Quattro chiacchiere con Edoardo Strano: dalla passione per la recitazione al set di “Those About to Die”

Quattro chiacchiere con Edoardo Strano: dalla passione per la recitazione al set di “Those About to Die”
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Edoardo Strano è un giovane attore siciliano che ha preso parte a diversi progetti importanti, come “Il traditore” di Marco Bellocchio, “Indiana Jones e il quadrante del destino” e “Those About to Die”, la nuova Serie Tv di Amazon Prime disponibile sulla piattaforma. Noi di “The Soundcheck” abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con lui e vi riportiamo l’intervista completa qui, in questo articolo! 

Ciao Edoardo, sono Maria Chiara Conforti, giornalista di The Soundcheck. È un piacere per me averti qui e ti ringrazio per il tuo tempo.
Inizio col chiederti da dove è nato il tuo amore per la Settima Arte. Nutrivi in te questa passione fin da piccolo, o è nata successivamente? 

Ciao Maria Chiara, grazie per la domanda. L’idea di veicolare le mie emozioni attraverso una forma d’arte è qualcosa di innato, che percepivo già da bambino. All’inizio, la mia prima forma di trasposizione artistica è stata la poesia. Fin da piccolo, infatti, ho cominciato a scrivere, esprimendo così la mia interiorità.

In seguito è sopraggiunta anche la volontà di tentare la strada della recitazione, nonostante non avessi idea di cosa volesse dire intraprendere questa professione. Sentivo però un istinto che mi spingeva a calcare la scena negli ambienti domestici e familiari insieme ad amici e a parenti, con l’intenzione di espormi e di esprimere parte di me. 

Durante le scuole medie ho avuto l’occasione di frequentare un corso di recitazione in un laboratorio indetto per noi ragazzi, grazie al quale mi sono approcciato per la prima volta all’arte performativa (e quindi anche alla Settima Arte). Ricordo che c’era un tutor con una macchina da presa, un oggetto che – agli occhi di un bambino di quell’età – sprigionava un fascino e un mistero quasi surreali. Ho sentito fin da subito un’attrazione per essa, nonostante si trattasse di una sensazione istintiva ed incosciente.

Qual è stato, invece, il tuo primo approccio professionale alla recitazione? 

Il mio primo approccio alla recitazione (in senso ampio) è avvenuto con uno spettacolo teatrale a Catania, dove ho interpretato Heinrich Heine, un grande poeta tedesco dell’800. Ho avuto quindi la fortuna di confrontarmi con un personaggio estremamente complesso, dal punto di vista interiore ed artistico. Heine era infatti considerato un poeta satanico con influenze esoteriche: si dice che avesse predetto la morte di Vincenzo Bellini e si collocava quindi fuori dal contesto dei salotti parigini ottocenteschi. È stata una grandissima occasione, perché mi sono trovato circondato da 64 componenti di un’orchestra musicale, tutti professionisti eccelsi. 

Il mio esordio sul grande schermo è invece decisamente più recente, risalente al 2019 con l’uscita de Il traditore di Marco Bellocchio

Com’è stato il passaggio dall’approccio teatrale a quello cinematografico?  

C’è sicuramente una differenza tecnica e di risultato tra i due. In realtà, all’inizio, quello teatrale ha portato con sé una maggior tensione, che percepivo forse di più perché era la mia prima esperienza nel settore. Sentivo il respiro palpitante del pubblico e la presenza di persone che mi scrutavano, concentrandosi su ogni mio minimo movimento. A teatro, infatti, tutto è più amplificato: riesci a cogliere perfino il sospiro dell’ultimo spettatore in fondo alla sala. 

Per quanto riguarda, invece, la mia esperienza sul set de Il Traditore, devo ammettere che non ho mai percepito tutta quest’ansia, poiché Bellocchio riesce a mettere a proprio agio gli attori e ama lavorare con loro. È un regista che utilizza diversi strumenti e dispone di una chiara visione d’insieme, ma dal mio punto di vista (e confermato anche da altri colleghi)adora particolarmente l’impiego degli attori: per questo motivo mi sono sentito completamente a mio agio sul set.

Il mio personaggio, al contrario, avverte una forte ansia, dovuta anche al fatto che, nella maggior parte delle sue scene, rischia di venir ucciso. 

Preferisci la recitazione teatrale o quella cinematografica? 

Questa domanda mi pone davanti ad un’indagine, che sto ancora effettuando. All’inizio tendevo a separare i due approcci, interpretandoli in modo molto diverso tra loro. Ultimamente invece (anche grazie alle mie esperienze) non noto un’eccessiva differenza. Ovviamente cambia la tecnica vocale e del corpo – che si muove in modo completamente diverso nello spazio, se collocato rispettivamente su un palcoscenico o su un set.

Il mio approccio, tuttavia, si basa sulla ricerca delle motivazioni profonde che spingono un personaggio verso una direzione rispetto ad un’altra, lavorando sul suo stato emotivo e sugli obiettivi a cui ambisce.

A teatro, ovviamente, la sensazione che provo è diversa – più magica! -, avendo a disposizione solo una possibilità effettiva e dovendo dare il tutto e per tutto in quell’unica occasione. In realtà, però, io mi spendo totalmente anche su un set, lavorando alle scene come se esistesse un unico ciak. Inoltre, quando ti trovi immerso in produzioni importanti, hai talmente tante persone attorno a te mentre reciti che gli operatori e il regista fungono da primo pubblico. Non c’è dunque una sostanziale differenza, anche se preferisco la recitazione cinematografica. Attraverso essa posso, infatti, variare maggiormente aspetto e voce, modulando quest’ultima in modi differenti. 

C’è un artista a cui ti ispiri particolarmente? 

Il mio attore preferito è Leonardo Di Caprio, che si avvale di un approccio immersivo nello studio del personaggio, perdendosi dentro di esso e alla sua psiche. Senza mai risparmiarsi.

Per me, infatti, il lavoro dell’attore dev’essere così: totalmente immersivo. In nome del pubblico, ma anche della troupe che ha scommesso totalmente su di te. 

Altro attore che amo è John Cazale, scomparso nel 1978. Un artista incredibile, in grado di lavorare per sottrazione, curando enormemente la mimica facciale e veicolando le emozioni in maniera efficace, con un solo cenno di sguardo o un minimo movimento. Cazale riusciva ad essere asciutto, sintetico ed essenziale, conferendo alla scena una carica emotiva senza eguali.

È uno dei più grandi. 
È stato uno dei più grandi per me, purtroppo. 

Dicci qualcosa di più sulla trama e sul tuo personaggio in “Those About to Die”, la nuova serie di Amazon Prime attualmente disponibile su Prime Video.

È una serie che sta facendo parlare di sé, attesissima ancora prima della messa in onda. Si sapeva che avrebbe riscosso successo, poiché mette in scena un argomento nuovo: essa tratta, infatti, dell’antica Roma plebea. Di quella parte della popolazione che risiedeva al margine della società, desiderosa di intraprendere una vera e propria scalata sociale. Con mezzi più o meno leciti. 

La serie si presenta piena zeppa di intrighi, trame e sottotrame, che si intrecciano tra i palazzi e le malfamate strade della Suburra. 

All’interno di questo contesto, Tenax (Iwan Rheon) vuole emergere a tutti i costi, e lo fa gestendo una taverna di scommesse sulle corse di cavalli e sulle lotte dei gladiatori. Egli sarà in grado di calamitare l’attenzione patrizia e del popolo – ma anche imperiale! – attorno alla sua figura. 

Vi aspettano complotti, corse di carri e di cavalli, scontri all’ultimo sangue, appassionanti storie d’amore… e molto altro! 

Per quanto riguarda il mio personaggio, si presenta da solo fin dalla sua prima apparizione. Egli appartiene alla Suburra e guarda dal basso verso l’alto i palazzi imperiali, senza coltivare alcuna ambizione di scalata sociale. È uno scagnozzo al servizio di Lucius: in una clip già rilasciata in anteprima assistiamo ad un vero e proprio scontro tra quest’ultimo e Tenax, in un momento di forte tensione. 

Ho cercato fin da subito di conferire un’identità, una fisicità, uno sguardo e un respiro particolare al mio personaggio. Un respiro quasi ansimante, quello di una persona che ha costantemente paura di subire un agguato, in una Roma caratterizzata dalla malavita e dalla lotta per la sopravvivenza. 

Ho svolto un lavoro di immedesimazione, cercando di figurarmi il mio personaggio come un animale ed identificandolo in un lupo, appartenente ad un branco. Il mio personaggio vive in questa forma di aggressività nei confronti di chi lo circonda, per poter sopravvivere giorno dopo giorno senza essere sopraffatto. In una condizione molto simile a quella dello stato di natura di Hobbes

Cos’hai provato a mettere in scena l’attacco al palazzo di Vespasiano e l’aggressione al personaggio di Cala? Eri in un particolare stato emotivo? 

Ho provato forti scosse di adrenalina, in linea con il compito assegnato al mio personaggio dal suo padrone. 
Quando recitiamo, infatti, abbiamo ovviamente delle linee guida da seguire, imposteci dalla sceneggiatura. Le parole sulla carta si trasformano in vere proprie scene – in vere e proprie immagini – che palpitano sullo schermo. 

Ma c’è anche un grosso lavoro di preparazione, attraverso la costruzione di una back story utile per raggiungere un certo sentimento e una determinata tensione emotiva, che traspare dallo schermo e va a colpire lo spettatore. 

In quelle particolari scene il mio personaggio è solo un esecutore che obbedisce al suo padrone, privo (o almeno così l’ho interpretato io) di quella cieca lealtà che lo porterebbe a sacrificarsi per lui. 

Parlando del casting, come sei stato scelto per questo ruolo? 

Ho avuto molta fortuna, perché non ho dovuto eseguire tre o quattro provini differenti prima di essere scelto.

A volte capita che, per una prima scrematura, venga richiesto l’invio di un video self tape al regista, che poi opta solo successivamente per ulteriori provini in presenza. 
Io ho avuto l’opportunità di eseguire un provino last minute, perché la mia agente mi ha chiamato un pomeriggio di inizio aprile comunicandomi che stavano cercando un attore per questo ruolo e che avremmo girato il mese stesso. 

Ho ricevuto così lo script, cercando di cogliere la storia e le dinamiche del personaggio. Improvvisando una voce, un respiro, un passo, una camminata: ho impostato un provino self tape di un minuto, inviandolo il giorno dopo. Nel giro di una settimana sono stato selezionato. 

Per altri progetti non è andata allo stesso modo: per Il traditore avevo fatto il provino nel gennaio di quell’anno, ricevendo risposta solo sei mesi più tardi. 

Com’è stato far parte di un cast così importante? Che bagaglio ti porti dietro, da questa esperienza? 

Dopo un primo momento di grande sorpresa e meraviglia, ho fatto i conti con la realtà: quando ti rechi sul set, infatti, non sei più un semplice fan di queste leggende. Sei un loro collega. 

Con Anthony Hopkins, in realtà, non ho avuto modo di lavorare, perché i nostri personaggi – provenienti da contesti totalmente diversi – non interagiscono mai nel corso della serie. Non l’ho incontrato nemmeno sul set, perché purtroppo non si è presentata l’occasione, anche se ho saputo da altri colleghi che hanno avuto il grandissimo onore di lavorare con lui che è una persona davvero umile e cordiale, oltre che un grandissimo artista. 

Lo stesso posso dire di Harrison Ford, un attore enorme che invece ho incontrato sul set di Indiana Jones e il quadrante del destino.  

Ho avuto però l’occasione di lavorare con due dei protagonisti di questa incredibile serie, Iwan Rheon e Sara Martins. E, quando hai questa possibilità, ti confronti veramente con attori enormi. Con coloro che conoscono interamente tutti gli aspetti di questo mestiere. È stato un privilegio che mi arricchito, portandomi a conoscere lati del mio lavoro che ignoravo e consentendomi di approfondirne altri, come la recitazione.

Quando sono sul set, infatti, mi reputo anche un po’ studente, poiché traggo numerosi spunti per migliorare, facendoli miei. Mi piace apprendere, imparare, cercare di trarre elementi preziosi che poi porto con me nel mio bagaglio, in vista dei prossimi progetti. 

Guardandoti invece indietro all’esperienza di “Indiana Jones e il quadrante del destino” di due anni fa, percepisci in te un’evoluzione, un cambiamento avvenuto col tempo? 

Ho maturato sicuramente un’esperienza e una consapevolezza diversa. 

Credo che lavorare in Indiana Jones sia il desiderio di qualunque attore. Un sogno nel cassetto che, ad un certo punto, è divenuto realtà. 

Se avessi chiesto all’Edoardo di 10 anni dove si sarebbe visto da adulto, credo che mai avrebbe osato rispondere: “Sogno di lavorare sul set di Indiana Jones, con Harrison Ford e anche di salvargli la vita” (ormai il film è uscito da parecchio tempo, posso rivelarlo!). 
Quando ho ricevuto la chiamata non mi sembrava davvero possibile!

Questa esperienza mi ha regalato un preziosissimo dono, che mi porto dentro: l’aver assistito dal vivo alle riprese di un’artista senza eguali, Phoebe Waller-Bridge. Già in tutti i suoi film emerge la sua incredibile bravura, ma vederla recitare davanti a me, in carne ed ossa, è stata un’occasione unica. Credo di non aver mai visto un’attrice così talentosa recitare dal vivo. 
È un artista che non si risparmia mai: ha ripetuto le stesse scene più volte,  mettendoci sempre la stessa energia, la stessa intensità, la stessa forza del primissimo take. 

“Those About to Die” è una serie in lingua inglese, perché pensata per un pubblico internazionale. Che cosa ne pensi del doppiaggio? Hai potuto confrontarti con questa esperienza, o il tuo personaggio è stato doppiato da un professionista del settore? 

Sono due lavori distinti e separati, nonostante il punto di partenza sia sempre lo stesso: la recitazione. Nel caso del doppiaggio, le emozioni umane sono veicolate attraverso l’utilizzo di un unico strumento, quello della voce. 

In questo caso, la scelta del linguaggio della serie è stata ovviamente commerciale. 
In Indiana Jones, ad esempio, nonostante il film fosse in inglese, il mio personaggio si esprimeva in dialetto dorico, seguendo una scelta filologica (mantenuta anche nelle versioni doppiate). Spesso, a causa di problemi tecnici, può accadere che un attore venga chiamato in sala di doppiaggio per fare alcune sessioni sulle proprie battute in lingua originale. Lì non è stato necessario, perché è stato mantenuto l’audio in presa diretta sul set. 

In Those About to Die, invece, non mi sono doppiato, lasciando il compito ad un professionista (cosa che preferisco). Sicuramente, però, rappresenta per me una sfida interessante, che affronterò col tempo. 

Nei primi episodi della serie è evidente come le alte cariche dell’antica Roma utilizzino alcuni espedienti per distrarre il popolo rivoltoso dalla mancanza di grano. Le corse con i carri e le lotte dei gladiatori hanno questo potere, intrattenendo e saziando la sete di sangue della plebe. Questo aspetto è ancora presente al giorno d’oggi secondo te? Esistono fonti di distrazione – mediatiche e non – utilizzate dalla classe politica per distrarre le masse da questioni più urgenti? 

Non sono una persona complottista, ma la distrazione e il diversivo sono sempre stati strumenti nelle mani dei potenti e di coloro che gestiscono la vita dei cittadini. Ciò al fine di veicolare la loro attenzione, indirizzandola verso alcune tematiche rispetto che ad altre, sicuramente molto più urgenti ed importanti. 

Leggevo qualche tempo fa di un pericolo dei nostri tempi che si prospetta sempre di più frequentemente: l’infodemia. Il rischio che, all’interno del sistema mediatico, alcune notizie prendano il sopravvento e vengano esasperate a discapito di altre. 

Pensi che il cinema rientri tra queste fonti di distrazione? 

Sicuramente anche il cinema e la sua disponibilità eccessiva potrebbero diventare quasi un fast-show, distraendo le persone da questioni più urgenti. I prodotti d’intrattenimento potrebbero rappresentare, quindi, una via di evasione, ma sono solo una delle componenti della Settima Arte.

Questo perché – come diceva Pascal parlando del divertissementl’uomo ricerca forme di distrazione che gli consentano di riempire le giornate, alleggerendole. Non avendo il coraggio di confrontarsi con se stesso. 

Esiste, però, anche un cinema civile che può non dico stravolgere, ma quantomeno influenzare la vita degli spettatori. Lasciando un’immagine, un suono, un’impressione nella mente del suo pubblico.
E – cosa più importante – uno stimolo alla riflessione. 

Ci sono film a cui, a distanza di anni, ancora penso. Come Parasite, pellicola del 2019
O altri più recenti, come Another End di Piero Messina, presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino di quest’anno. 

Parlando dei tuoi progetti futuri, puoi darci qualche piccola anticipazione?

Al momento non sono sul set e non sto lavorando ad alcun progetto nuovo, ma ho partecipato a provini molto importanti, che spero vadano in porto. 

Nell’ipotesi in cui venissi scelto, sarebbe infatti una bella sfida per me, perché avrei l’opportunità di confrontarmi con un personaggio totalmente diverso rispetto a tutti quelli da me interpretati fino ad ora. 

In futuro ti interesserebbe rivestire un altro ruolo all’interno di una produzione cinematografica? 

Mi affascina tantissimo la regia, ma non mi ci approccerei al momento, poiché guardo alla figura del regista con ammirazione, considerandolo un po’ un “essere speciale”, quasi sovrannaturale. Un demiurgo, che riesce a tirare fuori da un progetto la magia che poi vediamo sullo schermo. Non mi sentirei ancora all’altezza. 

Un altro ruolo estremamente affascinante – che mi interessa enormemente all’interno della produzione cinematografica – è sicuramente quello dello sceneggiatore. Mi vedrei benissimo in questo ruolo in futuro, anche perché, ogni volta che lavoro su un personaggio, riscrivo molto. Creando una vera e propria back story, scavando nella sua psiche ed inventando battute e dialoghi, che poi tengo per me come lavoro preliminare. 

Spesso creo anche monologhi, che a volte finiscono nel mio repertorio per un determinato provino, dove mi vengono richiesti.
La scrittura per me è fondamentale, ma parto sempre dal Cinema come componente del pubblico. 
Perché io sono un grandissimo spettatore, guardo tantissimi film. E dagli stimoli tratti dalla visione di queste opere viene fuori qualcosa, che poi prende forma ed è utile al mio lavoro di attore. 

a cura di
Maria Chiara Conforti

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Maria Chiara Conforti

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