Siamo stati al secondo giorno del Gunnersbury Festival che si svolge nell’omonimo parco, ospiti The Libertines e Supergrass
Soft Play, Supergrass e The Libertines si potrebbero riassumere come una botta di British music e polvere in faccia.
Innanzitutto bisogna fare un plauso al festival per l’organizzazione in toto, ha tenuto botta su tutta la linea. Abbiamo chiesto in ritardo l’accredito ma siamo riusciti ad accedere, è stata garantita la presenza di acqua gratuita ed è stata predisposta un’area press e guest in cui sostare durante gli intermezzi tra una band e l’altra. Infine anche il deflusso finale delle persone è stato gestito in maniera impeccabile.
L’unico problema dovuto più alla location che altro: il terreno già “lavorato” da altri eventi ha trasformato l’area in una macchina per la polvere, ma niente di inaffrontabile. L’acqua gratis è stata quindi una benedizione, in Italia si lucra persino su quella, quando ci si raccomanda di idratarsi, non funziona molto come meccanismo.
La location è spaziale: un festival in mezzo a un palco regale gigantesco decentrato rispetto al centro di Londra in cui è sembrato di essere isolati da tutto il caos della capitale, ma al tempo stesso non perdendo il fascino come evento musicale londinese (ndr, bella zona in cui risiedere, consigliatissima).
Soft Play
La prima band che abbiamo incrociato sul palco è stata Soft Play, un duo che si è presentato con la bandiera palestinese e mandando a quel paese J.K. Rowling per le sue posizioni non troppo progressiste, un modo per farsi apprezzare subito insomma. Il nome potrebbe ingannare perché c’è poco Soft, ma tanto Play nel concerto di questa band. Il set ha visto un moshpit continuo, urla e suoni ruggenti. Forse il duo ha scelto apposta un nome così fuori fuoco rispetto alla loro musica, giusto per farti abbassare la guardia.
Due elementi, zero compromessi: uno batteria e voce, l’altro chitarra e voce. Una scarica di adrenalina importante, abbiamo apprezzato anche la scelta di creare un “safe moshpit” per far scatenare le ragazze spesso escluse per la “timidezza” con cui i colleghi affrontano questo elemento del live.

Supergrass
Un salto di epoca e sonorità con i Supergrass. Una botta di britannità vecchia scuola: anche conoscendo un solo pezzo “Alright” (e ammetto di essere partito così), famosissimo per essere utilizzato in mille pubblicità e ora sappiamo a chi ricondurlo; il set è stato godibilissimo. Il pubblico inglese sa come godersi un concerto: le canzoni dei Supergrass partono a bomba, rallentano, poi riaccelerano come se niente fosse.
Giunti a questo punto, la giornata mi ha riportato alla memoria le vibrazioni del Rock in Idro 2014 a Bologna, quel giorno si sono esibiti Biffy Clyro, QOTSA, The Fratellis e Pixies. Sarà forse non corretto però le sensazioni, il sound e anche l’atmosfera sono state pressoché simili.

The Libertines
Infine, come ospiti principali della giornata ci sono stati The Libertines. Una band storica inglese che ha avuto mille peripezie grazie alle vicende riguardanti uno dei due cantanti Pete Doherty e le conseguenze avute sulla vita del resto della band. Molto interessante la scelta di proiettare pillole di scene famose di icone culturali per introdurre i propri brani.
I due cantanti Doherty e Carl Barât si alternano alla perfezione, la band nel tempo ha creato produzioni piene e complesse, lontane dai soliti due accordi ripetuti. Ci è piaciuto molto il momento in cui si sono posizionati a semicerchio per cantare quasi come se fosse un momento tra di loro per forse sancire di aver trovato la pace.

Tre set diversi, tre modi di interpretare il live che ci ha lasciato soddisfatti e un unico fil rouge: il rock britannico che, anche quando ti impolvera e ti svuota di energie, ti lascia sempre con la voglia di farlo di nuovo.
Articolo scritto con l’ausilio di intelligenza artificiale
a cura di
Luca Montanari
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