Da Vietnam a Born in the U.S.A: l’inno di Bruce Springsteen contro l’America

Da Vietnam a Born in the U.S.A: l’inno di Bruce Springsteen contro l’America
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Anni ’80. Il pensiero corre inevitabilmente oltre oceano, alla bandiera stelle e strisce. Non solo la fine della guerra fredda, il presidente Reagan ma a questo si aggiunge un contributo perfetto attraverso uno degli album e canzone, più famosi della storia della musica.

«Ci siamo seduti sul mio banco mixer bevendo spremuta di arancia freschissima, e abbiamo ascoltato “Born in the U.S.A” almeno 20 volte» ricorda Weinberg. «Non me lo dimenticherò mai, perché sono passato da “Potevo perdere il lavoro per via di questo pezzo” a Bruce che invece mi ha detto: “La batteria in questa canzone è importante quanto la voce. Perché suona come il caos e i bombardamenti. E tu hai illustrato perfettamente ciò che avevo in mente per il brano.”»

Il 30 ottobre 1984 esce “Born in the U.S.A” che è da considerarsi , come spesso accade, una delle canzoni più fraintese di sempre. La maggior parte della gente pensa sia un INNO patriottico sull’orgoglio americano, l’American Dream, in realtà è un  inno ma che getta uno sguardo critico su come l’America si è posta nei confronti dei suoi veterani di ritorno dal Vietnam . Si tratta di un commento piuttosto ironico che denuncia l’ipocrisia del patriottismo. Secondo Springsteen è uno dei suo brani più riusciti, una delle sue migliori canzoni e per questo l ‘ha sempre infastidito l’attribuire alla canzone un significato superficiale.

18 milioni di copie vendute sono il risultato. Il singolo raggiunse rapidamente il 9 posto delle classifiche americane, il 5 di quelle inglesi ed entrò nella top 10 di diversi paesi tanto da essere inserita al 275 posto nella lista delle migliori 500 canzoni stilata dalla rivista ROLLING STONE.

E’ il 1981 l’anno dell’inizio della storia di questa canzone. Il regista PAUL SCHRADER manda a Springsteen la sceneggiatura di un film a cui sta lavorando, perché scriva la colonna sonora.

La storia ha come protagonisti due fratelli, entrambi musicisti in una band, con dei problemi legati al loro rapporto con la madre (una donna profondamente religiosa) e si prende in considerazione l’idea di inserire anche il Boss nel cast. Il film avrà come probabile titolo (non a caso) “ Born in the U.S.A”. Bruce ha già pronta qualche canzone e una di queste si intitola “ VIETNAM”, ma il titolo proposto dal regista Schrader gli piace cosi tanto che decide di usarlo per la nuova canzone.

A proposito del film, uscirà nel 1985 con protagonista Micheal J. Fox e Joan Jett con un titolo nuovo e diverso “Light Of Day” (La luce del giorno) preso da un’altra canzone fornita dal Boss. Il titolo precedentemente pensato era ormai troppo e solo legato al disco! 

La prima versione del brano è solo acustica, voce e chitarra di Springsteen ed è stata registrata nel gennaio 1982 in New Jersey ( Colts Neck) nella lunga sessione di registrazione inerente all’album “NEBRASKA”. D’altra parte, il produttore JON LANDAU boccia – inizialmente – la canzone perché la  melodia e il testo non hanno la giusta combinazione tra loro e dunque poco adatta al materiale e allo stile di “Nebraska”, cosi la canzone viene messa da parte.

Springsteen riapre quel cassetto chiuso un paio di mesi più tardi, riprende la canzone e la rivitalizza con una diversa melodia e un nuovo arrangiamento. Durante una pausa, alcuni membri della E Street Band tornano in studio e riprendono a suonare ed improvvisare il sound della canzone che poco a poco assume (sempre di più) quello che conosciamo oggi: dal riff di sintetizzatore in apertura di Roy Bittan  fino all’ esplosiva batteria di Max Weinberg , passando per la parte cantata dal Boss. Il risultato è cosi buono che decidono di registrarlo una volta e poi una seconda volta ancora che sarà quella che finirà sul disco, in vinile e anche CD. (Born in the U.S.A è anche il primo CD ad essere stampato negli Stati Uniti, dalla CBS RECORDS nel 1984).

“ Stavo ascoltando intensamente il testo per capire di che diamine parlasse la canzone. Quando ho capito di cosa parlava, ho provato a costruire un suono strano e sintetizzato che ricordasse il sud est asiatico. E, ci ho suonato il riff sopra.” Così Bittan a proposito della melodia di  Born in the U.S.A Da li, con Max Weinbrg e il suo rullante a tempo, Danny Federici al piano, Steven Van Zandts alla chitarra acustica è stata registrata la versione definitiva di una canzone destinata a diventare un inno della storia della musica e del rock.

Springsteen sapeva che lui e la band avevano appena firmato uno dei loro più grandi successi, anche se il resto del mondo non l’avrebbe sentito che due anni più tardi.

Sono passati 35 anni dall’ uscita di questo capolavoro, simbolo e grido di rabbia che rimanda al cittadino americano comune, reduce dalle difficoltà della vita , dalla guerra. Il soldato fa ritorno nella sua patria, dalla guerra del Vietnam, ma non è più lo stesso. Non ha un lavoro, ha perso un caro amico e si ritrova senza più nulla nonostante avesse combattuto per il proprio paese. Anche il videoclip della canzone vede uno Springsteen che ricorda un Rambo armato di chitarra o un Rocky che urla a pieni polmoni la disgrazia di essere “nato negli U.S.A” e quella voce rauca cosi potente sottolinea come quel famoso “ American Dream” (cantato quasi 10 anni prima in Born To Run) era ed è solo un’illusione. Quella generazione “nata per correre” si ritrova sconfitta.

Come back home to the refinery

Hiring man says “Son if it was up to me”

Went down to see my V.A. man

He said “Son, don’t you understand”

I had a brother at Khe Sahn fighting off the Viet Cong

They’re still there, he’s all gone

He had a woman he loved in Saigon

I got a picture of him in her arms now

Down in the shadow of the penitentiary

Out by the gas fires of the refinery

I’m ten years burning down the road

Nowhere to run ain’t got nowhere to go

L’intero album di Born in the U.S.A ha venduto nel mondo oltre 30 milioni di copie e soprattutto ha definito per sempre un’era, il rock degli anni ’80. In questo modo, lo spaccato d’America raccontato attraverso la poetica dei 12 brani del disco (compresa l’omonima title track ) può resistere al passare inesorabile del tempo, rimanendo sempre attuale e IMMORTALE.

Questa è la forza dell’album, della canzone  e del suo artista: l’onestà e l’alternarsi di questo ottimismo senza freni da una parte e dall’ altra la sensazione come detto dallo stesso Springsteen di  “sentirsi ammanettati al paraurti di una Ford della polizia.”

God Bless You, BOSS!

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