Il Cinema Ritrovato, giorno 8 – l’incontro con Damien Chazelle

Il Cinema Ritrovato, giorno 8 – l’incontro con Damien Chazelle
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Ottavo giorno del Festival Il Cinema Ritrovato. Ieri, sabato 29 giugno, si è tenuto un incontro con un ospite d’eccezione: Damien Chazelle. Dopo il suo intervento, il regista si è recato in Piazza Maggiore per presentare “Les parapluies de Cherbourg”.

Sabato 29 giugno a Il Cinema Ritrovato si è tenuta l’ennesima giornata ricca di emozioni. Alle 19.00, dopo aver partecipato alla proiezione di Sorry, wrong number, film noir del 1948 di Anatole Litvak (sì, lo stesso regista conosciuto il primo giorno con The Amazing Dr. Clitterhouse), mi sono diretta al cinema Modernissimo per il pezzo forte della giornata. Sto parlando, ovviamente, dell’incontro con il regista Damien Chazelle (La La Land, Whiplash, Babylon). 

In un dialogo con Gian Luca Farinelli, il regista ha potuto ripercorrere per un’ora le tappe fondamentali della sua vita. Il pubblico presente in sala può ora affermare di conoscere meglio questa grande personalità. 

Dopo questa conversazione, abbiamo incontrato nuovamente il regista in Piazza Maggiore a presentare il suo film preferito, l’ispirazione per La La Land: Les parapluies de Cherbourg. Accanto a lui anche Rosalie Varda, la figlia di Jacques Demy e Agnès Varda

Chazelle e il cinema: la nascita di un amore

“I always wanted to make movies.”

Damien Chazelle

Questa è stata la prima risposta di Chazelle, quando gli è stato chiesto come sia iniziata la sua carriera da regista. Fin da bambino ha infatti sempre nutrito un grande amore per il cinema, prima di animazione (Peter Pan, Cenerentola) e, poi, per quello live action (i film di Hitchcock e Spielberg). 

A 13 anni, da giovanissimo, si è trasferito a Parigi con i genitori. Qui, per la prima volta, è entrato in contatto anche con i film del passato, che passava ore e ore a guardare nei cinema della capitale. Si potrebbe proprio affermare che, in realtà, abbia scoperto la città attraverso i suoi cinema. 

E, quando Farinelli gli ha domandato se ci andasse da solo o con gli amici, la sua risposta è diventata quasi un commento sul diventare adulti. Se, inizialmente, si trattava infatti di un’attività sociale, connessa all’andare al centro commerciale con altre persone, raggiunte le superiori qualcosa è cambiato. E, così, da adolescente Chazelle ha cominciato a godere di the solitude, the sort of private dream”, che rappresenta l’andare al cinema da soli. 

Questo, però, non è mai stato l’unico amore di Chazelle. Nel periodo delle superiori, infatti, al centro dei suoi pensieri c’era un’altra forma d’arte: la musica. 

L’interesse per la musica e il ritorno al cinema

La passione di Chazelle per la musica deve molto ad un suo insegnante delle superiori che, contro ogni previsione, riuscì a creare un programma di musica incredibile. A differenza degli altri, quest’uomo trattava tutti i ragazzi da adulti: suonare nella band della scuola era un vero e proprio lavoro e, in quanto tale, doveva essere rispettato. 

Questa importante lezione di vita ha portato il regista a capire che il suo approccio alla musica era di tipo nostalgico. Chazelle suonava la batteria guardando al passato e, in particolare, agli anni Trenta e Quaranta. Insomma, un po’ lo stesso processo di quando guardava i film vecchi a Parigi. 

Nonostante il forte interesse per la musica, all’università Chazelle torna al cinema. Ad influenzarlo particolarmente in questo periodo è un corso sul documentario, un’arte che presto diventa centrale per il suo modo di concepire la Settima Arte. Come ha ricordato lui stesso: “In the span of a few months, thanks to this professor, my eyes were completely opened”. 

Da un po’ di tempo Chazelle vive in Italia e, quindi, ha conosciuto anche un modo diverso di approcciarsi ai documentari. Ci ha tenuto, per esempio, a menzionare i lavori di Vittorio De Seta, il cui approccio è di puro naturalismo (entrare in una comunità e osservare quello che succede). 

Justin Hurwitz e gli esordi

All’università Chazelle non ha solo riscoperto il suo amore per il cinema, ma ha anche incontrato una persona fondamentale per la sua carriera: Justin Hurwitz.

I due si conobbero in un contesto artistico, dal momento che entrambi suonavano nella stessa band di studenti. Convinti che fosse un ambito senza particolari sbocchi, decisero presto di lasciare la band. Right after we went away, of course, they got a contract” ricorda Chazelle tra le risate generali. 

Ma i due amici non si persero d’animo e diventarono presto coinquilini. Immaginate questa scena: Chazelle seduto ad un tavolo a scrivere e, dall’altro lato della stanza, Hurwitz alla tastiera intento a comporre. Questa era la loro vita e, tutto sommato, sarebbe potuta essere anche quella di uno dei protagonisti dei loro film. 

Questa amicizia svolgerà poi un ruolo chiave nel momento in cui il regista si approccerà alla sua prima opera. L’idea era quella di combinare la visione artistica di Jacques Demy ad un approccio documentaristico. Il ruolo di Hurwitz in tutto questo? Scriverne la musica. La descrizione vi suona familiare? È normale. Dopotutto, si potrebbe tranquillamente affermare che il risultato di questa prima collaborazione sia stato la base per La La Land. 

Chazelle regista

Arrivati, infine, alla sua carriera attuale, Farinelli ha sostenuto che un grande talento di Chazelle sia il suo modo di dirigere gli attori. Ma, come ha precisato il regista, non c’è una formula segreta per farlo, perché “There is no rule, even about rehearsal”. Ogni attore è diverso e, di conseguenza, cambia il modo in cui li si guida. 

Prendiamo le prove di scena, per esempio. Attori come J.K Simmons, Ryan Gosling, Emma Stone e Brad Pitt non necessitano di provare interamente le scene. Al massimo, possono partecipare a workshop in preparazione al ruolo, ma sicuramente non seguono un approccio teatrale nelle prove. E poi, invece, ci sono attori come Diego Calva, che, all’epoca di Babylon, non aveva particolare esperienza, ragion per cui Chazelle ha provato l’intero film con lui nel retro del suo giardino. Ad interpretare tutti gli altri ruoli c’era la moglie del regista che, a quanto pare, sa fare un’ottima imitazione di Brad Pitt!

La regia, però, non è fatta solo di direzione e inquadrature, ma anche di ispirazione. E, così, in chiusura della conversazione, Farinelli ha fatto una domanda fatidica a Chazelle: “Ci sono delle influenze dal cinema italiano nei tuoi film?”, la risposta è stata “assolutamente sì.” Se La La Land traeva ispirazione da Les parapluies de Cherbourg e dal cinema francese, Babylon deriva invece dall’Italia e da La Dolce Vita di Fellini. In entrambi i casi viene raccontata la storia di una città che ha cercato di sostituire Dio con qualcos’altro e, in verità, “Nobody has told that kind of stories better than Fellini”. 

“Les parapluies de Cherbourg”, 1964 (91’)

Piazza Maggiore, ore 21.45. Rivediamo Chazelle in piazza a presentare Les parapluies de Cherbourg, il film del 1964 di Jacques Demy che ha fatto da copertina al festival quest’anno. Insieme a lui, oltre all’immancabile Farinelli, c’è Rosalie Varda, la figlia di Demy.

La pellicola era già stata restaurata dieci anni fa, ma il lavoro non era stato interamente convincente perché mancava una parte degli archivi sonori. Risolto il problema, ha avuto luogo il secondo restauro, decisamente più soddisfacente. 

Les parapluies de Cherbourg è un film che, dietro l’apparenza sgargiante, nasconde un animo profondamente malinconico. La storia è quella di due innamorati costretti dalla vita ad intraprendere strade separate (decisamente la fonte di ispirazione principale per La La Land). Eppure, nonostante il soggetto sia così triste, la messa in scena è piena di colori brillanti e musica incessante. Non uso questa descrizione a caso, perché la caratteristica principale della pellicola è quella di un musical in cui si canta sempre. Anzi, sono assenti i tipici numeri musicali del genere e, al loro posto, ci sono solo personaggi che cantano i loro dialoghi. 

Grande ammiratore del film, Chazelle ha voluto condividere con la Piazza la sua esperienza personale durante la prima visione di Les parapluies de Cherbourg. Il regista aveva 17 anni quando si è seduto davanti allo schermo e ha avviato questo musical atipico. Non essendo un amante del genere, inizialmente il canto costante lo aveva infastidito. E poi la magia del cinema ha avuto la meglio: “By the time the film ended I was in a place of emotion so overwhelming that I didn’t know what to do”. Credimi Damien, non sei l’unico. 

A domani con altre notizie da Il Cinema Ritrovato. 

a cura di
Claudia Camarda

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