Sport e abusi: la vicenda delle ginnaste italiane
Le recenti denunce rivolte ai vertici dello sport italiano da parte delle Farfalle, le ragazze che compongono la nostra nazionale di ginnastica ritmica, riporta in luce una dinamica di abusi psicologici ben radicata nel panorama dell’agonismo. Rimane solo da chiedersi quanto la ricerca del successo sia capace di ledere la passione per lo sport.
La vicenda di Desio è forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso del silenzio che staziona ben mimetizzato sul mondo dello sport in Italia.
La remissiva risposta delle autorità, momentaneamente impegnate a condannare la questione ma con tempi e modalità di discutibile qualità, ha un sapore agrodolce quanto di realtà. Questo mette in luce la mentalità omertosa che ai vertici istituzionali ancora aleggia come uno spettro invisibile quanto potente.
Si entra cosi in una capsula del tempo che ha sapore di dopo guerra, nutrito dal più classico “bastone/carota” che ha condizionato nel peggiore dei modi la divisione sessuale. Le donne sono state trattate come un surrogato del desiderio, manipolato dal gene etichettato con supposizione e ignoranza “dominante”.
La forza della frustrazione mescolata a una psicologia turbata. Ciò mette in luce un gioco di specchi che ha sancito un monopolio non tanto sportivo, ma mentale, sfociante nel grottesco.
Una riflessione
Lo stupro psicologico nei confronti delle ragazze di Desio vale come quello fisico, partendo dal presupposto che semplicemente di violenza si parla.
E lo scempio si diffonde su larga scala. Lo sfregio della supposizione e della mania di controllo finalizzata a un mero tornaconto personale tocca la pelle nuda dello sport in maniera capillare.
Sebbene sia bene analizzare questa drammatica vicenda sviscerandola singolarmente, nella testa di ogni cittadino che meriti di essere nominato tale si è impresso un tarlo che fa pensare a una involuzione della specie ancora peggiore. La branca della ginnastica ritmica ridotta ad un lager moderno è solo la punta dell’iceberg: sotto giacciono molte più vittime di quel che si possa immaginare.
Togliere la magia a un’attività sportiva significa togliere la fiducia al proprio modo di affrontare una passione e indurre un essere umano a non piacersi. La morte dell’accettazione nella sua forma più vigliacca.
Si assiste alla profanazione di una passione, quella passione che dovrebbe essere il trampolino di lancio per spedire verso le stelle i sogni. Rimane solo il paradosso dell’arrivismo e del terrore delle giovani menti.
L’estrema maturità e consapevolezza mostrata dai più giovani ha portato alcuni addetti ai lavori ad approfittare di ragazzi e ragazze inermi, trasformandoli in puri strumenti di raggiungimento della fama. Lo sport è stato permeato dalle logiche del successo, trasformandosi in un carrozzone di falsi perbenismi atti a coprire un sistema malato. O ti attieni alla ‘’dottrina del migliore’’, o sei fuori.
La cosa che più ferisce, davanti a questa storia dalle dinamiche purtroppo già viste in precedenza, è la consapevolezza della profondità con cui questa patologia ha infettato il mondo dello sport. Giovani atlete dalla capacità sportiva inevitabilmente compromessa, vittime fisiche e psicologiche di un sistema fallato e fallimentare.
Le cicatrici inflitte e il loro insanabile dolore permanente si abbracciano a quella che per tanti anni è stata una scandalosa normalità.
a cura di
Vasco Bartowski e Giulia Sala
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