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Al cinema dal 10 marzo, il nuovo docu-thriller racconta il dietro le quinte ed il processo di scoperta dell’Ecce Homo di Caravaggio

Diretto da Á. Longoria, Il Caravaggio perduto racconta la storia di come un dipinto qualunque possa rivelarsi l’opera di uno degli artisti più inflazionati del nostro tempo. Nel documentario si narra l’enigmatico mondo degli sleepers, quelle opere d’arte considerate appunto dormienti che rimangono nascoste, oppure – come in questo caso – erroneamente attribuite.

Chiaro-scuro

Il regista utilizza il chiaro-scuro sia come strumento narrativo, attraverso il quale dall’oscurità del dubbio emerge la luce della verità, sia nella stessa fotografia del film, che richiama la tecnica in cui Caravaggio era un maestro. Da questa dualità emerge quanto sia precluso il mondo dell’arte, che spesso sguazza nell’ombra di un sapere unico che da pochi viene concesso alle masse.

Questa pellicola ci restituisce lo spaccato di un mondo in cui mercanti e storici dell’arte sono protagonisti e narratori di un viaggio che ci conduce a riflessioni più ampie.

Abbiamo avuto il privilegio di assistere all’intero processo: dalla sua scoperta, attraverso il complicato procedimento di autenticazione, fino al delicatissimo restauro. In questo modo siamo riusciti a trasmettere il senso di emozione, esclusività e mistero che abbiamo provato mentre filmavamo questa storia piena di colpi di scena, nuove scoperte e chiaroscuri.

Il mondo dell’arte

Privilegio, esclusività e mistero sono strumenti chiave che si contrappongono a parole quali accessibile, disponibile e fruibile, ma che raccontano in maniera schietta come viene restituita – e di conseguenza fruita – l’arte, secondo un’impalpabile ed eccezionale bellezza, unico criterio estetico accettabile.

Il bello e il concetto di bellezza, che inizialmente illuminano l’idea che abbiamo di arte, producono la stessa sensazione di quando un bambino tenta di guardare il sole senza sbattere le palpebre: il risultato sarà quello di sentirsi disorientati e finire col non vedere assolutamente niente.

Se da una parte può essere divertente sbirciare un modo che sappiamo non appartenerci, dobbiamo necessariamente chiederci se quel privilegio non racconti anche un’altra storia. Quella dell’elitarietà dell’arte e di una cultura che dovrebbe appartenere a tutti, sulla quale invece pochi hanno diritto di prelazione.

Insomma una pellicola interessante se si ha la volontà di ampliare il proprio punto di vista e di non continuare a navigare nella superficialità di una bellezza misteriosa.

a cura di
Letizia Servello

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