“La ricompensa del gatto”: una miaostosa mediocrità!

“La ricompensa del gatto”: una miaostosa mediocrità!
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La Ghibli possiede da sempre il cuore dei suoi spettatori per la sua cifra stilistica distintiva, con scenari idealizzati e personaggi accattivanti. Ma La ricompensa del gatto è davvero così originale?

Presentazione

Neko no ongaeshi è un’animazione di un’ora e un quarto prodotta nel 2002 a cura di Hiroyuki Morita per lo Studio Ghibli. In Italia è stato proiettato in anteprima nel 2005 durante il Film Future Festival, in lingua originale e con i sottotitoli. Soltanto nel 2016 compare sul grande schermo italiano a cura di Lucky Red. L’accoglienza è stata ottima: nel 2002 è stato il film con maggior numero di incassi in Giappone e sul noto sito di recensioni anglofono Rotten Tomatoes gode di un indice di gradimento del 90%.

Buona parte degli spettatori percepisce le differenti scelte di regia di Morita rispetto a quelle di Miyazaki ma generalmente l’opinione della critica resta favorevole, considerando che tra i due registi resta un rapporto di rispetto e omaggio reciproco.

Una trama incredibilmente stereotipata

Ciò che salva questa produzione dal cadere precipitosamente nel dimenticatoio e dallo scadere in una completa nullità è la scelta di “gattificare” il tutto. Infatti, la linea narrativa è una delle più sfruttate e comuni del genere romantico: la grazia e la bellezza di una donzella, unite alle sue buone azioni e gentil animo, la intrappolano in un matrimonio combinato con un principe.

Tuttavia, suddetto rampollo aristocratico, per quanto affezionato a lei, non la ama, in quanto ha perso la testa per una tanto umile quanto graziosa cameriera. Il re ovviamente non approva questa relazione e progetta congiure al limite della moralità pur di impedire il matrimonio tra suo figlio e una donna della servitù e tenere la gentile donzella a palazzo. Quest’ultima, dal canto suo, è innamorata di un misterioso e affascinante nobile, il quale non solo la ricambia, ma la salva anche con l’aiuto di validi (e talvolta discutibili) amici. 

Baron, il gatto di cui Haru si innamora
(Fonte: Google Images)
La scelta del regista

In parole povere, Morita ha preso una trama incredibilmente scontata e noiosa e ha pensato di riabilitarla agli occhi di tutti, permettendole di raccontare ancora qualcosa di nuovo attraverso uno degli animali preferiti dell’uomo: il gatto. Volendo essere completamente onesti, l’operazione non è del tutto fallita. Le battute e i giochi di parole sui felini risultano simpatici e la processione dell’Eccelso Re (che ha quel je-ne-sais-quoi di apparizione magica e tribale che ricorda la scena in cui Suliman invoca gli spiriti contro Howl ne Il Castello Errante di Howl) è quasi magnetica nella sua singolarità.

In generale, Morita riesce in quello che la critica ha motivo di credere fosse il suo obiettivo originale. Ha voluto reinterpretare un topos tragico-romantico sfruttatissimo con delicatezza (perché comunque i felini sono animali familiari a tutti gli spettatori), così da ottenere una forte sensazione straniante che fa apparire la trama come nuova.

La processione dell’Eccelso Re Gatto
(Fonte: Google Images)
Haru: una protagonista insopportabile

Il personaggio principale è una ragazzina delle superiori che, almeno all’inizio, si comporta come ci si aspetterebbe da un’adolescente. Quello, purtroppo, è forse l’unico momento in cui si può empatizzare ed identificarsi con lei. Per il resto, risulta molto difficile comprendere le sue azioni: non fa altro che fare scelte molto discutibili che la mettono inevitabilmente nei guai, piagnucolare (piuttosto fastidiosamente) a riguardo e restare in attesa di essere salvata da problemi che lei stessa ha creato. Ad esempio, quando entra nella Terra dei Gatti, ben due personaggi la mettono in guardia ma lei sceglie comunque di restare e farsi portare a palazzo, dove poi si lamenterà per tutto il tempo.

Qualcuno potrebbe argomentare in sua difesa che diverse eroine Ghibli, sulla scia delle principesse Disney, hanno questo atteggiamento da gattemorte in attesa del principe azzurro. Ma bisogna dire che Miyazaki, a differenza di Morita, ha ben difeso le sue principesse dall’inutilità totale. Fio, per esempio, in Porco Rosso, si è salvata da sola dai pirati ed anzi, è stata lei stessa ad imporre lo scontro finale tra protagonista e antagonista. In altre parole, Haru non ha motivo di essere così sostanzialmente passiva a tutto.

Haru entra stupita nell’Ufficio del Gatto
(Fonte: Google Images)
Traduzione, grafica e colonna sonora

Ad ogni modo, la vera rovina di questo lungometraggio è il comparto artistico. Una volta compresa la scelta di regia, non immediatamente chiara, di Morita e una volta superata l’insopportabilità della protagonista, l’ultimo colpo viene sferrato dalla traduzione italiana e la grafica. L’unico lato positivo è la colonna sonora che, anche se non è spettacolare, comunque resta orecchiabile.

La traduzione italiana è stata pessima al punto che forse ha indirettamente giovato. Ricordandosi che in Italia l’opera è arrivata nel 2016, non è accettabile sentire certi slang piuttosto antiquati come “tosto” per dire “fico”. In generale, il lessico ha una patina arcaizzante non richiesta che, se da un lato è giustificabile per alcuni personaggi per lo status nobile, dall’altro stona nella sua totalità. Ciò ha trasmesso un forte straniamento che forse ha aiutato gli sforzi di Morita nel raggiungere il suo scopo.


In questo film viene usata la tecnica animativa “a scatti”: si disegnano meno tavole intermedie di micromovimento e si fanno scorrere più velocemente per dare all’animazione un ritmo nervoso. Può piacere o meno ma è una scelta che diversi netizens hanno trovato immotivata. Il resto dei problemi può essere imputato al basso budget. Inoltre, bisogna ricordare che il film è uscito nel 2002 e che solo successivamente si sono fatti passi da gigante nel settore tecnologico.

Curiosità 

Il lungometraggio è da molti considerato una sottospecie di spin-off di un’altra celebre produzione Ghibli, I sospiri del mio cuore, dal momento che i personaggi di Baron e Muta vi compaiono con ruoli decisamente minori. Non è dato stabilire se questa definizione sia canonica o meno, anche perché in più di un’occasione i fan hanno potuto notare le citazioni e i rimandi tra i vari film che rendono l’universo Ghibli unico e continuo. Se si volesse dar retta a questa linea di pensiero allora La ricompensa del gatto sarebbe spin-off di ancora un altro capolavoro, perché sicuramente tra tutti quei felini ci sarebbe anche Jiji, il gatto di Kiki – Consegne a domicilio!

Conclusioni

Quest’opera non è così male come un qualsiasi critico sarebbe spinto a definirla dopo una prima visione. Senz’altro la trama non è nulla di nuovo e il comparto artistico lascia parecchio a desiderare, ma tutto sommato Morita ha fatto un lavoro accettabile. Sicuramente non ha retto il confronto con Miyazaki ma l’idea di base è buona. Se solo gli avessero lasciato i fondi (e la fiducia!) necessari… La ricompensa del gatto se la cava con un 7/10. È un modo piacevole di trascorrere un’ora e un quarto, ma nulla di speciale.

a cura di
Adelaide Gotti

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Adelaide Gotti

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