Postino: le sue lettere d’amore e la sua empatia
E’ una calda giornata di luglio e siamo all’Indimenticabile Festival di Bologna. Tra i vari artisti che si esibiranno sul maestoso palco dell’Arena Parco Nord c’è anche Postino, un giovane artista emergente che ho avuto modo di conoscere un anno fa grazie alla playlist Viral 50 su Spotify, perché in realtà il percorso artistico di questo ragazzo dal simpatico accento toscano è iniziato proprio da lì, con il lancio del suo primo singolo Blu che nel giro di pochi giorni è finito dritto in cima alle classifiche dei brani più ascoltati, anticipando l’uscita di Latte di Soia, il suo fortunatissimo disco d’esordio.
Quello che traspare dalle sue canzoni è un’indiscussa sensibilità e voglia di raccontare la verità attraverso parole spesso malinconiche e allo stesso tempo allineate in maniera così perfetta ed intensa da far venir voglia di fermarsi un po’ di più su tutto ciò che nella vita di tutti i giorni scorre veloce, su tutte quelle sensazioni legate ai sentimenti che necessitano di attenzione, necessitano di essere esternate e condivise.
Ecco, nel caso in cui a qualcuno manchino le parole, ci pensa Postino a scrivere e cantare per dare sollievo a tutti quei cuori un po’ guasti, ad accarezzare tutte quelle paure legate all’amore e a tutto ciò che gli ruota intorno. E’ una sorta di selezionatore di frasi giuste al momento giusto, snocciola perle che potrebbero servire a chiunque, perché tutti in qualche modo potremmo essere i protagonisti di uno dei suoi brani.
La sua storia è una di quelle storie che meritano di essere raccontate, perché dietro il nome d’arte Postino c’è Samuele con la sua Laurea in Medicina, la sua semplicità, la sua passione per la scrittura come auto- terapia, il suo amore per Dostoevskij, la sua voglia di raccontare in maniera limpida tutto ciò che in qualche modo tocca la sua anima e che inevitabilmente poi tocca anche chi si abbandona completamente all’ascolto della sua musica.
Ma è stato proprio lui a raccontarmi meglio qualcosa in più…
Partiamo dall’inizio, da come Samuele ad un certo punto diventa “Postino” portatore di stati d’animo, perché effettivamente le tue canzoni sono lettere, com’è nato tutto questo?
È un soprannome che mi sono dato da solo ai tempi di MSN quando ho creato il mio indirizzo di posta elettronica samueleilpostino@hotmail.it e da quel giorno per i miei amici sono diventato Postino, poi quando ho deciso di iniziare il mio progetto musicale è stato inevitabile pensare a questo nome. Come artista invece credo di esser nato quando ad 8 anni mia madre decise che avrei dovuto imparare a suonare la chitarra. E’ stato durante gli anni delle superiori che ho iniziato a scrivere le prime canzoni in cameretta senza farle mai ascoltare a nessuno e ho continuato così per tutti gli anni delle superiori e quelli dell’università. Due anni fa mi sono laureato e i miei amici mi hanno spronato a fare un disco con tutte quelle canzoni, giusto qualche copia da regalare. Così ho iniziato ad informarmi sui costi per fare un disco chitarra e voce con un’etichetta a cui ho mandato i brani che dopo aver ascoltato i brani mi hanno proposto un progetto serio e non solo quello delle 30 copie da regalare ai miei amici. Così essendomi appena laureato e avendo tempo libero abbiamo iniziato seriamente a creare il progetto Postino, abbiamo messo online su Spotify il primo brano senza nessuna aspettativa e nessuno che mi seguiva ed è subito entrato in classifica da li sono iniziate le richieste per i live ed è arrivato Leonardo Giacomelli a proporsi come manager della situazione e il tutto mi è esploso tra le mani è una cosa in cui mi ci sono ritrovato e nell’arco di un anno ho calcato palchi enormi. Ero anche un po’ spaventato perché c’è gente che per fare questo mestiere fa anni di gavetta, quindi non mi rendo neanche bene conto so che un po’ mi pesa, perché non è quello che voglio fare nella vita nel senso che ora sono entrato anche nella scuola di specializzazione di psichiatria, ho investito 10 anni di studio in questo ed è anche quello che amo fare e non è una strada che posso abbandonare.
E’ nato tutto quasi per gioco, ma il riscontro è nettamente positivo, le persone amano quello che fai e il modo che hai di raccontarti. E’ stato davvero un sogno realizzato per caso o una parte di te ci ha sempre creduto?
Una volta una mia ex mi regalò una lettera di Jhon Lennon dove lui diceva di esser partito per gioco e fu proprio una sua fidanzata a far ascoltare il suo primo brano e quando ripenso a tutto questo, ripenso soprattutto a quel giorno. Lei è stata lungimirante, io avevo solo 18 anni allora. Lo studio mi ha totalizzato la vita, poi quando andavo a letto prima di dormire mi facevo questo filmino mentale ma è una cosa che non ho mai concretizzato perché studiavo medicina con passione e scrivevo dopo una giornata di studio, per un mio bisogno di sfogarmi. Prendevo la chitarra e scrivevo brani senza inventare niente, tutto quello che ho messo nel disco son pezzi di vita che ho vissuto. Quando ho visto che il progetto stava prendendo campo e c’era un pubblico che cresceva mi sono iscritto a scuola di canto e ho messo in pausa la facoltà per dedicarmi a tutto questo. Un po’ è capitato per caso ma è anche frutto di tanta dedizione e prove, anche per vincere la timidezza di affrontare un palco del genere come questo dell’Indimenticabile Festiva. Sono un perfezionista che non fa cose a caso e ad ogni modo in tutto quello che faccio ci metto sempre tutto me stesso.
Com’è stato e com’è sapere che le tue sensazioni messe nero su bianco per un tuo bisogno personale, in realtà rispecchino e appartengano a migliaia di persone? Senti addosso una sorta di responsabilità?
Quando sono usciti i miei singoli come “Blu” e “Ambra” e ho visto che le persone iniziavano a scrivermi messaggi su Instagram prevalentemente per raccontarmi le loro storie legate alle mie canzoni ed è quello che mi fa più piacere, visto che non lo faccio per i soldi o per la fama ma per una mia esigenza interiore. E’ destabilizzante perché sento il peso della responsabilità, perché le persone si confidano con me raccontandomi storie personali che ho letto e alla fine diventano anche un po’ tue. Non pensavo che tutto ciò che avevo scritto nella mia cameretta per esorcizzare un momento mio di dolore personale poi fosse un dolore “condiviso”. Ai miei concerti c’è un’empatia devastante. Io quando salgo sul palco sento sempre i brividi e le farfalle nello stomaco perché le persone che mi cantano davanti, che magari piangono e tu sei lì e senti che le emozioni nell’aria sono vere, non c’è niente di costruito e questo è quello che mi fa piacere. Non è stato facile imparare a gestire questa “botta emotiva” perché inizialmente dimenticavo i testi per la troppa emozione, mi sentivo come un bimbo che scopre il mondo per la prima volta. E’ bello sentirsi dire grazie da chi mi ascolta.
C’è un confine tra Samuele e Postino?
Non c’è un confine tra Samuele e Postino perché Postino non è un personaggio costruito, è un personaggio che rispecchia ciò che sono io. Ho imparato ad indossare questa sorta di maschera di Postino quando salgo sul palco per fare cose che nella vita di tutti i giorni non riuscirei mai a fare perché sono molto introverso e timido. Riuscire a passeggiare per un palco e cantare in faccia alle persone con energia io lo faccio perché quello è Postino, per fare un live mi costruisco questa maschera che in realtà non regge molto perché quando canto le mie canzoni io rivivo tutti quei momenti e sono lì con anima e cuore.
“Latte di soia” è un concentrato d’amore con le sue infinite sfaccettature, parola che non solo muove il mondo ma muove anche la tua penna ed è una cosa che traspare e arriva in maniera immediata. C’è qualcosa di cui non riesci a scrivere, qualcosa che fai fatica ed esternare?
Sicuramente non mi riesce scrivere cose felici, purtroppo le emozioni positive non riesco a racchiuderle in un brano e quando ho provato a farlo mi son reso conto che le emozioni positive in confronto a quelle negative sono debolissime perché nessuno si accorge mai di quand’è felice. Quando ho scritto “Sbagliamo insieme” che per me è il brano più felice che io abbia scritto, provavo emozioni positive però ci ho comunque messo dentro tutto quello che sentivo in realtà, cioè la paura di soffrire di nuovo e sbagliare ancora. Scrivo sempre tutto quello che provo, poi di norma son sempre triste quindi scrivo per quello (ride)
“Ma ci son quelli che vivono nelle illusioni da sempre” canti… E spesso ci nutriamo proprio con le nostre illusioni che a volte però portano a qualcosa di buono. Sei riuscito a laurearti e a creare un progetto artistico bellissimo, qual è il tuo sogno nel cassetto adesso?
In questo momento quello che mi manca e che sto ricercando è la stabilità. Mi piacerebbe riuscire a specializzarmi e riuscire nell’ambito artistico ad avere un contratto autoriale, vorrei scrivere per gli altri che è la cosa che mi riesce meglio cioè scrivere per gli altri e poi vorrei trovare la stabilità anche nelle piccole cose della vita quotidiana. Io sono molto all’antica, vorrei una famiglia, una casa in campagna e un gatto, un lavoro che ti piace e che fai con passione. Sono un malinconico cronico e quasi mai soddisfatto e felice di me stesso ed è questa la mia “malattia” più grande, sono una persona complicata che non sta mai perfettamente bene, ho sempre qualcosa che non va. Vorrei un equilibrio, riuscire a trovare una stabilità mia interiore che so che forse non arriverà mai. Sogni giganteschi non ti danno grandi felicità, la vera felicità credo sia nelle piccolezze. La felicità è fatta di “niente” alla fine.
a cura di
Claudia Venuti