Venerdì 17 gennaio si è tenuta a Roma la conferenza stampa di presentazione di A Complete Unknown, il nuovo biopic su Bob Dylan diretto da James Mangold, con Timothée Chalamet, Monica Barbaro, Elle Fanning e Edward Norton. Noi di The Soundcheck abbiamo partecipato all’evento e ve ne parliamo qui, in questo articolo!
“Sono molto orgoglioso del lavoro eseguito dal cast, guidati dal mago che è seduto qui di fianco a me. Non posso immaginare un’altra versione al posto di questa, dove abbiamo dato il 150% di noi stessi!”
Timotheè Chalamet
Con queste parole ha inizio l’incontro stampa su A Complete Unknown, svoltosi a Roma lo corso venerdì 17 gennaio. Protagonista della conferenza è stato (prevedibilmente) Timotheè Chalamet, che ha parlato del lungo processo di preparazione al film, durato più di cinque anni. Un percorso che lo ha portato ad accrescere la fiducia in se stesso e nel materiale utilizzato, rendendolo oggi profondamente orgoglioso del risultato ottenuto da lui e dall’intero cast, che ha lavorato duramente sui personaggi di Joan Baez, Pete Seeger, Sylvie Russo e Johnny Cash.
[…] Sapevo che avevamo circa tre mesi per essere loro – il resto della vita lo abbiamo per essere noi stessi! A livello di dedizione richiede un’estrema attenzione e concentrazione, e ce l’abbiamo messa tutti.”
Timotheè Chalamet
Un passato che non si può raccontare così com’è stato
Per spiegare il processo creativo seguito per la realizzazione della pellicola, James Mangold parte da una battuta da lui scritta per il personaggio di Bob Dylan, incentrata su come le persone dimentichino il passato e ricordino ciò che vogliono di esso.
“Inserita” afferma il regista, “pensando a come si parli spesso di lui come favolista, narratore, cantastorie.”
Partendo da questa visione dell’artista, Mangold fa luce sul suo compito di regista: quello di dubitare dell’ovvio per suscitare interesse, mettendo in dubbio l’immagine creata attorno al cantante. Poiché ogni persona, in fondo, presenta una visione soggettiva della propria vita. Una sua verità, che “si dimentica della parte “brutta” e non particolarmente apprezzata della sua esistenza, enfatizzando quella eroica o minimizzando il fallimento.”
Rendendo i suoi trionfi ancora più grandi.
Come narratore, il regista afferma che non esiste una verità assoluta su Bob Dylan e parla di come abbia cercato di trovare il “tono della verità” per questo film. Mettendo da parte i racconti e gli articoli di documentaristi e giornalisti, spesso contraddittori. Partendo, sì, da alcuni fatti realmente accaduti, ma cercando di ricreare le sensazioni e “le vibrazioni” degli inizi. La storia di un artista leggendario agli esordi della sua carriera.
Prima di diventare la “figura culturalmente importante” che conosciamo oggi.
Il Pete Seeger di Edward Norton
La parola passa poi a Edward Norton, che afferma che 20 anni fa gli ci sarebbe voluto un anno di lavoro per mettete insieme tutto il materiale su Pete Seeger, elogiando apertamente YouTube. Con il quale ha potuto studiare ed elaborare il suo personaggio e la sua voce.
“YouTube è stato la mia salvezza. È davvero sorprendente quello che puoi trovarci.[…] Qui puoi trovare Pete Seeger che suona in un bar di Berlino nel 1963. Sembra una battuta, ma è veramente sorprendente quello che oggigiorno puoi avere a disposizione qui con grande facilità.”
Edward Norton
Scherza poi su James Mangold, definendolo “un grande psicoterapeuta”, poiché il regista ha consigliato loro di guardare oltre al singolo personaggio, rivolgendo l’attenzione al rapporto umano di un giovane che incontra un uomo che ammira, instaurando con lui un legame di reciproca stima e concorrenza.
Monica Barbaro e la sua Joan Baez
“Joan ha detto una cosa bellissima in un articolo che mi è capitato di leggere mentre mi preparavo per il film: ‘se cerchi di rendere qualcosa eccessivamente perfetto, lo privi di ciò che gli dona interesse’. La cosa peggiore che avrei potuto fare nei confronti di un’artista straordinaria come Joan sarebbe stata quindi imitarla con una tale precisione da renderla priva di personalità.”
Monica Barbaro
Riallacciandosi a quanto affermato da Norton, Monica Barbaro spiega poi il complesso rapporto con il suo personaggio. Una Joan Baez che non aspira ad essere la copia perfetta della cantautrice, artista “ancora viva che può parlare per sé”. Anche se la prima preoccupazione è stata quella di non deludere i fan, l’attrice si è fidata delle indicazioni di Mangold e della sua arte di raccontare. Dedicandosi ad un’attenta preparazione per il ruolo, ma imparando anche “a metterla da parte, quando necessario”.
“Avevamo la libertà di essere umani nelle scene. Ho visto Timotheè fare un lavoro fantastico nei panni di Bob e mi sono fidata completamente del rapporto che avremmo costruito sul set. Abbiamo messo la nostra preparazione un po’ da parte e vissuto il momento, seguendo le indicazioni di James.”
Monica Barbaro
L’interesse del regista e sceneggiatore si è infatti rivolto verso l’interiorità del personaggio: aspetto per lui fondamentale, mai messo in secondo piano rispetto a quello esteriore. Ricercando, unendoli insieme, il giusto equilibrio.
“C’è un lavoro esterno che l’attore fa col personaggio – che riguarda la camminata, i vestiti, la voce e l’aspetto di esso – e poi uno interiore. Il pericolo che ho percepito è che l’aspetto esterno potesse rappresentare una potenziale ossessione e fosse così interessante da far scomparire quello interno. Che uno dei due piatti della bilancia non presentasse lo stesso peso. Era necessario trovare un equilibrio.”
James Mangold
Bob Dylan
Sulla lezione di vita appresa interpretando il personaggio di Bob Dylan, Chalamet risponde affermando che bisogna abbracciare il proprio spirito creativo, liberi di produrre ciò che si vuole. Trovando una propria identità artistica, così come ha fatto il cantante.
“Ad un certo punto [Dylan] era Blind Boy Grunt, poi Robert Allen Zimmerman e poi Bob Dylan, e quindi la lezione che ho imparato da lui ha a che vedere con la libertà di essere ciò che si desidera senza chiedersi perché si è diventati come si è. Non sentirsi limitati da ciò che è estremamente limitante per noi, ovvero il pensare a chi siamo o a chi siamo stati.”
Timotheè Chalamet
Per quanto riguarda il “lavoro esterno” citato da Mangold, l’attore si è concentrato su una marea di documentari e su tutte le foto disponibili, imprimendole nella sua anima. Sottolineando come Bob Dylan lo influenzi più adesso, nella vita di tutti i giorni, che durante le riprese del film.
Breve confronto generazionale
L’attore ha poi continuato affermando che, per quanto riguarda l’ambiente culturale e sociale degli anni ‘60, attorno ad esso aleggiava un certo ottimismo. Ora – dinnanzi ad una generazione che ha costantemente in mano il telefono – Chalamet sostiene come sia difficile trovare chi nella sua arte imprima il proprio pensiero politico.
Mangold aggiunge che Dylan non ha mai voluto vedere il risultato del loro lavoro, e che lui abbia rispettato questa scelta. Il processo creativo presenta infatti un che di magico e parlarne troppo (anche con i giornalisti) può comportare il rischio che questo aspetto si rovini.
Il regista afferma inoltre che viviamo in un’epoca dove il pubblico non pretende più di essere sorpreso, ma semplicemente anestetizzato. La parte insidiosa è quella di realizzare dell’arte che possa compiacere questo tipo di pubblico, che non vuole più essere sfidato.
“Blowing in the Wind”
Con l’intervento di Monica Barbaro si è parlato poi del contenuto politico e sociale dei testi di Dylan. Secondo l’attrice le sue canzoni fanno riferimento all’ipocrisia umana e ad alcuni problemi senza tempo. Motivo per il quale ancora la sua musica trova eco.
Allacciandosi a questo, Norton afferma quanto sia difficile considerare il cantautore una vera e propria “stella polare”, poiché viviamo in periodi estremamente diversi. Inoltre aggiunge che – a suo avviso – parlare del significato di un’opera la riduca ad esso, mentre lo spettatore dovrebbe cercare di trovarne uno proprio, senza venire condizionato.
Il pericolo del settore
La domanda finale riguarda il settore e a come questo possa cristallizzare gli artisti durante le loro carriere.
Secondo Monica Barbaro, dopo aver interpretato un ruolo specifico per un film, accade spesso che lo stesso venga riproposto in numerosi altri progetti. L’attrice fa riferimento all’esperienza vissuta dopo il successo di Top Gun: Maverick, a seguito del quale ha ricevuto moltissime proposte per pellicole a tema militare.
“Adesso mi dicono tutti: “Vorresti essere in un musical?”. Cosa a cui non ho mai realmente pensato.”
Monica Barbaro
Quello che rende James Mangold un artista tale da suscitare ammirazione nell’attrice è (come lei stessa afferma) il fatto che non si possano inscatolare le sue opere: egli porta sempre con sé qualcosa dei suoi precedenti progetti, infondendolo nei suoi nuovi film, di genere completamente diverso. Secondo Barbaro la pellicola è particolarmente interessante in quanto espressione della voce e dell’evoluzione artistica del regista.
A Complete Unknown vi aspetta in sala a partire da giovedì 23 gennaio, in un appuntamento da non perdere!
a cura di
Maria Chiara Conforti
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