“Stillness, stop: you have a right to remember”: guardare al passato con gli occhi di Any Other

“Stillness, stop: you have a right to remember”: guardare al passato con gli occhi di Any Other
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“Stillness, stop: you have a right to remember”, il nuovo album di Any Other, riconferma il sodalizio tra la 42 Records e l’artista, ma soprattutto la sua abilità nel rendere i suoi lavori tutt’altro che banali.

Any Other, anche questa volta, rimane fedele al proprio stile e agli elementi che compongono la sua firma, ma li rielabora ulteriormente. La sua scrittura è riconoscibile sin dalle prime note di ogni suo brano e l’accostamento del suo nome a quello di altri artisti, più che impossibile, risulterebbe inutile. Le influenze cantautorali e “indie-rock“ che accompagnano la sua discografia sono ben evidenti, ma i suoi arrangiamenti riportano una rara complessità che li rende unici.

Le sensazioni

“Stillness, stop: you have a right to remember”: mai titolo fu più azzeccato. Suoni, testi e temi sono complementari, si legano tra loro per presentare delle emozioni “ovattate” e già più o meno affrontate a livello personale. Sembra che tutte le tracce vogliano mantenere vivi degli episodi, ma con un certo distacco in grado di alleggerire le sensazioni violente provate quando i ricordi appartenevano al presente. Sembra che le melodie dolci e confortanti dicano: “è passato”, soffocando qualsiasi distorsione, qualsiasi urlo, qualsiasi cosa voglia rendere viva ancora una volta la debolezza del passato.

Il singolo “If I don’t care”, che ha anticipato l’uscita dell’album, conferma queste sensazioni: “You think that every tiny bit of Rotten luck carries some truth/And one day everything resolves/ And the day after makes you burn”. Un misto di strafottenza, rimuginio e analisi quasi fredde asciuga le lacrime. Infatti, è il pezzo che, più degli altri, appare senza freni. Lo “spiegone” rock del disco che rivela l’imprinting musicale e sentimentale di Any Other.

Il ricordo in musica

Tradotto in suono: una serie di pesi e contrappesi attraversa tutto l’album. Spesso, delle strutture frenetiche e “nervose” vengono stroncate dalla dolcezza di alcuni strumenti. È il caso dei fiati finali di “Stillness, stop” che interrompono la ripetitività della parte di piano o dei cori di “Second Thought” che sovrastano i synth. In altri pezzi, come “Zoe’s Seed” o “Extra Episode”, sono gli archi a giocare un ruolo decisivo.

Nel complesso, sono le sovrapposizioni e il dinamismo a rendere “Stillness, stop: you have a right to remember” un disco veramente speciale. L’alternarsi di melodie un po’ più allegre, quasi da musical, impulsi più acidi, strofe verbose e ritornelli distesi lo rende un lavoro particolare, ma non astruso. Adele ha alle spalle un percorso brillante, potrebbe adagiarsi sulle sue esperienze e attingere esclusivamente da queste ultime, ma pubblica un album “da cameretta”. Ha una competenza tecnica di un veterano all’ennesimo disco, ma l’originalità e la forza emotiva di un artista emergente che non vede l’ora di esprimere quello che prova. L’utilizzo di un proprio linguaggio, quello di una ventenne che non tenta di emulare dei colleghi, e il racconto del proprio vissuto la premiano.

a cura di
Lucia Tamburello

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