“The Monkey” – la recensione in anteprima del nuovo film di Oz Perkins

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In arrivo in sala giovedì 20 marzo, The Monkey è l’adattamento cinematografico dell’omonimo racconto di Stephen King. La pellicola è diretta da Osgood “Oz” Perkins e vede la presenza nel cast di Theo James nel duplice ruolo dei protagonisti.

Dopo il successo del suo ultimo dibattuto lungometraggio, Longlegs (2024), Oz Perkins prende spunto dall’opera letteraria senza tempo di Stephen King e realizza un horror dai toni decisamente più leggeri, dove il macabro si mescola a una scrittura non troppo distante dalla slapstick comedy.

Non chiamatelo “giocattolo”

Tratto da un racconto breve pubblicato nel 1980, e contenuto all’interno della raccolta Scheletri (Skeleton Crew), The Monkey narra la storia dei gemelli Hal e Bill Shelburn, che trovano in soffitta un giocattolo a molla a forma di scimmietta, in passato appartenuto al padre.

I due fratelli – interpretati dal giovane attore Christian Convery (Sweet Tooth, One Piece) – sono fin da subito attratti, quasi ipnotizzati dal pupazzo, che suscita inquietudine e curiosità al tempo stesso e il cui ritrovamento sembra portare con sé un vero e proprio avvertimento. Hal e Bill si accorgono ben presto dei poteri paranormali della scimmia che, più che un giocattolo, si rivela un oggetto maledetto, responsabile di una serie di morti improvvise e assurde tra le persone a loro più vicine.

“Quando ero piccolo, io e mio fratello gemello trovammo qualcosa che amava uccidere. Ho fatto tutto il possibile per farla sparire, ma lei aveva altri piani”.         

Hal (Theo James) in una scena del film.

Consapevoli che azionando il pupazzo non possono fare nient’altro che innescare eventi spiacevoli e incontrollabili, i gemelli decidono di sbarazzarsene, gettandolo in un pozzo. Le loro strade si separano e il loro legame si deteriora con il passare del tempo, ma il potere della scimmia non accenna a manifestarsi.

Almeno finchè, venticinque anni dopo, la scomparsa della zia che li ha accuditi in adolescenza e altre morti inspiegabili li mettono di nuovo di fronte al loro più grande incubo.

Un rapporto travagliato

Hal e Bill non potrebbero essere più diversi: introverso, cauto e taciturno il primo, irriverente e arrogante il secondo. Da ragazzini si scontrano spesso e, mentre Hal è ossessionato dalla presenza nella loro casa del giocattolo misterioso, Bill lo tormenta continuamente, fino a pensare al fratello come responsabile del funzionamento sinistro della scimmia.

Al loro rapporto piuttosto litigioso, si affianca in modo analogo quello inesistente con il padre, di cui si hanno poche incerte informazioni. Sulla scatola che al suo interno custodisce la scimmia-giocattolo due parole: Like Life. Che cosa avrà voluto comunicare loro con questo gesto?

Diventati adulti, i gemelli saranno costretti a cercarsi per unire le loro forze e distruggere per sempre la scimmia demoniaca. In questo tentativo di riappacificazione, entra in scena anche Petey, il figlio adolescente di Hal. Completamente all’oscuro delle storie passate, Petey è anch’egli “vittima” dell’assenza del padre, una condizione che è, paradossalmente, l’unico modo per proteggerlo dai segreti del passato.

La presenza della scimmia, più o meno vicina ai protagonisti, sembra quindi sostituire quella della figura paterna, in grado di impartire lezioni e dare insegnamenti, ribaltandone completamente il significato: se un padre mette in guardia i propri figli dai pericoli, qui essi rimangono sopraffatti dagli aspetti più crudeli e traumatici della vita, senza sapere come affrontarli veramente.

Il ruolo del “male”

L’orrore che colpisce i personaggi è la conseguenza di tutti i mali irrisolti di una famiglia sgretolata fin dai primi istanti della storia. Anche da adulti e rimasti soli, i fratelli Shelburn non possono contare l’uno sull’altro, pur essendo gli unici a conoscere l’origine del segreto che più li tormenta.

Mentre la prima parte del film desta grande curiosità e aspettativa nello spettatore, nella seconda metà della pellicola si perde in larga parte il senso degli avvenimenti, si fatica a distinguere dove arriva il male. Questo sembra fare giri immensi, ma non è chiaro chi lo subisce davvero e chi invece ne è l’artefice.

Mentre la scimmia continua a mietere le sue vittime indistintamente, non possiamo che arrenderci all’inevitabilità del male, anche nella sua forma più insolita e fuori dal comune. Hal e Bill sono intrappolati in un meccanismo difficile da risolvere, destinati ad accettare la fragilità della vita e la presenza del dolore ovunque e in qualsiasi momento.

Conclusioni

Più ci si avvicina alla conclusione del film – molto fedele all’opera letteraria – più la dimensione psicologica del thriller lascia spazio ad atmosfere grottesche, una quantità esorbitante di sangue e una serie di sfortunati eventi à la Final Destination, talmente sopra le righe da risultare divertenti.

L’umorismo nero che contraddistingue la pellicola smorza i toni cupi delle tematiche famigliari ma non rende abbastanza convincente lo sviluppo delle vicende, che risulta piuttosto caotico. Prevalgono l’esagerazione della messa in scena e l’impatto visivo e, nonostante le ottime premesse, l’impressione è quella di un disequilibrio tra lo shock e la componente psicologica della storia.

The Monkey resta un prodotto di grande intrattenimento, in grado di soddisfare anche chi normalmente predilige generi diversi dall’horror. La combinazione tra umorismo e violenza è nel complesso un punto di forza del film e la resa visiva è molto efficace.

a cura di
Sofia Vanzetto

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