Intervista ad Edoardo Gastaldi: esplorando la musica e le emozioni

Intervista ad Edoardo Gastaldi: esplorando la musica e le emozioni
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Oggi vi invitiamo a conoscere Edoardo Gastaldi, un musicista straordinario. In questa intervista con l’artista, esploreremo la sua musica, le emozioni dietro le sue composizioni e le sfide affrontate nella sua carriera.

Scoprite insieme a noi il mondo di Edoardo Gastaldi e la sua ispirazione musicale!

Grazie, Edoardo, per essere qui con noi. Scendiamo nei dettagli della tua musica e della tua carriera. Il tuo nuovo brano, “I Am Here and You Are Mine“, è un’esperienza sonora toccante e autentica. Quali emozioni o sensazioni desideri che gli ascoltatori provino mentre ascoltano questa composizione?

È una domanda interessante. Desidero che gli ascoltatori si sentano liberi di interpretare il brano a loro modo. Il senso superiore dell’arte è la creazione fine a sé stessa. Tutto il resto, tutte le interpretazioni, i sentimenti che scaturiscono da un ascolto, o dalla visione di un quadro, sono il risultato del processo interattivo tra opera, autore, e fruitore. Mi piacerebbe che l’ascoltatore si prendesse del tempo per assaporare il brano, e trarne infine conclusioni personali.

La tua passione per il pianoforte è evidente nelle tue composizioni. Puoi condividere con noi come hai sviluppato questa passione e cosa ti affascina di più in questo strumento?

Questa passione è nata da sé, pian piano, nel corso del tempo. All’età di circa 16 anni ho iniziato a studiare pianoforte e teoria musicale in una scuola di musica (Il Pentagramma). Dopo diversi anni, solamente nel 2021, ho cominciato a scrivere e pubblicare brani originali. La cosa che mi piace di più in assoluto del pianoforte, è che si tratta di uno strumento molto versatile. Permette di esprimere qualsiasi tipo di emozione attraverso l’intensità con cui lo si suona, le pause, l’ambiente, i martelletti. È una esperienza completa, non è solamente uno strumento. Ogni tanto suono dei brani che ho dedicato – o che dedicherò a persone… Mi immergo. E quando riemergo mi sento carico di una energia diversa. Come se avessi appena portato a termine un compito. Una missione. Mi sento come se la mia esistenza avesse un senso, un senso nuovo. “Suonare è come sprofondare nel tempo lasciato” … (Riccardo Roveda).

I tuoi brani sono conosciuti per catturare l’essenza delle emozioni umane. Qual è il processo creativo dietro alla tua capacità di tradurre emozioni in melodie avvincenti?

Innanzitutto, grazie infinite per aver attribuito alla mia musica l’abilità di catturare l’essenza delle emozioni umane. È certamente uno dei complimenti più belli che io abbia mai ricevuto. Il processo creativo dietro la mia musica è alquanto interessante, soprattutto perché in parte è ignoto persino a me. Tendenzialmente, credo tutto parta dall’esperienza passata, o dal desiderio di quella futura. Da una persona, da una immagine, da un pensiero, da un profumo. “L’odore di asfalto nella strada verso casa” … (Marko Zoric). Quindi mi fisso su questi dettagli, su uno di essi, e lo trasformo in musica. Per un po’ di tempo, quel dettaglio diventa totalizzante, mi assorbe, ed io mi rendo vulnerabile. E dunque creo. Recentemente un caro collega ed amico di nome Jean Belanger, mi ha proposto una visione ancora alternativa, che tengo a proporre, perché potrebbe essere vera. Gli stavo facendo ascoltare un brano che avevo dedicato ad una persona, e Jean mi ha detto: “So, perhaps it was a song written for her even before you knew it was. You then shaped it and all the pieces of the puzzle fell into place. Maybe the song is what brought her to you. Out there, it was the song that announced her coming.” (Traduco: Forse era un brano scritto per lei, ancor prima che tu sapessi che lo fosse. Poi l’hai modellato, e tutti i pezzi del puzzle sono andati al loro posto. Forse la musica è ciò che l’ha portata da te. Là fuori, è stata la tua composizione ad annunciare il suo arrivo nella tua vita). È stato un pensiero meraviglioso, e non nego di essermi commosso mentre Jean me lo esponeva.

Hai menzionato che “I Am Here and You Are Mine” è ispirato a un momento cruciale della tua vita. Come influisce la tua esperienza personale sulla tua musica e come trovi l’equilibrio tra la tua vita privata e la tua carriera musicale?

L’equilibrio non esiste, lo si cerca, ma non lo si raggiunge. Piuttosto, si tratta di un continuo dinamismo tra vita, musica, persone, società, benessere. A volte mi perdo nelle mie esperienze e nella creazione, nella fissazione di un momento. E nel mentre il mondo scorre e va avanti senza di me. Ed io mi sento in difetto. Poi torno nel mondo, mi metto in gioco, riesco in ciò che voglio, ma poi sento un richiamo, qualcosa che vuole nuovamente essere salvato, qualche momento che vuole giustizia, che vuole essere trasformato in musica. Così torno, torno a creare. Ed in tutto questo processo, spesso mi sento con i piedi che non toccano terra. A volte capita che torno in superficie, e mi viene male allo stomaco. È un sentimento naturale, mi sembra di essere su una dimensione diversa. Una volta parlavo con una persona. Ricordo che gli dissi: “Noi che creiamo, non è un po’ come se fossimo Dio, vero? Ma al contempo, siamo negli abissi, siamo su un altro livello, ma non è detto che sia un livello superiore. Gli altri vivono la loro vita, mentre noi scriviamo di loro. Muoviamo i fili del destino, anzi, li guardiamo, e li dipingiamo. Facendo così perdiamo un po’ di noi, ma allo stesso tempo lasciamo qualcosa di noi. Al mondo, ed agli occhi delle persone che amiamo.” Forse l’arte è un modo alternativo per cercare amore, per cercare pace. In tutto questo processo, che mi fa spesso e volentieri perdere il senso del tempo, apprezzo le persone che rimangono, che mi guardano negli occhi credendo in me, che mi regalano le forme delle nuvole, che mi regalano notti di contemplazione, ad ascoltare le storie della nebbia che viene dal mare.

La tua composizione è una risposta artistica a un brano di Eric, noto come “The Broken Cradle”. Puoi raccontarci di più su questa connessione e su come hai deciso di reinterpretare il suo lavoro?

In realtà, non è una reinterpretazione. Il mio brano è interamente originale. L’unico spunto tratto dalla sua opera è il titolo! Il suo brano è noto come “You Are Here and I Am Yours”. Al tempo, avevo terminato il mio brano e cercavo un titolo adatto. Ho ascoltato il suo brano e subito nella mia mente è sorto un collegamento. Ho utilizzato lo stesso tipo di concetto, ma invertendo i ruoli: “I Am Here and You Are Mine” (Grazie Eric).

Oltre al pianoforte, ci sono altri strumenti o influenze musicali che ritieni abbiano contribuito alla tua evoluzione come musicista e compositore?

Altri strumenti, no. Altre influenze musicali, certamente. Alcune tra le influenze in assoluto maggiori, più che artisti, sono brani. Brani che mi trasportano in mondi dove tutto ha un senso superiore, dove dopo uno sguardo ed un respiro profondo potrei dire addio a tutto senza avere rimpianto. Cerco di vivere la vita allo stesso modo, di dare ad ogni istante un valore estremo, spesso eccessivo. Arrivati a questo punto, si è quello che si è.

Ecco alcuni brani che mi emozionano ogni volta che li ascolto:

Pioneers“, Philip Daniel

When Meadows Move Like Oceans“, Philip Daniel

Forgotten Mistakes“, Riccardo Roveda

Untitled #3“, Sigur Rós

Mono No Aware“, Hammock

Burial on the Presidio Banks“, This Will Destroy You

L’arte e la musica spesso si intrecciano. Hai mai considerato di esplorare altre forme d’arte, come la pittura o la scrittura, per esprimere le tue emozioni in modo diverso?

Già scrivo, molto spesso. Non pubblico altrettanto spesso poiché la ritengo una forma ancora molto grezza. A gran parte dei miei brani ho associato poesie, pensieri, paragrafi.

Hai menzionato che “I Am Here and You Are Mine” è disponibile su piattaforme di streaming musicale. Come pensi che la tecnologia abbia influenzato la distribuzione e la fruizione della musica oggi?

Penso che l’influenza della tecnologia sia stata radicale. Purtroppo, non ho avuto modo di vedere l’altra faccia della medaglia, sono troppo giovane. Tuttavia, molte persone mi raccontano di come decenni fa le esperienze musicali erano più sentite, più vere. Più significative. Uno dei motivi per cui esaspero alcuni concetti nella mia musica e cerco di rendere ogni cosa densa di significato, è la ricerca di dare un nuovo valore alla musica contemporanea. Che possa essere parte integrante delle vite delle persone.

Quali sono le sfide più grandi che hai affrontato nel tuo percorso musicale e come le hai superate?

In tutta onestà, la musica è una passione. E non vi è alcuna sfida. Sono contento di ciò che ho, potrei ambire a maggiori conoscenze, maggiori contatti, maggior visibilità, maggior riscontro. Ma la verità è che tutto questo non è di mio interesse. Spesso i brani che scrivo sono dedicati ad una sola persona, ad un solo evento, ad una sola storia. Ed il cerchio si chiude quando pubblico il brano, quando rendo noti i miei sentimenti. Tutto ciò che viene dopo, o prima, è un regalo.

In questo contesto, il “superare” queste sfide, consiste solamente nell’avere il coraggio di esprimermi, di dedicare, e di non aspettarmi le risposte che vorrei. Perché la musica è creazione, non retribuzione.

Infine, per chi sta iniziando una carriera nella musica o nella composizione, hai qualche consiglio o lezione che vorresti condividere sulla base delle tue esperienze?

Iniziate solamente se è una passione, un fuoco che sentite dentro. Deve essere un richiamo più forte di voi. Altrimenti finirete per scrivere i pensieri di altre persone, guidati dal riscontro che avrete o non avrete. La musica è espressione di sé, e la cosa peggiore è non essere trasparenti con noi stessi. Grazie infinite per avermi dedicato questo spazio, ed il vostro tempo.

Grazie ancora, Edoardo Gastaldi, per la tua generosa condivisione di esperienze e conoscenze. Siamo certi che la tua musica continuerà ad ispirare e commuovere molti.

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