagna; una regia che in film dello stesso genere difficilmente si vede e proietta il regista a confrontarsi al tavolo dei grandi, con la possibilità di vincere la mano a poker contro il maestro contemporaneo del genere: M. Night Shyamalan.
Il consiglio è di recuperare anche l’originale danese per poter confrontare le due versioni e apprezzare a pieno il lavoro svolto da Watkins e McAvoy, ma al tempo stesso per capire perché anche il film di Christian Tafdrup è diventato già un cult tra gli appassionati e non solo.
Buona visione
a cura di
Andrea Munaretto
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